Aubade, op. 387


Musica: Darius Milhaud (1892 - 1974)
  1. Vif
  2. Nonchalant
  3. Vif
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 2 tromboni, timpani, percussioni, arpa, archi
Composizione: Oakland, Mills College, 5 - 10 ottobre 1960
Prima esecuzione: Oakland, Mills College, 14 marzo 1961
Edizione: Heugel & Cie., Parigi
Guida all'ascolto (nota 1)

Composta a Mills nel 1960 per commissione dell'Orchestre Symphonique d'Oakland (California). Si tratta di una composizione di un certo respiro. Il tema iniziale del primo Vivo sorge da alcune quartine dei violini e da pizzicati delle viole e dei violoncelli, un tema che si ripresenterà via via suddiviso, interessando anche gli strumenti a fiato. Il movimento sosta per riprendere poi quasi subito, e con maggiore impegno, con l'impiego di flauti, oboi, clarinetti e fagotti. La vitalità del tema iniziale è dunque sempre presente, a volte rafforzata anche dalla batteria, fino a che tutto si va semplificando col penetrare nelle sonorità più lievi e concludendo con un accordo con sordine ai fiati e con un pizzicato negli archi.

Il secondo tempo, Svogliato, trova collegati flauti e violino solista, ma presto allo strumento a fiato si sostituiscono i corni. Il tema è semplice, ispirato nel suo quieto andamento in 6/8. Quindi i violini cantano tutti insieme con gli altri archi e le trombe, con interventi dei corni e dei clarinetti, raggiungono il registro acuto. Poi le sonorità diminuiscono di intensità fino a far usare la sordina agli archi. Ecco alcune volute dell'oboe, dei flauti, anche delle viole; dopo un rullio in pianissimo dei timpani e una riapparizione del violino solo, il tempo si spegne su sonorità estremamente deboli.

Terzo tempo: altro Vivo; un accordo brusco degli archi e della percussione e via un tema brillante che apparirà negli strumentini sempre marcato da accordi degli archi, fino a che restano accoppiati flauti e fagotti. Quindi una nuova idea tematica che si svolge con una certa ampiezza e con interventi vari, sempre brillante e sempre viva, con glissati di arpe e brevi apparizioni della percussione. Gli strumentini si divertono nello svolgimento, alimentati anche dal frequente mutare della battuta. Le varie idee tornano e si fondono una con l'altra: interessanti un passaggio cromatico degli archi, un'apparizione dei corni, alcune volute del flauto fino a che gli archi riprendono il sopravvento. Alcuni scambi di idee tra archi e fiati riconducono al clima iniziale e tutto termina brillantemente e nelle sonorità più forti, su un accordo a cui prende parte tutta l'orchestra.

Mario Rinaldi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 26 gennaio 1966


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Ultimo aggiornamento 25 maggio 2017