Sinfonia n. 3 in la minore per orchestra "Scozzese", op. 56 (MWV N 18)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Andante con moto (la minore). Allegro un poco agitato. Assai animato
  2. Vivace non troppo (fa maggiore)
  3. Adagio (la maggiore)
  4. Allegro vivacissimo (la minore). Allegro maestoso assai (la maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Berlino, 20 Gennaio 1842
Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 3 Marzo 1842
Edizione: Breitkopf & Hartel, Lipsia, 1842
Dedica: alla regina Vittoria
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dopo l'esecuzione della sua Sinfonia n. 1 (la sua prima Sinfonia per orchestra completa, trasformazione dell'ultima delle tredici Sinfonie giovanili per archi), Mendelssohn si recò in Scozia, in compagnia dell'amico di famiglia Carl Klingemann, scrittore, librettista e allora anche consigliere di legazione a Londra.

L'itinerario del viaggio condusse i due amici a Edimburgo, dove giunsero il 28 luglio del 1829 e dove rimasero particolarmente impressionati dall'Holyrood Palace. Il giovane Mendelssohn, ammiratore del teatro di Schiller, non poteva mancare di visitare i luoghi storici legati a Maria Stuarda, fra cui le rovine della cappella dove era stata incoronata la sventurata regina. Il 30 luglio il compositore poteva scrivere ai suoi familiari: «Oggi, in questa antica cappella, credo di avere trovato l'inizio della "Sinfonia scozzese"».

Mendelssohn avrebbe poi abbozzato il primo tempo della "Scozzese" nel corso del suo soggiorno romano del 1831, pressoché simultaneamente allo schizzo della Sinfonia "Italiana", ma quell'abbozzo doveva rimanere per il momento nel cassetto. L'ambiente romano rendeva incapace il compositore «di ritornare indietro coi sentimenti nel brumoso paesaggio scozzese». Quel germe originato dal viaggio scozzese del 1829 avrebbe dovuto aspettare oltre un decennio per essere completamente sviluppato; sì che la Sinfonia "Scozzese" sarebbe rimasta in realtà l'ultimo dei cinque lavori sinfonici del compositore (anche se le complesse vicende editoriali delle differenti Sinfonie hanno poi portato a un ordine di pubblicazione differente da quello di composizione, da cui la numerazione svincolata dalla cronologia; la "Scozzese" è nota infatti impropriamente come la terza delle cinque Sinfonie).

Di fatto la futura Sinfonia op. 56 sarebbe stata ripresa solamente nel 1841, in un momento di intensissima attività. Conclusa nel gennaio 1842, la "Scozzese" venne poi dedicata alla regina Vittoria ed eseguita in estate presso la Società Filarmonica di Londra, sotto la direzione dello stesso autore.

Colpisce, nella ricostruzione della lunga gestazione della partitura, la nitidezza dell'idea primigenia, la precoce e precisa determinazione di comporre una sinfonia "scozzese". Per un giovane compositore della nuova leva romantica l'approccio con il genere sinfonico comportava certamente delle difficoltà che la precedente generazione di autori non aveva conosciuto. Difficoltà di ordine innanzitutto concettuale. Se il genere sinfonico era stato per Haydn, Mozart, il giovane Beethoven ancora un genere di intrattenimento, i capolavori sinfonici beethoveniani avevano donato al genere uno spessore intellettuale per cui la forma in quattro movimenti doveva essere veicolo di forti tensioni ideali. Le partiture beethoveniane, considerate esempi di inattingibile perfezione, costituivano anche delle pietre di paragone difficilmente emulabili. Lo stesso Schubert si era dibattuto per anni nella creazione di una "grande" Sinfonia, che poi proprio Mendelssohn avrebbe portato alla prima esecuzione postuma nel 1839 a Lipsia.

Di qui la necessità di rendere il genere sinfonico l'espressione di un percorso ideale, i cui contenuti erano però tutti da definire. La sensibilità romantica di Mendelssohn doveva portare il compositore a trovare anche in una tipologia paesaggistica, naturalistica, la giusta risoluzione del problema. Di qui l'idea di una Sinfonia "Scozzese", come di una "Italiana", i cui obiettivi non sono però certo descrittivi, i cui esiti non sono folcloristici. Non a caso nel corso del suo viaggio scozzese Mendelssohn guardò con sufficienza e quasi con astio alle melodie popolari e alla musica etnica con cui ebbe occasione di venire in contatto - nonostante poi la "Scozzese" ricrei a suo modo degli echi popolari. Piuttosto, la finalità era quella di rievocare atmosfere e impressioni del viaggio giovanile in modo da donare unità concettuale e continuità narrativa ai quattro movimenti della forma sinfonica - indicativo che l'autore volesse i quattro movimenti eseguiti senza soluzione di continuità.

Ecco dunque che la Sinfonia "Scozzese" si presenta come fortemente unitaria e insieme diversificata al suo interno. Il primo tempo è introdotto da un Andante con moto di impostazione grave e solenne, in cui la sinuosità del fraseggio e la tonalità minore si riallacciano alle impressioni della cappella di Maria Stuarda. La stessa atmosfera si proietta sull'Allegro un poco agitato che completa il primo movimento, in cui si impongono l'intonazione drammatica e l'orchestrazione massiccia; non viene mai meno tuttavia il ferreo dominio della forma e infatti questo primo tempo appare frutto di una complessa scrittura; i temi principali sbocciano l'uno dall'altro in continuità, donando varietà coloristica all'idea di base, e la sezione dello sviluppo procede secondo una complessa elaborazione che avvicenda plasticamente situazioni differenti ma coerenti. Una procella sembra venire evocata dalla lunga coda, ricca di passaggi cromatici e di forti contrasti.

Rispetto ai consueti canoni sinfonici Mendelssohn inverte i due tempi centrali, premettendo lo Scherzo al tempo lento. E il Vivace non troppo - che inconsuetamente segue la forma-sonata - è uno dei tipici movimenti "magici" di Mendelssohn, filiazione diretta di quello del Sogno di una notte di mezza estate, nella agitazione perpetua come nella scrittura sussurrata, trasparente, nell'intreccio delle voci strumentali. Caratteristico è il motivo pentatonico del clarinetto, all'inizio, come anche la conclusione in pianissimo. Una sorta di recitativo dei violini immette nel tempo lento, in forma di Lied, un Adagio dove la melodia innodica, intensa e plastica, viene accompagnata da pizzicati e trova un netto contrasto nella seconda idea, in minore e esposta dai fiati, quasi marcia funebre. Le riprese del tema vedono poi una veste strumentale impreziosita dall'aggiunta di voci secondarie e dal passaggio del tema alle voci gravi o ai fiati.

Aperto da uno scoppio folgorante, il finale, Allegro vivacissimo, è un movimento di grande forza drammatica, internamente percorso da una straordinaria energia ritmica, che lascia comunque spazio alla seconda idea, nitidamente scandita dai fiati. Lo sviluppo appare assai variegato, con elaborazioni fugate del materiale, preziosi giochi strumentali, improvvisi contrasti e sfocia in una ripresa abbreviata, che prende l'avvio dal secondo tema. Interessante è che questo movimento subisce una subitanea conversione nella conclusione; subentra infatti un Allegro maestoso assai, con un tema innodico in maggiore che si eleva in apoteosi, ottenendo il doppio risultato di offrire una chiusa di grande effetto e di riaffermare quella logica di varietà nella continuità che è una delle principali ragioni d'essere della mirabile partitura.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dalle diciassette Sinfonie lasciate da Mendelssohn, la «Scozzese», entrata a far parte del catalogo dell'opera sua col numero tre, fu l'ultima in ordine di tempo ad esser composta; situazione cronologica capace di per sé, anche non volendo scorgervi il coronamento della produzione del suo autore in questo campo, di conferirle speciale rilievo; ciò che più conta, assieme all'«Italiana» (1830-33] essa è l'unica, se mettiamo da parte le dodici scritte dal musicista ancora adolescente e prive di numero d'opus, e quella pubblicata come «Prima» nel 1828, che presenti i caratteri e le forme di una Sinfonia propriamente detta: che l'intenzione fra programmatica e celebrativa della «Quinta», detta «La riforma» (1829-30), e la sua conseguente libertà formale, cosi come la struttura di grande cantata sinfonica della «Seconda» (1840), paiono ascrivere queste due ad un ordine di idee affatto diverso, e proporne tutt'altro interesse storico ed estetico.

Terminata nel 1842 e pubblicata l'anno successivo, la «Scozzese» si era però affacciata alla mente di Mendelssohn già dal 1829, durante un viaggio nelle isole britanniche destinato ad avere grande importanza nella carriera del musicista, e fors'anche a rivelargli orizzonti poetici particolarmente congeniali. Giunto a Londra alla fine d'aprile, si fece conoscere ed apprezzare come compositore, pianista, direttore d'orchestra; ed il clamoroso successo ottenuto sancì l'inizio della fortuna di Mendelssohn in Inghilterra, avviando un rapporto lungo e felice fra il musicista e il paese, che fini per farne quasi un maestro nazionale, anche se «importato», accogliendolo come una seconda patria. Si trattò certo di un'istintiva affinità con un ambiente, una società; ma soprattutto, Mendelssohn dovette percepire immediatamente, fin da questo primo soggiorno nelle isole, la sottile corrispondenza del paesaggio inglese, dei quadri che esso offriva ai suoi occhi, con la sua particolare intuizione della natura: Che era qualcosa di profondamente diverso (se non di radicalmente opposto) da quella di Schumann o dagli altri grandi maestri del romanticismo tedesco: per Mendelssohn la natura non è un mondo misterioso, in cui addentrarsi (secondo i modi ideali di un «wandern» in fondo privo di una meta, e forse inconscio del proprio stesso punto di partenza) con la più completa libertà fantastica, ora perdendosi nel respiro di emozioni paniche, ora rabbrividendo di immemoriali paure; bensì uno spazio da attraversare con la calma e la sicurezza di un turista sensibile, fermandosi a contemplarne gli aspetti più suggestivi di sensazioni non necessariamente gioiose, magari, ma sempre riconducibili ad una serena visione della vita dentro e fuori di noi.

Da impressioni di carattere originariamente visivo, colte con immediata naturalezza pittorica (Mendelssohn, fors'anche grazie all'educazione ricevuta nella casa paterna, non era privo di talento e di capacità come disegnatore e acquarellista), nasceva l'intuizione musicale: un tema, un timbro, un colore espressivo. Cosi avvenne, durante il viaggio inglese di Mendelssohn, per l'Ouverture «Le Ebridi», per la stessa Sinfonia «Scozzese»: alla fine di luglio, durante una visita a Holyrood Palace, le rovine della cappella dove Maria Stuarda era stata incoronata regina di Scozia colpiscono la fantasia del giovane musicista, che «trovò» il tema per l'introduzione della Sinfonìa, fondamentale alla costruzione dell'opera come all'affermazione del suo clima poetico. L'elaborazione della Sinfonia sarà lunga, come s'è visto, e intrecciata alla composizione di molti altri, importantissimi, lavori; quando vi si dedicherà con decisione, Mendelssohn sarà ormai nel pieno della sua maturità di compositore, e capace più che mai di concretare l'intuizione espressiva in una consapevolezza formale olimpicamente predominante sull'impeto dell'emozione (il contrario, ancora una volta, di quanto non stia avvenendo nei medesimi anni per Schumann, nei suoi primi scontri con la grande forma sinfonica).

Ciò non importa, comunque, che Mendelssohn monti le strutture della sua ultima Sinfonia con pedante ossequio alle forme classiche: c'è anzi in lui l'intenzione di fondere i quattro movimenti tradizionali in un'unica, fluida creazione poetica, da eseguirsi senza soluzione di continuità fra un tempo e l'altro, con un'introduzione e una conclusione di carattere contrastante ma reciprocamente complementari a far da cornice; e potrebbe rispondere a questo stesso scopo la rinuncia allo Scherzo tradizionale, che con la sua forma ternaria, più evidentemente chiusa in se stessa, avrebbe reso difficile tale continuità, con un movimento rapido di struttura bitematica.

L'idea musicale dell'introduzione (in tempo «Andante con moto») assicura l'unità dell'intera Sinfonia ricomparendo, sia pur resa pressoché irriconoscibile da profonde modificazioni nel ritmo e negli intervalli, in tutto il materiale tematico dei movimenti successivi; più che un tentativo verso la forma ciclica, si tratta di un'esigenza di ordine, di coerenza interiore pur nell'estrema varietà degli effetti, riscontrabile nella stessa orchestrazione della Sinfonia, in cui i timbri dei clarinetti, dei quattro corni (unico allontanamento di Mendelssohn dall'organico classico), dei violoncelli, si pongono in particolare luce con una pienezza di significati evocativi uguagliata solo, più tardi, da Brahms, riuscendo tuttavia a realizzare un'armoniosa convivenza con la scrittura trasparente dei flauti e dei violini. La stessa struttura bitematica dì tutti e quattro i tempi, sembra in fondo rispondere più ad un desiderio di ricchezza melodica ed espressiva, di oculato dosaggio di tinte, che alla drammatica tensione dialettica del sonatismo beethoveniano.

Tali intenzioni si fanno evidenti sin dal primo tempo, «Allegro un poco agitato», dove i due temi si susseguono e combinano senza combattersi, trapassando con naturalezza, attraverso una coda di carattere quasi descrittivo, nella ripresa dell'introduzione, e di qui al secondo movimento. Questo si annuncia fin dall'inizio con una felicissima coincidenza di intuizioni melodiche e timbriche: sul trasparente accompagnamento degli archi, il clarinetto espone un vivace, bellissimo tema basato su una scala «celtica», solo visibile tributo di Mendelssohn al patrimonio folkloristico scozzese (ed anche questo, del resto, è qui assunto in funzione eminentemente espressiva, secondo un gusto pittorico mai fine a se stesso); a questo elemento si alterna un aereo motivo affidato ai violini.

Inizia quindi l'«Adagio», forse il movimento più bello ed interessante della Sinfonia, basato su una lunga, nostalgica melodia esposta dai violini e su un ritmo quasi di marcia funebre affidato ai legni e ai corni, poi all'intera orchestra. Frammenti dei due elementi tematici si presentano assieme nelle prime battute di questo movimento, che procede poi in un clima di profonda, composta espressività. Il finale, «Allegro vivacissimo», è costruito in forma di sonata, con due temi aperti a combinazioni contrappuntistiche di estrema leggerezza fantastica, fino al termine dello sviluppo: qui subentra, al posto della ripresa, un «Allegro maestoso assai», iniziato dalle fanfare dei corni e dei legni su un tema derivato da quello dell'introduzione; che conclude la Sinfonia con accenti nobilmente gioiosi, secondo un procedimento caro a Mendelssohn, che terminò con analoghe perorazioni parecchie altre pagine sue, quasi ad anticipare i modi del poema sinfonico.

Così, riversando istanze espressive di rara immediatezza entro la cornice di una forma naturalmente posseduta, ed a sua volta suscettibile di venir manipolata nella più piena libertà, riuscì a Mendelssohn ciò che mancò ad altri musicisti del suo tempo; magari più grandi di lui, ma certo meno di lui capaci di dar vita a composizioni di ampio respiro formale e poetico senza lasciarvi il segno di un'aspra, faticosa lotta cóntro la materia.

Daniele Spini

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sinfonia n. 3 op. 56 "Scozzese" venne ultimata da Mendelssohn nel 1842 e costituisce in realtà il suo ultimo lavoro sinfonico, anche se nel catalogo delle sue opere viene seguita dalla Sinfonìa n. 4 "Italiana" del 1833 e dalla Sinfonia n. 5 "Riforma" del 1830.

L'idea embrionale e le prime suggestioni gli vennero da un viaggio in Scozia intrapreso nel 1829 in compagnia dell'amico di famiglia Carl Klingemann. A Edimburgo Mendelssohn rimase impressionato dall'Holyrood Palace e dai luoghi storici legati a Maria Stuarda («Oggi, in questa antica cappella, credo di avere trovato l'inizio della Sinfonia scozzese», scrisse alla sua famiglia). Ma dovette trascorrere ancora un decennio prima che le idee germinali, gli spunti e l'ispirazione trovassero concretizzazione: di fatto il lavoro venne ripreso solamente nel 1841, in un periodo di intensa attività creativa. Conclusa nel gennaio 1842, la "Scozzese" venne poi dedicata alla regina Vittoria ed eseguita la prima volta a Lipsia il 3 marzo del 1842.

Si tratta di un'opera unitaria, di forte ispirazione, che evoca con grande suggestione paesaggi e sensazioni ora eroiche, ora malinconiche, ora grandiosamente epiche; è articolata in quattro movimenti da eseguirsi senza soluzione di continuità fra uno e l'altro, incorniciati da un'introduzione lenta (in la minore) e da un solenne epilogo (in la maggiore).

La Sinfonia n. 3 si apre con un Andante con moto che di fatto introduce il primo movimento caratterizzato da una sorta di corale solenne e grave che si leva dai fiati (oboi, clarinetti, fagotti e corni) cui subito si uniscono viole, violoncelli e bassi. L'atmosfera piuttosto cupa è data anche dall'assenza dei violini, che si odono invece nella seconda frase dell'Andante, una sorta di delicata "invocazione". I due elementi si fondono in un episodio elaborativo che sfocia nell'Allegro un poco agitato in 6/8: il primo tema, dal piglio quasi eroico, viene esposto dagli archi, subito ripreso dai fiati e sviluppato dall'intera orchestra (Assai animato). La leggerezza e la grazia dell'orchestrazione mendelssohniana sono qui straordinarie: il motivo scorre con disinvoltura da uno strumento all'altro per poi accendersi nelle folate fortissimo di tutta l'orchestra. Il secondo tema, in mi minore, è quasi una preghiera sommessa (violini) che porta alla fine dell'esposizione. Dopo il ritornello dell'esposizione, troviamo uno sviluppo nel quale i due temi principali si fondono mirabilmente, affiorando ora qua ora là nel tessuto orchestrale ribollente di tremoli ed energiche galoppate in fortissimo. La coda del movimento sembra quasi evocare una tempesta di mare (scale cromatiche in crescendo degli archi) e porta diritta al ritorno dell'Andante iniziale, col suo corale dei fiati, che di fatto conclude il primo tempo.

Senza soluzione di continuità, il secondo movimento Vivace non troppo si apre con un delizioso motivo pentatonico esposto dal clarinetto sul tremolo di violini e viole: un omaggio di Mendelssohn alla musica folklorica scozzese. Il motivo passa poi subito a flauti e oboi e, con un moto di gioia irresistibile, all'intera orchestra che lo ripete in fortissimo. La breve esposizione viene completata col secondo tema, delicato e saltellante, esposto sottovoce dagli archi; nella sezione di sviluppo l'intreccio dei due temi è mirabilmente condotto da Mendelssohn attraverso una scrittura orchestrale lieve, delicata, quasi cameristica: in una parola "magica". La ripresa conclude il movimento che, anche qui, quasi senza soluzione di continuità sfocia nel successivo Adagio, la pagina più lirica e intensa dell'intero lavoro. Il suo primo tema è un canto disteso e nostalgico affidato ai violini primi e accompagnato in pizzicato dagli altri archi; il secondo tema è invece una sorta di triste fanfara che parte dai legni per contagiare tutta l'orchestra in un motivo quasi funebre. I due temi poi si intrecciano e si uniscono: ai richiami della fanfara, ora intensi e drammatici, rispondono infatti gli archi col motivo lirico che ne smorza gli effetti lugubri. La ripresa dei due motivi viene impreziosita da un'orchestrazione diversa dall'esposizione, più ricca e coinvolgente.

L'ultimo movimento è un Allegro vivacissimo travolgente di energia ritmica e di forza espressiva; i due temi principali (guizzante il primo in la minore, esposto dagli archi; scattante ed energico il secondo in mi minore, presentato da oboi e clarinetti) sono complementari e soggetti a intensa elaborazione contrappuntistica. La sezione di sviluppo è mirabilmente giocata sull'intreccio dei due motivi, esposti in episodi fugati leggeri e scorrevoli, e sulla preziosa orchestrazione. La ripresa ci riserva una sorpresa: un lungo pedale di tonica dei bassi, sul quale si leva la voce del clarinetto che ripropone il secondo tema, sembra quasi concludere la Sinfonia in pianissimo; la musica si ferma (pausa generale) e il finale viene affidato a un Allegro maestoso assai in la maggiore dal carattere di solenne inno conclusivo.

Alessandro De Bei


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 8 Novembre 2008
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 2 ottobre 1976
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 354 della rivista Amadeus


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
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Ultimo aggiornamento 1 agostoTesto tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 250 della rivista Amadeus 2019