Concerto per due pianoforti e orchestra, op. 228


Musica: Darius Milhaud (1892 - 1974)
  1. Animé
  2. Funèbre
  3. Vif et précis
Organico: 2 pianoforti solisti, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 2 tromboni, basso tuba, timpani, percussioni, archi
Composizione: Oakland, Mills College, giugno - novembre 1941
Prima esecuzione: Pittsburgh, Carnegie Music Hall, 13 novembre 1942
Edizione: Elkan Vogel, Bryn Mawr (Pensilvania)
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1962, compiendo il suo 70° anno d'età, a un giornalista che lo intervistava, Darius Milhaud diceva: « J'atteins l'Opus 400 en cette année que j'appelle celle de mon centenaire... » Non sappiamo a quale numero d'opera sia arrivato ora, ma ricordiamo quale lavoratore infaticabile egli sia sempre stato. A guardare il catalogo della sua produzione c'è da restare stupiti: una quindicina di opere teatrali (talune di proporzioni monumentali), una dozzina di balletti, musiche di scena, una ventina tra Oratori e Cantate," undici sinfonie e un'altra dozzina di composizioni sinfoniche, diciotto quartetti, Concerti per quasi tutti gli strumenti, numerosissime composizioni da camera strumentali e vocali... E' una produzione che potrebbe bastare a riempire la vita di parecchi musicisti. Già nel 1925 Boris de Schloezer cercava di spiegare una tale fecondità: «La produzione di Milhaud così feconda ed importante è dovuta, prima d'ogni altra cosa a un ritmo di lavoro davvero formidabile, aiutato da uno spirito d'ordine e metodico, da una applicazione intensa e da una tecnica molto sicura... Ma tutto questo fa parte della natura musicale del compositore: la qualità di questa musica, ciò che costituisce il suo carattere specifico, è ch'essa implica necessariamente una certa generosità, una produzione che non rallenta mai. ...Per Milhaud ogni impressione subisce una specie di trasposizione sonora... e, acquistando una esistenza sonora, le cose rivestono un aspetto particolare caratteristico di Milhaud e s'impregnano della sua personalità; ... l'arte di Milhaud è soggettiva, poiché la musica, per lui, è un mezzo per esprimersi, per realizzare la propria individualità; al mondo, ch'egli considera sotto un aspetto musicale, egli aggiunge qualcosa che non appartiene che a lui, ed è il suo universo che noi ritroviamo sotto l'aspetto sonoro che la composizione conferisce alla realtà, quale essa sia...». Quest'ultimo inciso è sufficiente a spiegare la diversità degli argomenti affrontati dal musicista nella sua vasta produzione. E Claude Rostand aggiunge: «Naturalmente una produzione così abbondante comporta una parte di zavorra: è questo lo scotto da pagare alla fecondità... Ma col passare degli anni ci -si accorge che ciò che rimane di tal produzione - e ne rimane per un numero impressionante d'ore di musica conserva la sua freschezza e soprattutto quello autentico slancio, quello zampillare perenne che segna le grandi riuscite del musicista...».

Il Concerto per due pianoforti e orchestra è stato composto in America nel 1941 su richiesta dei pianisti Vronsky e Babin che ne diedero la prima esecuzione a Pittsburg sotto la direzione di Fritz Reiner. E' il tredicesimo della trentina di concerti ch'egli ha composto per quasi tutti gli strumenti (persino per armonica, e per marimba). Richiesto della sua opinione su questa iforma d'arte, Milhaud rispondeva: «Amo il problema offerto dal Concerto, questo problema che consiste - o dovrebbe consistere - nell'offrire a uno strumento e a un interprete la possibilità di sfruttare, di spiegare tutte le risorse tecniche (un concerto deve essere difficile), salvaguardando tutti i diritti della musica. Voglio dire che bisogna che la trama musicale dell'opera sia ben serrata, densa, pur lasciando al virtuoso la possibilità di rivelare tutte le proprie qualità, come un cavallo di razza può fare in una corsa».

Il Concerto per due pianoforti e orchestra risponde perfettamente a queste premesse. E' composto in quel linguaggio politonale che Milhaud si è creato ed ha adottato fin dai suoi primi lavori; tale linguaggio però non gli impedisce di far convergere le sue linee musicali verso una conclusione perfettamente ortodossa. Il primo tempo del Concerto, infatti, conclude su un accordo di fa, il secondo su uno di la, e l'ultimo su un accordo di do maggiore, senza che ciò vada a scapito dell'unità stilistica.

I due pianoforti lavorano, per cosi dire, «in coppia» gareggiando in virtuosità: non «dialogano» tra loro se non in qualche brevissimo episodio del movimento centrale; generalmente sono sempre, insieme, in primissimo piano. Nel primo e nel terzo tempo sono impiegati in modo molto brillante come strumenti a percussione e sfruttano tutte le loro possibilità timbriche; nel secondo tempo invece vengono impiegate in gran parte le loro qualità melodiche ed espressive.

Formalmente il lavoro si compone di un movimento lento - un Funebre che sta al posto del tradizionale Andante, basato sopra un'ampia melodia proposta da tutti i violini raddoppiati dagli ottoni - inquadrato tra due Allegro brillanti quasi dal carattere di «Perpetuum mobile».

L'orchestra, che collabora efficacemente ma con discrezione alla riuscita del lavoro, è esemplare per leggerezza e trasparenza.

Domenico De' Paoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 dicembre 1969


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Ultimo aggiornamento 4 maggio 2017