Sestetto in re maggiore

per pianoforte, violino, due viole, violoncello e contrabbasso, op. 110 (MWV Q16)

Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Allegro vivace (re maggiore)
  2. Adagio (fa diesis maggiore)
  3. Menuetto e trio. Agitato (re minore)
  4. Allegro vivace (re maggiore)
Organico: pianoforte, violino, 2 viole, violoncello, contabbasso
Composizione: Berlino, 10 Maggio 1824
Edizione: Kistner, Lipsia, s. a.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Goethe ebbe una profonda e duratura simpatia per Mendelssohn, sin da quando gli fu presentato ancora ragazzo dal fidatissimo e solerte Carl Fiedrich Zelter, suo consigliere musicale e già insegnante di armonia del precocissimo Felix a Berlino. I rapporti tra l'ottuagenario poeta, nume tutelare dell'arte tedesca, e il giovanissimo musicista (il primo incontro avvenne nel 1821) furono sempre molto cordiali e improntati a quel vivissimo e comune interesse per i problemi della vita culturale, specialmente tedesca. Più volte Mendelssohn si recò in casa di Goethe e fu invitato a suonare al pianoforte musiche sue e di diversi autori, commentandole con osservazioni estetiche e filosofiche, con sortite in campo letterario (in una di queste amabili occasioni Goethe espresse il suo turbamento psicologico pieno di ammirazione per il possente e aggressivo primo tempo della Quinta Sinfonia di Beethoven.

Goethe non nascose mai la sua soddisfazione per questi proficui incontri musicali (una volta disse esplicitamente al musicista, dopo aver ascoltato alcune sue eleganti e poetiche ouvertures: «Ho ancora molto da imparare da te e dal tuo talento») perché gli permisero di conoscere tante composizioni dell'antica e della nuova Germania e soprattutto di rendersi conto in modo diretto e quasi familiare del carattere e dello stile della musica mendelssohniana, in cui classicismo e romanticismo si integrano e si compenetrano in una perfetta simbiosi ideale. L'artista, secondo la ben nota concezione goethiana, è espressione di chiarezza e di solarità in una visione trascendente del reale, anche quando deve comunicare gli impetuosi e appassionati sentimenti del mondo romantico, sollecitati e sospinti da una fantasia accesamente lirica ed esaltante, sempre pronta a cogliere gli aspetti più appariscenti e seducenti della natura circostante. Sotto questo profilo Mendelssohn risponde in pieno alla ideologia goethiana, in quanto è il musicista più romanticamente classico che sia esistito, perché ogni elemento armonico e ritmico del disegno musicale è al suo posto preciso e si inquadra dentro lo schema della forma-sonata, quasi a rispecchiare fedelmente nelle architetture sonore l'ordine e la nobile compostezza degli affetti musicali dell'autore. Questo gusto sostanzialmente classicheggiante si ritrova in tutta la produzione di Mendelssohn: da quella pianistica e cameristica alla sinfonica e ai grandi affreschi oratoriali del Paulus e dell'Elijah, giunto quest'ultimo a chiusura di una intensa attività compositiva.

Al di là della sua opera creativa, non va dimenticata la notevole influenza sulla vita musicale europea esercitata da Mendelssohn come pianista e direttore d'orchestra del Gewandhaus di Lipsia. A lui si debbono i concerti per far conoscere in Germania Orlando di Lasso, Victoria, Palestrina, Leo, Lotti, Durante; fu suo il merito di riesumare importanti lavori di Haendel, Schubert, e Bach (di quest'ultimo diresse la Passione secondo San Matteo il 10 marzo 1829 a Berlino, in una esecuzione rimasta storica nel quadro della Bach-Renaissance svilluppatasi gradatamente nell'epoca romantica). Interpretò e diffuse le sinfonie di Beethoven e le opere strumentali e sceniche di Mozart, favorì la carriera di Schumann, che gli dedicò i suoi tre Quartetti nel 1842, e di Chopin. Il che non è poco e sta a dimostrare oltre tutto il temperamento generoso ed entusiasta di questo musicista intelligente, colto e dotato di straordinario fascino personale.

Il Sestetto in re maggiore op. 110 per violino, due viole, violoncello, contrabbasso e pianoforte fu composto nel 1824 e non si distacca da quella chiarezza melodica e da quella serenità sprituale che sono le componenti principali della sensibilità inventiva del musicista. Esso può definirsi un classico concerto da camera per pianoforte al quale si contrappongono i cinque strumenti ad arco in un arabesco di sonorità essenzialmente brillanti e tali da far pensare a Weber, un autore molto stimato da Mendelssohn. Al di là della scioltezza e della scorrevolezza armonica dei quattro tempi, a conferma del particolare talento compositivo dell'artista, si avverte specialmente nel Menuetto in tempo agitato, cui segue un Trio di bel respiro, una certa tensione a rompere gli schemi formali e a proiettarsi verso un tipo di scrittura innovativo. Ma si tratta di alcune indicazioni frammentarie, perché nella sostanza il Sestetto ha un impianto melodico e armonico perfettamente lineare e si distingue per una scrittura molto curata e precisa nei rapporti sonori tra i vari strumenti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Costituisce l'ideale chiusura di un primo ciclo compositivo giovanile (e tale lo considerava evidentemente il suo autore, che non si preoccupò di pubblicarlo in vita), l'esuberante Sestetto per pianoforte e archi op. 110, che Werner ha definito come «miniatura di un concerto da camera per pianoforte». Ancorché naturalmente della struttura classica del concerto non si tratti, pure questa Kammermusik ha senz'altro nel pianista una primadonna senza pari, con cui la formazione degli archi (dal timbro piegato decisamente verso il grave, con la riduzione delle parti per il violino a una sola, il raddoppio delle viole - particolarmente impegnativa la prima parte - e due bassi: il violoncello e il contrabbasso), lungi dall'appiattirsi a mero accompagnamento, interloquisce vivacemente. Il dinamico gioco degli archi, insomma, avvolge ed esalta, non senza concedersi a tratti la guida del discorso, un pianismo brillante, che riporterà alla memoria le coeve esperienze di un Moscheles o di un Weber, in una partitura dalla freschezza godibilissima.

Se una simile effervescenza, bilanciata dal colore scuro degli archi, domina l'Allegro vivace d'apertura, l'Adagio collocato nelle plaghe remote di un rarissimo fa diesis maggiore, lascia risuonare, in forma sonata senza sviluppo, la corda d'una malinconia delicata, che effonde lieve, tra indicazioni di dolce, piano e con sordino, tenui delizie sonore, in un incedere innodico che parrebbe discendere dal mondo del Sarastro mozartiano. In terza posizione si colloca un fulmineo Scherzo in re minore, impropriamente denominato Menuetto, dalla spiccata vocazione dialogica, particolarmente evidente nel Trio. Pagina che non trascorrerà tuttavia così velocemente nella memoria, perché il tema principale ricomparirà inopinatamente e cospicuamente - a dimostrare le precoci ambizioni innovative del Mendelssohn quindicenne - a informare di sé un'intera sezione subito prima della coda dell'ultimo tempo, lo spumeggiante Allegro vivace condotto dall'estrema, giocosa esibizione del pianoforte.

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 Maggio 1987
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 237 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 15 febbraio 2014