Suite provençale, op. 152c

dalla musica di scena di Bertran de Born, op. 152a

Musica: Darius Milhaud (1892 - 1974)
  1. Animé
  2. Très modéré
  3. Modéré
  4. Vif
  5. Modéré
  6. Vif
  7. Lent
  8. Vif
Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, percussioni, archi
Composizione: Parigi, maggio - giugno 1936
Prima esecuzione: Venezia, Festival della Biennale, 12 settembre 1937
Edizione: Editions Salabert, Parigi
Guida all'ascolto (nota 1)

Si cercherà invano la Suite Provençale tra le composizioni orchestrali di Darius Milhaud, se l'elencatore delle sue opere si sia riferito alle origini delle musiche piuttosto che al genere di esistenza che queste hanno finito per scegliersi. La Suite riunisce di fatti il gruppo di musiche di scena che il compositore scrisse nel 1936 per le rappresentazioni di «Bertrand de Born», un «jeu de trouvères» di Valmy-Basse destinato al Teatro Antico di Orange che egli vagheggiava a quel tempo come la cornice ideale per un nuovo genere d'arte popolare.

Ma, mentre di quello spettacolo non si è più sentito parlare, la Suite è divenuta la composizione più nota e più eseguita del fecondissimo musicista. La concezione che ha Milhaud della musica di scena come di momento lirico della vicenda parlata, senza finalità descrittive o troppo strettamente funzionali, favorisce di per sè il loro passaggio al concerto (come è stato di quelle per «L'Annonce fait à Marie» di Claudel e, con particolare successo, di quelle per «Le Chàteau de Papes» ribattezzate «La Cheminée du Roi René». Nel caso della Suite odierna c'è qualcosa di più specifico tuttavia a determinare la fortuna che ha poi raccolto. Senza in alcun modo abbandonare le caratteristiche del suo stile, tutt'altro che inafferabili nonostante il cosiddetto eclettismo, Milhaud, nativo di Aix - en - Provence e rimasto legato alla sua terra quanto più le vicende l'hanno allontanato, soddisfa in queste musiche l'amore del paese con una serie di autentiche immagini provenzali. Mistral come Cezanne ed anche un po' di Tartàrin vi si ritrovano. Ma alla maniera essenziale e antipittoresca dell'artista contemporaneo; per analogie ancora una volta, per via di sonorità - queste nette e talora agre sonorità che si temprano nelle armonie come le linee e i colori di un paesaggio scavato dalla gran luce -, per via di ritmi - quelli delle danze festose le «tambourinaires», le «farandoles» e quelli di gravi Cadenze nostalgiche a specchio della saggia tristezza che è in fondo alla giocondità dei popoli mediterranei - non per descrizione od imitazione.

«Tutto ciò che fa la vita della musica si sente che è qua di autèntico stile, dello stile che corrisponde al pensiero provenzale» commenta il Collaer, giudicando come questa sia inoltre la «giusta maniera di essere popolari».

Emilia Zanetti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Teatro Argentina, 20 dicembre 1950


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Ultimo aggiornamento 3 giugno 2017