Les Choéphores, op. 24

Seconda parte di L'Orestie d'Eschyle

Musica: Darius Milhaud (1892 - 1974)
Libretto: Eschilo tradotto da Paul Claudel
  1. Vocifération funèbre
  2. Libation
  3. Incantation
  4. Presage
  5. Exhortation
  6. La justice et la lumière
  7. Conclusion
Organico: soprano, baritono, voce recitante, coro misto, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 4 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, percussioni, arpa, archi
Composizione: Parigi - Lione - Aix-en-Provence, 1915 - 1916
Prima rappresentazione: Bruxelles, Théâtre De la Monnaie, 27 marzo 1935
Edizione: Heugel & Cie., Parigi
Dedica: Charles Koechlin
Guida all'ascolto (nota 1)

« Je suis un Français de Provence et de religion Israelite ».

Così Darius Milhaud inizia le sue Notes sans musique, affermando subito la sua natura di musicista mediterraneo e di spirito religioso: due costanti che ritroveremo in tutta la sua abbondantissima produzione. Ci ricorda inoltre che se suo padre faceva parte d'una famiglia del Comitat Venaissin, sua madre, Sophire Allatini, quantunque nata a Marsiglia, apparteneva ad una famiglia italiana, di Modena, emigrata in Francia.

I suoi doni musicali si rivelarono ben presto: aveva tre anni, quando la madre lo sorprese al pianoforte a ricostruire la melodia di Funiculì-Funicolà che aveva udita qualche giorno prima. Qualche anno dopo il ragazzo fu affidato a Leo Bruguier che diventò il suo professore di violino e lo iniziò alla musica da camera. Nel 1904, per volontà del suo insegnante, Milhaud (aveva dodici anni) entrò a far parte del «Quartetto Bruguier»: ciò lo mise a contatto vivo con gran parte della produzione cameristica classica e moderna. I suoi genitori lo conducevano spesso a Marsiglia a sentire concerti sinfonici e da camera. Nel 1919 entrò al Conservatorio di Parigi, formò un suo «quartetto», ascoltò con entusiasmo Pelléas e Boris, si annoiò alla Tetralogia... Componeva moltissimo, ma non arrivava a realizzare bene (cioè scolasticamente) un «basso» o un «canto dato»; ciò che sconcertava i suoi maestri. Uno dei quali, Henry Rabaud lo presentò ad André Gedalge. Finalmente il giovane provenzale aveva trovato il maestro che ci voleva per lui. Nel 1910 comincia la sua prima opera drammatica La brebis égarée sul testo di Francis Jammes, nel 1912 compose il suo Premier Quatuor, e in quello stesso anno, grazie all'intervento di Jammes, incontrò Paul Claudel: incontro che doveva avere una grande influenza su di lui e la sua carriera. Fu in quello stesso anno che mise in musica i Sept Poèmes de la Connaissance de l'Est. Quando Claudel li ascoltò, disse al musicista: «Vous etes un male!» e gli parlò immediatamente de L'Orestiade di cui aveva cominciato la traduzione. - Qualche anno più tardi, nominato ambasciatore a Rio de Janeiro, Claudel condusse Milhaud con sé. Dei due anni passati in Brasile, Milhaud scrive: «Les Tropiques m'ont marqué profondement. Les deux ans passés à Rio de Janeiro ont exalté en moì toute ma latinité naturelle, et cela jusqu'au paroxisme». Ciò spiega perché il musicista tenga ancora alle opere composte in quel periodo. Ritornato in Francia nel 1918, nei tre anni seguenti Milhaud visse in un turbine d'idee, di forme e modi nuovi, di lotte e di polemiche ... E' il periodo dei «Six»: periodo nel quale Milhaud (con Honegger, Poulenc, Auric, ecc.) si affermò definitivamente, anche se la sua personalità, allora, sconcertava non poco i contemporanei: sia per la sua fecondità, sia per il fatto di servirsi di un nuovo linguaggio: la «politonalità». Come sempre, questo nuovo linguaggio ebbe fautori e avversari decisi. Alla politonalità Milhaud s'interessava fin dal 1914: si può dire che questo linguaggio gli era congenito. Nel 1923 affermava: «La Polytonalité et l'Atonalité ne sont pas des systemes arbitraires. Elles sont, l'une, le développement de l'harmonie et du contrepoint diatoniques, l'autre du chromatisme, et devraient à ce titre faire l'object d'études téchniques complementaìres... Ce qui determinerà la caractère polytonal ou atonal d'une oeuvre, ce sera bien moins le procede d'écriture que la melodie essentìelle qui en sera la source, et qui vieni du "coeur" seul du musicien...» (Notevole il fatto che, nel 1923, un musicista d'«avanguardia» parlasse di melodia essenziale che sgorga dal «cuore» del musicista).

Non era solamente la novità del linguaggio che sconcertava: era anche, e forse più, l'appetito di cose musicali che animava il compositore. Il quale, se riconosceva l'importanza della tradizione, non esitava a sfruttare tutti i mezzi musicali espressivi del suo tempo e ch'erano a sua portata: il jazz, il folklore, persino certi procedimenti della musica leggera, del caffè-concerto, delle orchestre delle fiere popolari... Tutto gli interessava, sfruttava tutti i mezzi che credeva opportuni creando opere d'ogni genere - musica da camera, musica sinfonica, balletti, opere teatrali, musiche per film ecc. -, opere animate da una straordinaria vivacità ritmica, da una ricchezza melodica che sembrava inesauribile, di una grande sicurezza di scrittura e di costruzione, di un'ariosità e di una luminosità mediterranee. Fu, allora, uno dei compositori più aspramente discussi (il che è una dimostrazione della sua importanza), sia a causa del suo linguaggio che delle sue idee estetiche. Ma già fin d'allora Schoenberg scriveva di lui: «Milhaud mi sembra il rappresentante più significativo delle attuali tendenze nei paesi latini, per il suo linguaggio politonale. Se questa tendenza mi piaccia oppur no, è una questione affatto secondaria. Ma trovo che Milhaud ha moltissimo talento». Non era poco, tanto più se si ricorda che cose simili sul musicista provenzale, scrivevano Ravel, Satie ed altri musicisti.

Da allora la vita di Milhaud si confonde sempre più con la sua opera: un'opera varia, intensa, straordinariamente ricca. E di una varietà e di un'abbondanza da richiamare alla memoria la produzione di certi antichi maestri. Tale abbondanza avrebbe potuto portare un altro musicista a una certa qual faciloneria: in Milhaud no: tutto è ben pensato e ben risolto. Che nella sua abbondantissima produzione (che conta circa cinquecento numeri d'opus, e comprende tutti i generi di composizione possibili) vi sia una parte meno felice, è possibile: ma per ciò che in essa resta di vitale (e non è poco), possiamo sottoscrivere ciò che Paul Collaer scriveva nel 1947: «La musique de Milhaud n'est pas objective, mais spirituelle, d'essence religieuse. Elle relie toutes choses par la vertu de la sensibilité humaine. Elle fait des objects, des plantes, des animaux, des hommes eux-mèmes pris comme individus, le témoins du drame de l'Homme, du drame éternel et invariable. Ce n'est pas seulement un de ses poèmes plastique qui porte le titre "L'homme et son desir": c'est son oeuvre entière qui pourrait s'intituler ainsi, chantant la douler de l'homme en présence de l'impossibilité du bonheur, son regret d'une perfection qu'il n'atteindra pas, et son élan vers Dieu, vers tonte perfection, vers tonte consolation, vers l'Esprit en qui tout se résout et se simplifle».

Les Choéphores è la seconda parte della trilogia L'Orestie di Eschilo, tradotta da Paul Claudel. Nel 1913 il poeta aveva domandato al musicista di voler scrivere la musica per Agamennon da lui tradotto: e Milhaud aveva composto una musica per la scena in cui Clitennestra, dopo aver ucciso Agamennone, esce dalla reggia brandendo l'ascia insanguinata e si scontra col coro degli Anziani. Le Coefore, composto nel 1915-'16, comprende sette episodi; Le Eumenidi, la parte finale della grandiosa trilogia eschiliana tradotta da Claudel, fu musicata integralmente, e richiese al compositore cinque anni di lavoro: dal 1917 al 1922.

In Le Coefore, tutta la casa soffre del delitto di cui è stata macchiata: più che ogni altro ne soffrono Elettra - la figlia di Clitennestra - e le ancelle fedeli. Inviate dalla regina adultera ed assassina a recare un'offerta sulla tomba di Agamennone per placare un sogno infausto, esse invece invocano la vendetta. E il vendicatore giunge: è Oreste, il fratello che Elettra salvò fanciullo dallo sterminio e che ora viene a vendicare l'uccisione del padre. L'oracolo di Apollo gli ha minacciato mali orrendi s'egli non compirà la vendetta uccidendo la coppia adultera, Egisto e la madre Clitennestra. Ed Oreste uccide i due colpevoli. Ma il suo delitto lo travolge: le Eumenidi, le punitrici dei delitti consanguinei, lo perseguitano e non gli danno requie; la lebbra dell'antica colpa si abbarbica sempre più rigogliosa sui discendenti della stirpe degli Atridi.

Le Coefore si dividono in sette episodi: Vocifération, funèbre, Libation, Incantation, Présage, Exhortation, La Justice et la Lumière, Conclusion. In ognuno di essi Milhaud impiega costantemente una scrittura politonale, ma per sostenere una melodia nettamente diatonica lo slancio ritmico della quale, nella Vocifération si presenta come una marcia ansante, precipitosa, e dove la tonalità di do maggiore spicca vigorosa sugli accordi dissonanti dell'orchestra. Nella Libation, il compositore ha eseguito il suggerimento del poeta il quale desiderava - per l'invocazione di Elettra ai mani del padre - che la musica evocasse, anzitutto, il movimento del calice libatorio che viene elevato lentamente. Neìl'Incantation (per soprano, baritono, coro di soprani e orchestra), le voci dei solisti si alternano con quelle del coro in strofe di un'ampio movimento drammatico; ed alla fine l'orchestra diviene più luminosa sovrapponendo le tonalità di do maggiore, di sol maggiore e di la minore. Présages ed Exhortation sono di un carattere selvaggio, realizzato dalla voce di un recitante e da cori parlati-ritmati, scanditi con violenza, ai quali si aggiungono sibili stridenti mentre un'orchestra di strumenti a percussione scandisce il testo ed i clamori. - Il coro delle Coefore che canta la Giustizia ritornata infine alla dimora di Agamennone - «la Justice dont la colere à ses ennemis souffle la mort» è sostenuto da accordi pesanti di tutta l'orchestra. Infine la Conclusion riconduce il parlato-ritmato già apparso nei Présages e nell'Exhortation, e termina in un «pianissimo» su un'interrogazione che lascia la tragedia come in sospeso.

Domenico De' Paoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia.
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 febbraio 1977


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Ultimo aggiornamento 27 aprile 2017