L'Arianna, SV 291

Tragedia in un prologo e otto scene

Testo del libretto

ATTO UNICO

Scena prima
Apollo.
APOLLO
Io, che ne l'alto a mio voler governo
la luminosa face, e 'l carro d'oro,
re di Permesso, e del soave coro
de la lira del ciel custode eterno.
Non perché serpe rio di tosco immondo
avveleni le piagge, e 'l cielo infetti,
non perché mortal guardo il cor m'alletti
stampo d'orme celesti il basso mondo.
Di strali armato, e non di face, o d'arco,
gran re, c'hai sovra l'alpi e scettro e regno,
per dilettarti il cor bramoso vegno
di magnanime cure ingombro, e carco.
Ma gl'alti pregi tuoi, le glorie, e l'armi
non udrai risonar corde guerriere;
pieghino al dolce suon l'orecchie altere
su cetera d'amor teneri carmi.
Sì chiaro omai su gloriose pà¯ume
sorvoli di splendor guerrieri e regi,
che di Pindo non pon ghirland'e fregi
crescer nova chiarezza al tuo gran lume.
Odi Carlo immortal come sospiri
tradita amante in solitaria riva,
forse avverrà , che de la scena argiva,
l'antico onor ne' novi canti ammiri.

Scena seconda
Venere, e Amore.
VENERE
Non senz'alto consiglio
sovra quest'erma riva
dal cielo t'ho scorto, o mio diletto figlio!
AMORE
Che brami, o madre, o diva?
Chiedi, che l'arco io tenda
contr'alcun dio del cielo, o pur de l'onde?
O vuoi, ch'alcun mortal per te s'accenda?
VENERE
Non chieggio no, ch'alcun per me sospiri,
o celeste, o mortale;
odi quel, ch'io desiri,
bel pargoletto, odi il voler di Giove,
e la face immortale,
e l'arco appresta a gloriose prove.
AMORE
Soverchio è, bella madre, ogn'altro impero,
ove dolce lusinghi, e dolce preghi,
ecco pronto al tuo dir l'arco, e l'arciero.
VENERE
Non chiuderà  ne l'onde
Febo il carro immortal de l'aurea luce,
figlio, ch'in queste sponde
l'ancore fermerà  l'inclito duce,
che da l'orror del cieco laberinto
trasse l'invitte piante,
lasciato il mostro rio su l'erba estinto.
AMORE
Qual destin qual vaghezza
Teseo qui tragge, o qual di gloria spene?
VENERE
Vago di riveder l'inclita Atene
trionfator giocondo,
con cento legni, e cento
solca l'umido suol del mar profondo.
Seco è del re dolente
la fuggitiva figlia,
che di gran foco accesa,
(o d'amoroso cor gentil pietade)
reselo vincitor ne l'alta impresa.
AMORE
Tutto m'è noto, e tutto
opra è del mio valor quant'a dir prendi.
VENERE
Or sappi figlio, e di pietà  t'accendi,
che la real donzella
priva d'ogni speranza
qui lascerà  dolente,
sì ne l'altera mente
desio di mortal fasto avrà  possanza.
Quanti sospiri, o quanti
quest'aere, e questo cielo
udrà  querele, e pianti;
o di che strid'amare
oggi risoneran gli scogli, e 'l mare.
AMORE
Non sian senza ragion lagrim'e strida,
s'in così fero inganno
traboccar deve alma innocente, e fida.
VENERE
Ma di', speranza mia, dimmelo Amore;
lascerai tu languire,
lascerai tu morire
anima sì gentil, sì fido core?
Chiuderan questi scogli, e queste arene
tenera verginella,
de l'alto impero tuo devota ancella?
AMORE
Ah non si narri mai, non sia mai vero,
che sì dura mercede
trovi servo fedel nel nostro impero;
raddoppierogli al cor lacci, e catene,
farò più cupa ancor l'aspra ferita,
di maggior foco gl'empierò le vene,
e faccia poi se può da lei partita.
VENERE
Partasi Teseo pur, parta, e s'involi
da la negletta sposa,
purché tu la soccorra, e la consoli.
AMORE
Di quest'ardente face,
di quest'invitti strali,
dispon pur madre mia com'a te piace.
VENERE
Pria, che ne l'oceano
spenga diman gl'ardenti raggi il sole,
qui spingeranno i venti il gran tebano,
di Semele, e di Giove inclita prole;
sì fermo è su ne l'immortal consiglio,
e già  d'Atlante il figlio
de l'orrida caverna in su la foce,
al re che Borea affrena,
fatto ha sentir l'incontrastabil voce.
Tu, com'ei ponga il piè su quest'arena,
colmale Amor di sì gran fiamm'il petto
per la bella Arianna,
che sol speri per lei pace e diletto;
né di cotanto amante
sprezzi la nobil donna il bel desio,
sì che d'ogn'altro amor le giunga oblio.
AMORE
Sia pur tuo cor sicuro,
arderà  fiamm'egual d'entrambi il seno,
Amor io sono, e per quest'arco il giuro.
VENERE
Per sì bel nodo, Amor, quante bell'alme
dopo trionfi, e palme
faran più bello, e luminoso il cielo?
Già  già  negl'alti campi
scorgo tra raggi, e lampi
formar gemme immortali aurea corona;
ma qual per l'aria suona,
e di voci, e di trombe altero grido?
AMORE
O quanti legni, o quanti,
gira i begl'occhi al lido:
deh mira, se non pare
in selvoso appennin cangiato il mare!
VENERE
Ah riconosch'io ben l'insegne altere:
ecco il greco campion, quegli è Teseo.
Oh quante, oh quante schiere,
di ferro adorne, e gravi,
seco scendono, Amor, da l'alte navi.
AMORE
Mira, che vaghe piume,
ornan l'altere fronti;
mira di che bel lume
ripercossi dal sol, splendon gli scudi.
VENERE
Ecco, ch'il nobil duce
già  posto ha in terra i piedi;
no 'l vedi, Amor, no 'l vedi?
AMORE
Tra così folte squadre
non so vederlo ancora;
deh me l'addita, o madre.
VENERE
Vedi l'Amor, che verso noi se n' viene,
d'ostro lucente, e d'oro
vedi la bella sposa,
che sul robusto braccio egli sostiene.
O con quanto decoro
move il leggiadro piè bella, e pensosa.
AMORE
O di che bel seren quel ciglio splende;
già  già  di sua sventura
e disdegno, e pietà  nel cor mi scende.
VENERE
Tu dunque di bearla Amor procura,
io nel mar tratterommi, o qui d'intorno.
AMORE
Et io per trarr'a fin la bella impresa,
invisibil tra lor farò soggiorno.

Scena terza
Teseo, Arianna, Consigliero, e coro di Soldati.
CORO
Se d'Ismeno in su la riva,
per ornar d'Alcide i vanti,
fa sentir celesti canti,
nobil suon di cetra argiva.
Non fia già , che muta Atene,
del buon re taccia gl'allori;
canteran cigni canori,
canteran ninfe, e sirene.
E diran, ch'invitto, e forte
lasciò spento il mostro fero,
e che fuor del rio sentiero
per uscir trovò le porte.
TESEO
Fortissimi guerrieri,
o de gl'affanni, o de gl'onor compagni,
non lungi è il dì, che di bel pregio alteri
stringeretevi al sen figli, e consorti,
e lieti mirerem tra risi, e giochi
(elmi disciolti, e scudi)
girsene il fumo al ciel de' patrii fochi.
CORO I°
Dolce i teneri figli,
dolce sposa gentil raccorsi in seno;
ma dolce ancor non meno
per bellissimo onor rischi, e perigli.
CORO II°
Ove più ferve il cielo,
ove più il mar s'inscoglia,
ov'ha più duro gelo,
scerrine pur s'alto desio t'invoglia.
TESEO
Assai sofferto abbiam turbi, e procelle,
tempo è di ricovrar guerrieri eletti
sott'i paterni tetti,
tra feste, e pompe gloriose, e belle.
CONSIGLIERO
Langue mortal virtù se non ha posa
dopo i forti sudori,
e se non cinge il crin d'edre, e d'allori,
le vittorie disprezza alma sdegnosa.
TESEO
Itene al porto voi de curvi abeti
sia vostro il pondo, e de l'armate genti
io fin che l'ombre algenti
fuggano al saettar de' lampi d'oro,
con la diletta sposa
in terra prenderò posa, e ristoro.
CORO
Sian lieti, sian felici
i dolci sonni, e più tranquilli ancora
destivi in sul mattin la bell'aurora,
andianne al porto omai, venite amici.
TESEO
Quai segni di timor nel tuo bel volto,
veggio, o parmi vedere, o core, o vita?
Deh rasserena omai
l'alma beltà  smarrita;
tosto vedrai de la famosa Atene
le gloriose mura, e gl'aurei tempi,
ove mia cara sposa
regina, regnerai tranquilla, e lieta,
qual già  vivesti in Creta.
ARIANNA
Signor, deh mi concedi,
abbandonando il mio natio terreno,
che d'un sospiro almeno
la rimembranza onori;
so ben, che son tue pene i miei dolori,
ma dal materno seno
verginella disciolta,
non posso ogni sospir tener a freno.
TESEO
Ben la nobil vittoria
del Minotauro estinto,
ben dolce è la memoria
del cieco laberinto;
ma s'il bel volto tuo lieto non miro,
ogni gloria, ogni palma,
ogni dolcezza al cor si fa martiro.
ARIANNA
Un amoroso affetto
del mio tradito padre,
de l'ingannata madre,
mi sforza a sospirar, signor diletto,
ma pur raffrena il duolo
il tuo gentil aspetto,
e di tua nobil fé l'alma consolo.
TESEO
Lasciar le patrie rive
non può senza dolore,
chi dentr'il sen non ha di ferro il core:
ma pur vergine bella
prendi conforto omai,
torna sereni i rai
de' begl'occhi lucenti.
Tu di felici genti
fortunata regina,
n'andrai di gemme, e d'oro il crin adorno.
A' tuoi vestigi intorno
faran corona le donzelle argive,
ma vie più d'altri pronto,
ove un tuo sguardo accenne
io metterò le penne
fedelissimo in un servo, e consorte,
fin che ne sciolga morte.
Ma deh, ch'io miri lieto
quel bel ciglio seren, che m'innamora:
troppo, troppo m'accora
quel nubiloso velo,
ch'il bel viso gentil turba, e scolora.
ARIANNA
Sì caro al cor mi scende
il ragionar cortese,
che del natio paese
ogni memoria omai spargo d'oblio,
addio padre, addio madre, o patria addio.
TESEO
Qual di me più felice,
o rege, o cavalier, la spada cinge,
cui rimirar pur lice
sereno il sol, che la mia vita alluma?
Ma già  ne l'onde ascoso
celasi il sole, e se ne fugge il giorno.
Forse più dolce avrem quiete, e riposo
in qualch'umile albergo,
che su l'onda del mar, ch'in un momento
turba ogni picciol vento.
ARIANNA
Giocondo albergo, e caro
per me sia il mar tra nembi, e tra tempeste,
e de le più selvagge aspre foreste
i più deserti orrori,
purché vicina al mio signor dimori.
CONSIGLIERO
Veggio, o parmi veder di faci accese
là  tra quell'ombre tremolar gl'ardori.
TESEO
Forse è capanna di pastor cortese,
dove raccolti caramente, al sonno
darem le membra stanche,
finché l'oscuro ciel l'aurora imbianca.
Indi al nostro cammin sciorrem le vele
a l'aura mattutina,
or là  moviam regina.

Scena quarta
Coro di Pescatori.
CORO I°
Deh come son lucenti,
deh come son ridenti
le fiamme, oh ciel, che per la notte spieghi;
ma quanto più lucenti,
ma quanto più ridenti
son gl'occhi, o Lidia, onde m'accendi, e leghi.
CORO II°
Già  Febo ha spento in mar gl'ardenti rai,
e splendon su nel ciel le stelle accese,
tempo è compagni omai
di trar di grembo al mar l'insidie tese,
e portarne la preda a' nostri alberghi.
Itene al porto voi celati, e cheti,
che 'l sospettoso pesce
spesso l'occhiute reti
guizzando per timor rompe, e se n'esce.
Noi qui posando intanto
al lume de le stelle,
i dolci sonni allieterem col canto.
CORO
Fiamme serene, e pure,
fregio de l'ombre oscure,
del gran regno immortal gemm'e tesori;
ninfe degl'alti campi,
ch'i sempiterni lampi
vagheggiate ridenti in grembo a Dori.

Perché mortal desire
in voi s'affissi, e mire
cupido amante di celeste foco,
non fu però, che mai
velasse i biondi rai,
l'accese voglie altrui volgendo in gioco.

Ma voi vezzose, e belle
lucidissime stelle,
che splendete nel ciel d'un mortal viso
or mostrate, or chiudete
i raggi, onde splendete,
risvegliando ne l'alme, or pianto, or riso.

Deh se vaghe, e gentili
ardete al ciel simili
terrene stelle ah non cangiate aspetto;
ma sovra i cori amanti
da lucidi sembianti
dolce versate ogn'or pace, e diletto.
TESEO
Come potrai cor mio,
se pur di carne sei,
tra quest'orridi scogli, e nude arene
lasciar sola colei,
che per seguirti, ingrato,
perder sostenne ogni più caro bene?
Per me scettri, e corone
Arianna disprezzi,
e i dolci baci, e vezzi
de' tuoi cari parenti,
ed io potrò crudele
spiegar le vele a' venti,
senza pensar pur dove
resti da me tradita
tu cagion di mia gloria, e di mia vita.
CONSIGLIERO
Ancor pugna, e contende
contr'a bella ragion l'alma turbata.
Signor, ah troppo offende
la mente innamorata
quest'impudico ardore,
tiranno indegno del tuo nobil core.
TESEO
Amor, no 'l nego, amore,
di sì possente, e forte
laccio mi stringe il core,
che se disciorlo tento
sento dolor di morte;
ma vi è maggior tormento
trafigge il cor de la macchiata fede
l'abominevol fallo,
fallo ch'unqua in oblio
(per rivolger di cielo, o di pianeta)
o mio fedel non manderà  il cor mio.
CONSIGLIERO
Alma, ch'amor costringe
sotto il suo duro impero,
non bene discerne, e non conosce il vero.
Non è fallo, signore,
sprezzar quelle promesse, e quella fede,
che tra lascivi ardori
incauto amante a bella donna diede;
anzi è senno, e virtute,
ch'aprendo gl'occhi al ver si cangi, e mute.
TESEO
Troppo, troppo è severo
chi de' lacci d'amor vive disciolto.
Mal può cangiar pensiero
chi fe' de suoi desir tiranno un volto.
CONSIGLIERO
Ma, deh s'il cor magnanimo, e reale
di bel pregio d'onor punge vaghezza,
se gloria alta immortale
prezi non men di femminil bellezza;
deh meco a pensar prendi,
che diran tanti eroi d'Argo, e Micene,
e di Tebe, e di Sparta i duci, e i regi,
se del bel regno tuo vedran regina
vergine peregrina?
O glorie, o vanti egregi,
(sorridendo diranno)
trionfar vincitor per l'altrui inganno:
così, mercé di femminili amori,
oscurarsi vedrai
l'alto splendor de tuoi guerrieri allori.
Dimmi, e come soffrir potrai giammai,
che ne' trionfi tuoi rimiri Atene
venirti al fianco femmina impudica,
onde sdegnando, e mormorando dica,
dunque sarà  di noi regina, e donna
femmina fuggitiva,
del bel fior d'onestate, e di fé priva?
TESEO
Qual ne la dubbia mente
mi fa contrasto e guerra,
e d'onor e d'amor desir ardente?
CONSIGLIERO
Aggiungi ancor che palpitanti i cori
portano, e gl'occhi molli
le madri orbe, e dolenti
de' cari parti lor, per cui satolli
fur de l'empio fratel gl'ingordi denti,
e pensa con quai volti, con quai cori
sosterran di veder nel seggio antico
figlia di re nemico,
cui dier tributo ogni girar di sole
(ahi rimembranza, ahi duolo)
lor innocente, e semplicetta prole,
e potrà  lo splendor d'un fragil viso
sì di bella ragion turbarti il lume,
che per un van desio,
abbandonando ogni real costume,
il tuo regno, il tuo onor ponga in oblio?
TESEO
Mentr'aprirò quest'occhi a' rai del sole,
non sia giammai, ch'alcun possent'affetto
sì tiranneggi il petto,
ch'io disprezzi l'onor, non pensi al regno.
Non è di scettro degno,
qual fassi servo vil del suo diletto.
CONSIGLIERO
Deh come lieto ascolto
del magnanimo cor le sagge note,
alma virtù, che da l'eterne rote
ne regi cor discendi
non di mille saette armato amore,
non di sdegno, o dolore
trionfa in campo, ove tu l'arme prendi.
MESSAGGERO
Già  pronto ogni nocchiero
siede al governo, e per lo ciel si sente
spirar soavemente
una gentil auretta,
che mormorando a navigar n'alletta.
TESEO
Torna messaggio fido,
ed a le schiere mie, come tu vedi,
di' ch'io son mosso, e m'avvicino al lido;
poiché convien partire,
moviam, partiamo omai,
asprissimo martire,
che dentr'il cor mi stai,
vientene meco, e non mi lasciar mai.
CONSIGLIERO
Ogni mortal dolore
fassi col tempo al fin soave, e lieve,
ma vie più d'altra in breve
sana piaga d'amore.
TESEO
Che spenga, o tempo, o morte,
la piaga del mio cor nulla mi cale;
ma che in sì trista sorte
resti donna reale,
di sì gran duol m'accora,
ch'io non so com'io parta, e ch'io non mora.
CONSIGLIERO
Non temer no signor, il ciel cortese
ben recheralle aita,
ond'al natio paese
farà  ritorno ancor lieta, e gradita,
che paterna pietà  non sente offese.
CORO I°
Miseri peregrin quietar non ponno,
e per la notte oscura
vanno i riposi altrui turbando, e 'l sonno.
CORO II°
O sorga Febo, o chiugga in mar sua face
da molesti pensieri
non san posa impetrar regi, e guerrieri.
Ma già  le stelle impallidir rimiro,
e con candida man la bell'aurora
le porte aprir d'oriental zaffiro.
CORO
Stampa il ciel con l'auree piante
bell'aurora, e 'l dì rimena,
vien gioconda, vien serena,
non udir quel vecchio amante.
Desto già  l'aurata briglia
posto ha Febo ai suoi destrieri,
e da gl'umidi sentieri
verso il ciel la strada piglia;
a fuggir l'aperte ciglia
scuoton l'ali i sogni oscuri,
spiega spiega i raggi puri
bella nunzia al sol davante.
Stampa il ciel con l'auree piante
bell'aurora, e 'l dì rimena,
vien gioconda, vien serena,
non udir quel vecchio amante.
Già  raccolto il fosco velo
con le stelle, e con la luna,
se ne va la notte bruna
a danzar per altro cielo;
ogni fior dal natio stelo
chiede sol, chiede rugiada,
movi omai per l'alta strada
su bel carro di diamante.
Stampa il ciel con l'auree piante
bell'aurora, e 'l dì rimena
vien gioconda, vien serena,
non udir quel vecchio amante.
L'alma luce, e 'l giorno alletta
mormorando il rivo, e 'l fiume,
l'augellin terse le piume
sovra il nido il canto affretta,
sospirar di lieve auretta
dolce increspa il tergo a Dori,
e danzar tra l'erbe i fiori
miri a' piè de l'alte piante.
Stampa il ciel con l'auree piante
bell'aurora, e 'l dì rimena
vien gioconda, vien serena,
non udir quel vecchio amante.

Scena quinta
Arianna, Dorilla, coro di Pescatori.
ARIANNA
Benché la fé, benché l'amor m'affidi
del mio re, del mio sposo;
pur dentro il cor dubbioso
un gelato timor par che s'annidi,
che di futura angoscia, e di tormento
doloroso messaggio
reca a l'alma turbata ombra, e spavento.
CORO
Sovente, ove gran danno il ciel destina,
sembra, che mortal mente
un secreto terror renda indovina.
ARIANNA
Ahi, che del novo lume
non appariano in ciel scintille, o rai,
che per le molli piume
sciolta dal sonno, il mio signor cercai,
misera me, ma invano
ben cento volte, e cento
mossi a cercarlo or l'una, or l'altra mano.
DORILLA
Figlia, non ti turbar, prendi conforto,
certo ch'a riveder l'armate navi
ei sarà  gito al porto,
o per mirar s'in mar son quiete l'onde,
e se dolci, e soavi
spirano al cammin vostro aure seconde.
ARIANNA
Ma perch'a l'aer cieco
muto da me s'invola?
Perché mi lascia sola?
Perché non fa ritorno?
DORILLA
Per non turbarti il sonno,
e tuoi dolci riposi a l'alba avante,
mosso avrà  cheto il piè discreto amante,
per far ritorno, e là  condurti poi;
ché sciolt'ancore, e vele,
sian pronti a solcar l'onde i legni suoi.
ARIANNA
Così creder vogl'io;
deh se tema talor l'alma perturba,
perdona amato sposo a l'ardor mio.
CORO
Spera mai sempre, e teme
innamorato core;
ma deh voglia oggi amore,
che sia vano il timor, vera la speme.
DORILLA
Forse certe novelle
ne daran questi pescatori amici.
Deh se liete, e felici
per voi sempre su in ciel volgan le stelle,
dite s'avanti, o su l'aprir del giorno
alcun vedeste a queste piagge intorno.
CORO
In questo loco appunto
duo cavalier fermarsi all'or ch'in cielo
s'accingea l'alma aurora
a sgombrar de la notte il fosco velo.
Quinci partiro all'ora
ch'un messaggero accorto
lor sovraggiunse, e s'inviaro al porto.
DORILLA
Avresti a sorte udito,
o strepito di trombe, o d'altro suono
rimbombar verso il porto, o intorno al lito?
CORO
Non turbò suon di tromba, o d'altre squille
il notturno silenzio, e i dolci canti,
mentre al vago seren de' lumi erranti
de la notte traean l'ore tranquille.
DORILLA
Or qual hai più di sospettar cagione?
Rischiara il guardo, a che più dubbia stai?
Qual rimbombo la terra, e 'l ciel rintuone
al partir de l'armate ancor non sai?
ARIANNA
Dolcissima speranza,
speranza esca de' cori, aura d'amore,
che sì soave mi lusinghi il core;
deh come volentier ti dà  ricetto
quest'affannato petto.
Deh s'il ciel sempr'arrida a' tuoi desiri
scorgimi ospite mio, scorgimi omai
ov'il mio sposo, ov'il mio ben rimiri.
DORILLA
Non lungi è il porto, or lieta
movi le belle piante
real donzella, e 'l cor turbato acquieta.
ARIANNA
Addio rimanti in pace amica schiera,
a' vostri dolci amori
torni lieto il mattin, lieta la sera.
CORO I°
Vanne felice, amor d'eterna gioia
appaghi, e ricompensi
de l'affannoso cor la breve noia.
CORO II°
Tolga benigna stella,
ch'oggi non sia il mio cor tristo indovino
d'infausta sorte, o misera donzella.
CORO I°
E che paventi tu, di che t'affanni?
Perché sì fisso miri
il cielo, e poi sospiri?
CORO II°
Pavento insidie, e inganni
a quei sì tener'anni,
e di tanta beltade
struggemi il cor nel petto
e dolore, e pietade.
CORO I°
Ond'è tanto timor? Non ti sia grave
scoprirlo a noi, deh mira
come teco ciascun sospira, e pave.
CORO II°
Tra i confin de la notte, e de l'aurora,
udiste voi di quel guerriero i detti,
ch'affrettava il partir? Notaste ancora
de l'altro i gesti, e i dolorosi affetti?
CORO I°
Vidi, e per quanto intesi,
così tra 'l sonno e la stanchezza vinto,
parvemi, che sospinto
da quel parlar possente
se ne partisse l'un tutto dolente.
CORO II°
Non v'accorgeste poi
qual timor distruggea la nobil donna?
Non udiste i sospiri, e i detti suoi?
CORO I°
Che narri? E che rammenti,
o misera donzella? Or ben conosco
che non senza cagion temi, e paventi.
CORO II°
Partirsi a l'aer fosco
vinto da l'altrui dire,
sospirar sì profondo, e pur partire:
lasciar sì bella donna
in sì deserto lido,
non è senza consiglio, o mondo infido.
CORO I°
Ma qual cor sì crudo
abbandonar potria tanta bellezza
in questo scoglio sì deserto, e nudo?
CORO II°
Beltà  là  non s'apprezza,
pietà  non punge, e non trionfa amore,
ov'arde i cori ambizioso onore.
CORO
Avventurose genti,
noi che lontan da le città  superbe
a le bell'onde a l'erbe
guidiam tranquilli i mansueti armenti.
O pur nel sen di Teti
tendiamo al muto gregge e lacci, e reti.
Entr'i placidi petti
non sa l'orme fermar molesta cura,
legge severa, e dura
non perturba d'amor gl'almi diletti;
amor ne scorge, e regge,
e sol quant'ei ne detta, è norma, e legge.
Paghi d'un dolce riso
luce non han per noi le gemme, e l'oro,
e qual maggior tesoro
d'un biondo crin s'ammira, e d'un bel viso?
Per noi gran regno è vile
graditi servi di beltà  gentile.
Ma tu superbo altero,
che notturno t'involi a' liti nostri,
là  tra le pompe, e gl'ostri
dannerai forse ancor l'empio pensiero,
e tra rie cure involto
sospirerai l'ardor di quel bel volto?

Scena sesta
Nunzio primo e coro di Pescatori.
NUNZIO PRIMO
Se su da l'alto cielo
dal braccio onnipotente
non scende o fiamma, o telo,
o se dal gran tridente
non va sossopra oggi de l'onde il regno,
se quel mal nato legno
non si traghiotton l'onde,
o frange in mille guise un duro scoglio,
(sia pur con vostra pace, o divi, o numi)
che sia giustizia in ciel creder non voglio.
CORO
Bell'è il tacer, dove grand'ira abbonda.
A piè del gran tonante
stassi l'inclita diva,
e se tarda tal'or move le piante,
severa più quanto più lenta arriva.
NUNZIO PRIMO
Pietà  mi scusi, e sdegno
se forsennata parla
la lingua, e di ragion trapassa il segno.
CORO
Qual giusto sdegno, od ira
così t'infiamma, e incende?
E per pietà  di chi tuo cor sospira?
NUNZIO PRIMO
Una gentil donzella,
ch'io non so mai se rugiadosa Aurora
spuntasse in sul mattin di lei più bella,
abbandonata, e sola, anzi tradita
piange la rotta fede,
piange l'empia partita
d'un amante infedele,
e tra caldi sospir sì bei lamenti
sparge pur dietro a le fuggenti vele,
ch'io non so come i venti
non s'arrestin pietosi, o come l'onda
mal grado pur del traditor infido
non risospinga al lido
l'infame legno, o come non s'asconda
in sempiterno occaso
Febo per non mirar l'orribil caso.
CORO
Ben son, ben son fallaci
le speranze mortali,
ma il sospetto, e 'l timor troppo veraci.
Ma come tanti legni
senza strepiti alcun sciolser dal porto?
NUNZIO PRIMO
Tromba non fe' sonar, ma muti segni
diè di partenza ingannator accorto.
CORO
O che lieve ingannar chi s'assicura,
ma fra tanta sventura
la misera, che fa, che pensa, o spera?
Deh di quanto hai sentito, e quanto hai visto
narrane prego a noi l'istoria intera.
NUNZIO PRIMO
Sovra quel nudo scoglio.
Là  dove i pesci ingordi
con l'amo, e con la canna ingannar soglio,
stava poco anzi il giorno
pur de le reti a la custodia intento,
quando ecco in un momento
veggio da l'alte navi
raccorre ancore, e cavi,
e le vele spiegar da l'alte antenne:
non eran lungi un tirar d'arco appena
l'umide prore a l'arenoso lido,
quand'a ferir mi venne
sì miserabil grido,
ch'il sangue m'agghiacciò per ogni vena;
volgomi, e per l'arena
donna veggio venir tutt'anelante:
ahi qual aspro governo
de le tenere piante
facea quel suol troppo sassoso, e duro,
o qual l'almo sembiante
nembo di duol copria torbido oscuro.
Non mai non mai, ve 'l giuro,
sì miserabil vista
a mortal guardo apparse;
gioco del vento sparse
le chiome a tergo avea,
e i lagrimosi lumi
fissi correndo pur nel mar tenea,
e le palme tendea
quasi arrestar, quasi abbracciar volesse
i fuggitivi legni,
che sordi al suo lamento
a par col vento se ne gian per l'onda.
CORO
Infelice donzella,
ah ben ti scorse a questi nostri lidi
fero tenor d'ingiuriosa stella.
NUNZIO PRIMO
Poiché correndo venne
ove l'onde del mar bagnan l'arene,
dal corso il piè ritenne,
e con voce di duol gridando disse:
«Volgiti ingrato, e mira
se quanto infido sei son io fedele.»
Indi nel mar s'affisse,
e piangendo riprese «Onda crudele,
crudel perché m'arresti?»
Scorgimi morta almen, se non in vita,
là  ove lacera, e guasta
mi rivegga il crudel, che m'ha tradita:
e ripigliando il corso
già  forsennata s'immergea ne l'acque;
ma giunto a' suo soccorso
schiera di pescator, com'al ciel piacque
la ritrasser da l'onda in sul terreno.
Ivi affannata, e stanca,
fredda qual neve, e bianca,
mancar gli spirti in quel leggiadro seno.
CORO
Ahi miserabil caso, ah fero inganno,
pur troppo di pietà  degno, e di pianto;
ma che seguì dopo cotanto affanno?
NUNZIO PRIMO
Ne le pietose braccia
di quell'amica gente,
così tra morta, e viva
abbandonossi alquanto;
poscia riprese un pianto,
che dolce sì da que' begl'occhi usciva,
che non pur l'alme, e i cori,
ma intenerir parea gli scogli, e i sassi:
più non soffrii mirar fra tai dolori
la nobil donna, e qui rivolsi i passi.
CORO
Misera giovinetta,
nel cui tenero seno
sì fiero stral, crudo destin saetta;
deh che farai per questo ermo terreno,
che farai tu d'ogni conforto lunge?
Se ne l'alto sereno
pietà  di te non giunge,
non so, non so qual fine
tanto cordoglio avrà  tante ruine.
Deh se tra gl'alti regi
son le frodi, e gl'inganni, e glorie, e pregi,
felici noi, cui destinaro i fati
abitator di solitarie arene,
per questi scogli amati
volan l'ore serene,
ne dan battaglia a i cori
fervida speme, e gelidi timori.
NUNZIO PRIMO
Se non m'inganna il guardo,
ecco la nobil donna,
deh come move il piè dolente, e tardo.

Scena settima
Arianna, Dorilla, coro di Pescatori.
ARIANNA
Lasciatemi morire,
lasciatemi morire,
e che volete voi, che mi conforte
in così dura sorte,
in così gran martire?
Lasciatemi morire.
CORO
In van lingua mortale
in van porge conforto,
dove infinito è il male.
ARIANNA
O Teseo, o Teseo mio,
sì che mio ti vo dir, che mio pur sei,
benché t'involi, ahi crudo, a gl'occhi miei.
Volgiti Teseo mio,
volgiti Teseo, o dio,
volgiti indietro a rimirar colei,
che lasciato ha per te la patria, e il regno,
e in queste arene ancora
cibo di fiere dispietate, e crude
lascerà  l'ossa ignude.
O Teseo, o Teseo mio
se tu sapessi, o dio,
se tu sapessi, ohimè, come s'affanna
la povera Arianna,
forse forse pentito
rivolgeresti ancor la prora al lito;
ma con l'aure serene
tu te ne vai felice, ed io qui piango.
A te prepara Atene
liete pompe superbe, ed io rimango
cibo di fere in solitarie arene.
Te l'uno, e l'altro tuo vecchio parente
stringerà  lieto, ed io
più non vedrovvi, o madre, o padre mio.
CORO
Ahi, che 'l cor mi si spezza;
a qual misero fin correr ti veggio
sventurata bellezza.
ARIANNA
Dove, dove è la fede,
che tanto mi giuravi
così ne l'alta sede
tu mi ripon de gl'avi?
Son queste le corone,
onde m'adorni il crine?
Questi gli scettri sono,
queste le gemme, e gl'ori?
Lasciarmi in abbandono
a fera, che mi strazi, e mi divori?
Ah Teseo, ah Teseo mio,
lascerai tu morire
in van piangendo, in van gridando aita
la misera Arianna,
ch'a te fidossi, e ti diè gloria, e vita?
CORO
Vinta da l'aspro duolo
non s'accorge la misera, ch'indarno
vanno i preghi, e i sospir, con l'aure a volo.
ARIANNA
Ahi, che non pur risponde;
ahi, che più d'aspe è sordo a' miei lamenti.
O nembi, o turbi, o venti
sommergetelo voi dentr'a quell'onde.
Correte orche, balene,
e de le membra immonde
empite le voragini profonde.
Che parlo, ahi, che vaneggio?
Misera, ohimè, che chieggio?
O Teseo, o Teseo mio,
non son, non son quell'io,
non son quell'io, che i feri detti sciolse,
parlò l'affanno mio, parlò il dolore,
parlò la lingua sì, ma non già  il core.
CORO
Verace amor, degno, ch'il mondo ammiri
ne le miserie estreme
non sai chieder vendetta, e non t'adiri.
ARIANNA
Misera, ancor do loco
a la tradita speme, e non si spegne
fra tanto scherno ancor d'amor il foco?
Spegni tu morte omai le fiamme indegne.
O madre, o padre, o de l'antico regno
superbi alberghi, ov'ebbi d'or la cuna:
o servi, o fidi amici (ahi fato indegno)
mirate ove m'ha scorto empia fortuna,
mirate di che duol m'han fatto erede
l'amor mio, la mia fede, e l'altrui inganno,
così va chi tropp'ama, e troppo crede
di magnanimo cor che morte sprezza.
DORILLA
Odo le voci, o figlia, o regia figlia
arma contr'il destin l'animo altero,
mira se ricovrar nel sen di morte
è di donna real degno pensiero.
ARIANNA
Nacqui regina, e ne l'antica Creta
fu bell'il viver mio, fin ch'al ciel piacque,
tempo è ch'io mora; al mio voler t'acqueta.
DORILLA
Qual si aggira, e per lo ciel si sente
confuso mormorar di voci, e squille,
odi, ch'a mille a mille
cantan guerriere trombe,
odi come rimbombe
di timpani e di corni il rauco grido.
Regina, al lido al lido,
ecco Teseo, che riede,
ecco l'amato sposo,
che temi omai, che tardi,
movigli incontro il piede,
ecco lo sposo tuo, che fai, che guardi?
ARIANNA
Vivo, moro, o vaneggio?
O pur son larva, od ombra?
Lassa, che far debb'io, che creder deggio?
DORILLA
Sgombra ogni tema, sgombra,
affisati colà  dond'il suon venne.
Non vedi omai, non vedi
il porto ingombro già  da mille antenne?
ARIANNA
Ma che sian di Teseo chi m'assicura?
Ancor pensi nudrir gl'aspri dolori
speranza iniqua? Ah mori
non cercar Arianna altra ventura.
DORILLA
Ne l'ampio sen di morte
ricovrar ponno ognor gl'egri mortali,
rifugio estremo a disperata sorte.
Ma de' tuoi gravi mali
forse non lungi è il fin, deh vien al lido,
non sprezzar le mie voci alma gentile,
s'ospite pur ti fui cortese, e fido.
ARIANNA
Io son, io son contenta,
scorgim'ov'a te piace;
ma ch'ei mi lasci, e spregi,
or torni, e mi raccolga, è folle speme:
non si lieve i pensier cangiono i regi.
CORO
Brevi momenti scopriranno il vero;
ma di vederti ancor lieta, e felice
nel cor mi dice un mio fatal pensiero.
Su l'orride paludi
de l'Acheronte oscuro,
sentier penoso, e duro,
per mostri orrendi, e crudi
fermò vedovo amante
l'innamorate piante.
Non le tre fauci immense
formidabil latrato,
non di Caron turbato
l'orride luci accense
da la sì dubbia impresa
arrestar l'alma accesa.
Quinci impetrò mercede
di nobil cetra al canto,
ma qual più degno vanto,
qual più sincera fede
scender al regno ombroso,
cambio d'amato sposo?
E pur pregio sì chiaro
ha femminil virtute,
quinci non fur già  mute,
ma sovra il sole alzaro
quasi nume celeste
le greche muse Alceste.
Deh se quell'arco stesso
pur tendi invitto arciero,
se di tue glorie il vero
narrami Amor, Permesso.
Ergi novo trionfo,
deh rieda omai Teseo.

Scena ottava
Nunzio secondo e Coro.
NUNZIO SECONDO
Spiega le penne d'oro,
fendi le nubi Amor nunzio giocondo,
tu le dolcezze loro,
e tu le glorie tue palesa al mondo.
Narrar pregi divin, gaudi celesti,
è per lingua mortal soverchio pondo.
CORO
Già  già  Tirsi gentil ne' tuoi sembianti
leggo la giocondissima novella:
pur giunse anima bella,
pur giunse il fin de' dolorosi pianti.
NUNZIO SECONDO
O quali, o quali amanti
oggi congiunge amore: o cieli, o stelle,
dite, vedeste mai, rotando intorno,
arder in sì bel foco alme sì belle?
CORO
Pur fe' ritorno, e pur cangiò pensiero:
o possanza, o virtute
d'un ignudo fanciul, d'un cieco arciero.
NUNZIO SECONDO
Non fu, non fu Teseo
quel che dianzi piegò le vele in porto;
altr'amante, altro sposo
ha messo in quel bel sen pace, e conforto.
CORO
Dunque quetar potero
altri, ch'il suo Teseo l'aspro tormento?
Deh di tanto stupore,
ch'al gioir mi fa lento,
sgombrami Tirsi omai, sgombram'il core.
NUNZIO SECONDO
Bacco, ch'in cento nomi
risonar glorioso il mondo sente;
Bacco, che d'oriente
mille tiranni, e mille mostri ha domi,
fervido amante ha sì gran foco accolto,
(fortunata donzella)
ch'altro non sa mirar, ch'il suo bel volto!
Né di men foco anch'ella
arde beata, e negl'amati lumi
affissa pur le tremule pupille,
che di dolenti stelle
pur dianzi scaturir torrenti, e fiumi
.
CORO
Provvidenza d'amor, gentil'aita,
spegner per nova fiamm'antico ardore,
e piagando sanar mortal ferita,
ma deh fanne palese
come qui giunge, e come
sì pronto amor le nobil alme accese?
NUNZIO SECONDO
Per far di mille palme, e mille allori
corona eterna a le paterne sponde,
correa l'onde profonde
bel vincitor de gl'indi il gran tebano.
Ma qui piegar convenne,
spinte dal vento le velate antenne.
CORO
O graziosi venti,
pur vi commosse il suon de bei lamenti.
NUNZIO SECONDO
Quando dal mar disceso
la bella donna scorse,
che perdut'ogni speme
empiea d'alti sospir l'aure serene,
ratto ver lei l'altere piante torse;
e visto (ahi vista oscura)
com'ei le fu davanti,
l'ammirabil beltà  disfarsi in pianti;
ne' lagrimosi rai di quel bel viso
l'immortal guardo affisse,
e con pietoso suon così le disse:
«Qual de le sacre dive
vegg'io, che su da l'alto
discende a sospirar per queste rive?
Deh chi fa lagrimar sì dolci lumi?
Qual move aspro destin sì crud'assalto,
che celeste beltà  turbi, e consumi?»
«Donna non pur mortale,
ma tra la mortal gente
la più misera vedi, e più dolente»,
rispose, e col bel velo
asciugando i begl'occhi,
sciolse un sospir, che lagrimonne il cielo.
Indi a contar si diede
come dal patrio regno
trasse fugace il piede,
per seguir l'orme de l'amante indegno:
e con sì dolci, e sì pietosi accenti
la dolorosa storia
tutta narrogli a pien de' suoi tormenti,
che nel celeste seno
di pietate, e d'amore
fiamme destò sì vive, e sì cocenti,
che si vedea nel volto ardergli il core,
e 'n suon più che mortale,
che ben lo palesar celeste prole,
queste sciolse dal cor dolci parole:
«Sgombra ogni duol, che la bell'alm'accora,
non fu degno di te terreno amante,
servo di tua beltà  t'ama e t'adora,
figlio immortal de l'immortal tonante.»
Al dolce suon de l'infiammate note
tacque modesta, e chinò a terra il ciglio
e d'un vago vermiglio
più bel che rosa colorì le gote.
CORO
O silenzio cortese,
quanto tacito più, vi è più facondo.
NUNZIO SECONDO
Ben da quel dio giocondo
fur del muto parlar le voci intese,
e quella man di tante palme altera
nuda le porse, ed ella
con la man bella in un le diede il core.
CORO
Fortunata bellezza,
bellezza al ciel gradita,
perch'un dio ti raccolga, un uom ti sprezza.
NUNZIO SECONDO
Arder l'onde, e l'arene,
e d'amoroso zelo
videsi in quel momento arder il cielo,
ma per l'aure serene
fermo su le bell'ali
al guardo de mortali
visibilmente dimostrossi Amore,
e con celeste suono
queste voci s'udir gioconde, e liete:
«Ardete anime belle,
entr'il bel foco mio beate ardete,
il vostro bel desio vien da le stelle,
de l'alte gioie mie
ecco tutto per voi verso il tesoro.»
Indi per l'alto ciel battendo i vanni,
le nubi colorì di luce, e d'oro.
Lampeggiò l'aere, e fuor del mar profondo
(spettacolo giocondo)
vidersi mille ninfe, e mille dive.
Ma de gl'allegri canti
odo il ciel, che rimbomba, amici, amici,
ecco gli sposi, ecco i reali amanti.

Scena nona
Coro di Soldati di Bacco.
CORO
Spiega omai giocondo nume
l'aure piume,
vien pur lieto, amor t'appella.
Stringi, stringi i dolci nodi,
stringi, e godi
d'allacciar coppia sì bella.
Di più raggi, o re del giorno,
splenda, adorno
questo dì bello, e gentile,
dì felice, e fortunato,
dì beato,
da segnar con aureo stile.

A l'aspetto sereno, al nobil volto,
(sembianze altere, e nove)
deh come degno appar figlio di Giove.
AMORE
Mirate o voi del cielo,
mirate, o voi mortali,
d'Amor l'altere glorie, o face, o strali.
ARIANNA
Gioite al gioir mio,
al gioir mio, ch'ogni pensier avanza,
talché di maggior ben non è speranza.
Sovr'ogn'uman desio
beato è il cor ch'ha per conforto un dio.
CORO
Fortunati sospir, pianti beati,
cui cotanto conforto
destinaron del ciel gl'eterni fati.

Scena decima
Venere uscendo dal mare.
VENERE
Avventurosa sposa,
di celeste amator godi gl'amori,
godi, e nel sen divin lieta riposa.
Ne le dolcezze tue vegg'oggi il mondo,
che sotto fé d'amor tradito core
sanno gli dèi del ciel tornar giocondo.

Scena undicesima
Giove aperto il cielo.
GIOVE
Dopo trionfi, e palme,
dopo sospiri, e pianti,
riposate felici, o ben nat'alme;
sovra le sfere erranti,
sovra le stelle, e 'l sole
seggio v'attende, o mia diletta prole.
BACCO
Ne l'eterno sereno
meco raccolta, entro gl'eterei scanni
lieta vedrai colmo d'ambrosia il seno,
sotto l'immortal piè correr gl'anni.
Ivi tra sommi dèi de l'alto coro,
le più lucide stelle
faran del tuo bel crin ghirland'alloro:
gloriosa mercé, d'alma, che sprezza
per celeste desio mortal bellezza.


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Ultimo aggiornamento 22 aprile 2020