Sinfonia n. 1 in do minore per orchestra, op. 11 (MWV N 13)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Allegro di molto (do minore)
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto. Allegro molto (do minore)
  4. Allegro con fuoco (do minore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Berlino, 31 Marzo 1824
Prima esecuzione: Londra, Philharmonic Society, 25 Maggio 1829
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1823
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonia in do minore non è il debutto sinfonico di Mendelssohn, bensì il suo tredicesimo tentativo in questo genere. Già nel 1821-1823, tra i dodici e i quattordici anni, Mendelssohn aveva infatti scritto 12 Sinfonie per orchestra d'archi, destinate ai concerti che si tenevano ogni domenica nella casa paterna. Se queste composizioni, di cui il più largo pubblico è venuto a conoscenza solo da pochi anni, ci mostrano il giovane Mendelssohn per così dire durante la fase dell'apprendistato (avvenuto sotto la guida del rigoroso insegnamento di Carl Friedrich Zelter, il musicista preferito di Goethe), la Sinfonia in do minore, scritta nel marzo del 1824 poco dopo il suo quindicesimo compleanno e indicata in un primo momento come "Sinfonia Nr. XIII", è quasi il saggio conclusivo, ampliato questa volta all'orchestra al gran completo, di questo periodo di tirocinio. Anche in seguito, dopo aver composto partiture ben più complesse, Mendelssohn la ritenne degna di essere stampata, e la fece così pubblicare nel 1834 come Sinfonia n. 1 op. 11: sette anni dopo la prima esecuzione, che aveva avuto luogo a Lipsia il 1° febbraio 1827.

Più che al primo Beethoven, essa guarda ai tardi modelli di Haydn (Sinfonia in do minore n. 95) e di Mozart (Sinfonia in sol minore K. 550). All'interno di una forma altamente artigianale, ispirata al classicismo strumentale viennese, si individuano però già diversi tratti personali: per esempio, nel primo movimento Allegro molto, la vitalità ritmica, la ripresa accorciata e strumentata in modo diverso dall'esposizione, l'ampliamento della coda e un trattamento dell'orchestra che si potrebbe definire orientato verso timbri fiabeschi, romantici (clarinetti, corni). Il primo tema, presentato senza essere preceduto dall'introduzione lenta, ha uno slancio prorompente, tipicamente mendelssohniano, e acquista un'importanza, uno spessore sempre maggiori nel corso dello sviluppo, contrastando con l'oasi lirica, melodica (violini primi, oboe e flauto) del secondo tema in mi bemolle maggiore. Nel secondo movimento, Andante, il tema si espande in una tranquilla e fluente cantilena, alternando nella cantabilità archi e fiati: così che il movimento, anche in rapporto allo svolgimento ininterrotto, si può considerare nella forma di un rondò variato.

Il Menuetto è chiaramente ricalcato sul modello mozartiano (melodia cromatica sincopata degli archi e interventi di ripieno dei legni). Forse anche per questo motivo Mendelssohn lo sostituì, nelle esecuzioni della Prima Sinfonia che diresse alla Philharmonic Society di Londra durante il suo primo viaggio in Inghilterra (1829), con lo Scherzo in sol minore dell'Ottetto per archi op. 20 (1825). È interessante notare come in questo brano, appositamente orchestrato quale alternativo, si affaccino analogie con il prototipo dello Scherzo mendelssohniano (le alate musiche d'elfi del Sogno), a dimostrazione di un percorso che cominciava a farsi più attento alle vocazioni del proprio mondo poetico. Del tutto inconsueto (e davvero straordinario) il Trio del Menuetto, costruito su un assorto, devoto corale dei legni: pagina ineffabile, confinante con una meditazione spirituale, quasi religiosa.

L'ultimo movimento, Allegro con fuoco, è il più concentrato dei quattro. Vi si possono riconoscere correlazioni motiviche e ritmiche (a ritroso dal Minuetto al primo movimento) volte a istituire quel principio del legame ciclico che in seguito doveva risultare uno dei tratti essenziali della musica sinfonica di Mendelssohn: del tutto ancora scisso, però, da intenti programmatici o descrittivi. In secondo luogo spicca l'originalità del secondo tema, una frase di dodici battute degli archi eseguita pizzicato, e ripetuta subito dopo come accompagnamento di un'ampia melodia del clarinetto (nella ripresa si aggiungerà il flauto). Nello sviluppo Mendelssohn impiega il materiale-tematico in forma di una fuga severa ma non accademica: dichiarando così nel contrappunto armonico di Bach l'altro polo del suo orientamento estetico.

Due ultime osservazioni. Di fronte a simili opere dichiaratamente (oltre che cronologicamente) giovanili si è inclini a considerare soprattutto gli influssi dei modelli e i semi che daranno frutti nell'opera futura. In questo caso, ciò che conta prima di tutto è riconoscere la leggerezza e la grazia di un'apertura fiduciosa al mondo che coincide con una stagione della vita. Da questo punto di vista la Sinfonia in do minore di Mendelssohn - per riprendere una metafora di Schumann - non imita la cipria e la parrucca di Haydn e di Mozart ma entra direttamente nelle loro teste, ricevendone l'ammaestramento e conciliandolo con una natura fresca e diretta, tanto portata alla calma interiore quanto destinata a una fiorita vita romantica. Secondo. Il maestro Sawallisch, che ama profondamente questa partitura e la presenta spesso nei suoi concerti, dimostra che proprio opere come queste possono essere anche per un interprete maturo abituato a ben altre complessità un biglietto da visita di un modo, olimpico, di intendere e vivere la musica.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Già tra il 1822 e il 1823, con l'estrema facilità che gli era propria, Mendelssohn si era esercitato in lavori sinfonici. Appartengono a quegli anni le dodici sinfonie per archi che, rimaste a lungo inedite e fuori catalogo, hanno conosciuto di recente numerose esecuzioni ed incisioni discografiche. Nel 1824 il quindicenne compositore completò la Sinfonia in do minore, la prima delle cinque che avrebbero figurato nel suo catalogo, e l'unica a rispettare in pieno i modelli classici. Quattro anni dopo, la Sinfonia fu edita da Schlesinger e nel 1829 Mendelssohn la eseguì nel suo primo concerto londinese, con grande successo. Sebbene oscurata dalla popolarità delle successive sinfonie, e soprattutto dalla «Scozzese» e dall'«Italiana», la Prima ha già tutti i caratteri dello stile mendelssohniano: estrema fluidità del discorso, ricchezza di inventiva melodica, trasparenza, vivacità ritmica. L'«Allegro molto» si apre con impeto trascinante, che ricorda l'ouverture del «Sogno di una notte di mezza estate», che è del 1826. All'accensione di questo movimento si sposa la limpidezza dell'«Andante» che dà la cifra di quello che sarebbe stato definito il «romanticismo felice» di Mendelssohn. Il terzo tempo è un minuetto ma l'asciutta scansione ritmica fa già pensare ai grandi Scherzi del compositore. Inusitata è lunghezza del trio, che dimostra tra l'altro l'assoluta padronanza dei mezzi orchestrali con il raffinatissimo dialogo dei legni, e che può essere considerato come un breve notturno o una romanza senza parole. Il passaggio alla ripresa del «Minuetto» è beethoveniano, come può esserlo un Mendelssohn quindicenne. E a Beethoven si ispira anche l'ultimo movimento, ma la concitazione di questo «Allegro con fuoco» è forse più classica o neoclassica che romantica, e cede appena all'enfasi nella marziale coda.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Sull'abbrivo della riconquistata libertà dopo l'oppressione napoleonica, la vita culturale di Berlino conobbe dal primo quindicennio dell'Ottocento una straordinaria fioritura di eventi artistici, dalla fondazione dell'Università alla creazione dei principali musei, al sorgere del Teatro dell'Opera, il tutto nell'alone dell'autorità spirituale di Goethe e nelle prime affermazioni, in ogni campo dello scibile umano, del rinnovamento nazionale germanico, oltre all'esaltazione della Romantik, attestata anche dal successo incondizionato arriso, proprio a Berlino, al «Freischutz» di Weber. Dal secolo dei lumi era rimasta la consuetudine però, assimilata ben presto dalla società borghese, di ospitare nelle sale dei palazzi privati le manifestazioni concertistiche dedicate alla produzione coeva e alle reminiscenze dei maestri del classicismo e del barocco.

A casa Mendelssohn, esemplare prototipo dell'alta borghesia, si respirava quest'aria di elevato e civilissimo ambiente artistico, dato dalla presenza di personaggi come Humboldt, Hegel, Schleiermacher e anche di Zelter e fu quest'ultimo a propiziare nel 1821 l'incontro di Felix Mendelssohn col grande patriarca di Weimar, al cospetto del quale si esibì alla tastiera varie volte: tale avvenimento consacrò clamorosamente il precoce talento artistico dell'adolescente compositore, in cui alle straordinarie doti naturali dell'enfant prodige avevano corrisposto un apprendistato musicale rigorosissimo ed un'aperta formazione culturale, secondo progressive fasi di maturazione artistica. In quelle serate private furono conosciute verosimilmente le undici sinfonie per archi composte da Mendelssohn nella prima gioventù, mentre egli trovava anche il tempo di praticare con profitto il nuoto e l'equitazione, studiare la pittura, la filosofia, il greco e naturalmente il pianoforte, senza mancar mai peraltro di frequentare spettacoli lirici e concerti anche pubblici.

Tali opere sinfoniche giovanili stanno ad attestare su quali basi di serietà Mendelssohn ponesse le premesse della sua successiva maestria di scrittura orchestrale e come, a simiglianza di Mozart, la sua inventiva si fosse nutrita anche delle linfe espressive settecentesche.

Creazione di un adolescente quindicenne, la «Sinfonia in do minore» ha il numero d'opus 11 (ma in realtà questo dovrebbe essere il 13 secondo il recente catalogo edito dalla VEB) e segna il progressivo affinamento, assieme ai concerti per piano in mi maggiore e in la bemolle maggiore, dell'arte compositiva di Mendelssohn nel manifestato proposito di affrancamento dagli influssi stilistici beethoveniani, pur sempre evidenti nei movimenti estremi che ricordano certi stilemi dell'«Egmont» e del «Coriolano». Secondo un attento studioso dell'autorità del Werner, anche la Coda dell'«Allegro» introduttivo rimanda allo schema formale corrispondente dell'«Eroica», mentre nella transizione dal «Trio» alla ripresa del «Menuetto» si avverte l'eco del passaggio precedente il Finale della «Quinta Sinfonia» di Beethoven. Così il bitematismo del primo movimento della «Sinfonia in do minore» non nasconde concomitanti ascendenze mozartiane e weberiane, mentre d'altra parte il «Trio» in 6/4 e l'«Adagio» in mi bemolle maggiore attestano già la luminosa trasparenza di scrittura e la sicurezza di tratto, caratteristiche entrambe del Mendelssohn maggiore; non altrimenti l'incedere fugato dell'«Allegro con fuoco» conferma il suo precocissimo virtuosismo tecnico.

Alla prima assoluta nel 1827 ai Gewandhaus di Lipsia, la «Sinfonia in do minore» fu salutata da vivissimi consensi, rinnovatisi in maniera clamorosa due anni dopo alla replica a Londra all'Argyll Rooms: Mendelssohn stesso che l'aveva diretta, ne diede notizia ai genitori in questi termini: «volevano che ripetessi l'«Adagio» ma per non tediare l'uditorio ho proseguito; quando ho finito lo «Scherzo» non c'è stato verso, son stato costretto subito a replicarlo, e al «Finale» ho dovuto staccarmi a forza dal podio, non volevano lasciarmi andar via!». In realtà, come avverte ancora il Werner, in quell'occasione memorabile la «Sinfonia in do minore» non fu ascoltata nella stesura originale: anziché il «Menuetto», era stato eseguito lo «Scherzo» che Mendelssohn stesso aveva trascritto dal suo «Ottetto» per archi.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 17 Febbraio 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 dicembre 1980
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fioretino,
Firenze, Teatro Comunale, 15 febbraio 1975


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Ultimo aggiornamento 14 novembre 2019