Concerto in re minore per violino e archi, MWV O3


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
  1. Allegro
  2. Andante
  3. Allegro
Organico: violino solista, 2 violini, viola, basso continuo
Composizione: 1822
Edizione: Peters, New York, 1952
Dedica: Eduard Rietz
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mendelssohn è stato definito il più classico dei musicisti romantici, in quanto la sua arte assorbì dallo stile definito classico l'amore per le forme chiare ed equilibrate del linguaggio musicale e nello stesso tempo fu sensibile alla poetica del fantastico e dell'irreale che fermentava nel Romanticismo tedesco. È vero che la sua fedeltà alle regole del classicismo lo spinse alcune volte, nei momenti meno sorretti dall'invenzione creatrice, verso un accademismo di maniera, ma pur tuttavia egli si preoccupò sempre di esprimere sinceramente nelle sue composizioni i sentimenti del cuore. Secondo l'autorevole musicologo Alfred Einstein, il fatto che nella musica di Mendelssohn appaia frequentemente nei movimenti allegri l'indicazione «con fuoco», oppure «appassionato» sta ad indicare un preciso gusto romantico, al quale però è estranea la drammatica, travolgente ed esaltante temperie della vita, comune ad altri artisti della sua generazione. La passionalità mendelssohniana rimane in superficie e non affonda mai nei tormenti e nei torbidi dell'anima romantica, perché si muove in un particolare clima fiabesco, disegnato con spontaneità e freschezza di idee musicali.

Questa maniera di sentire l'arte si rivela con nettezza di contorni in Mendelssohn sin dai suoi primi lavori, ai quali appartiene il Concerto in re minore per violino e archi, scritto nel 1822 (l'autore aveva appena 13 anni) e destinato alle soirées musicali che si organizzavano tutti i sabati nella ricca e accogliente casa berlinese del compositore per dilettare i familiari e gli amici. Tale Concerto, elaborato nello stesso periodo delle undici Sinfonie per orchestra d'archi, testimonia la straordinaria precocità di un adolescente educato, oltre che a severi studi musicali, alla conoscenza approfondita delle lingue straniere, della letteratura classica e del disegno (diverrà anche un acquarellista di talento). Quello che risalta in questo componimento è l'estroversa eleganza melodica, unita ad una brillante e piacevole scorrevolezza ritmica, espressione di un animo aperto alla gioiosa felicità della vita. Non per nulla i due Allegri cingono, in un affettuoso abbraccio, l'Andante centrale, dalla delicata e carezzevole linea catabile indicata dal violino. Le esigenze tecniche non sono eccessive e raramente vanno oltre i soliti ornamenti e arpeggi. Lo stesso Mendelsshon ha composto le cadenze del secondo e del terzo movimento.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto in re minore per violino e orchestra d'archi venne alla luce soltanto nel 1952 quando il grande violinista Yehudi Menuhin lo riscoprì e lo pubblicò per i tipi di Peters. Racconta lo stesso Menuhin nella prefazione alla prima edizione: «La mia prima conoscenza di questo meraviglioso concerto avvenne all'inizio della primavera del 1951 a Londra. Il manoscritto mi venne offerto da un membro della famiglia Mendelssohn, ora residente in Svizzera. Nel 1853 la vedova del compositore lo diede al più grande amico di famiglia e miglior violinista del periodo, Ferdinand David». Il Concerto venne scritto da Mendelssohn nel 1822 per Eduard Rietz, amato maestro e amico del giovane Felix; quest'ultimo dovette essere particolarmente affezionato a questa pagina se è vero, come è vero, che presenta diverse analogie col più famoso «fratello maggiore» in mi minore op. 64, come rileva puntigliosamente Menuhin nella prefazione citata. Entrambi i concerti sono in una tonalità minore scura e tumultuosa, presentano cadenze soliste scritte nel secondo e nel terzo movimento e hanno in comune anche un passaggio musicale, un lungo «solo» fatto da veloci note nell'ultimo movimento del Concerto in re minore che ricorda molto un passaggio analogo nell'Allegro molto vivace del Concerto in mi minore, poco prima della ripresa tematica. Credo che, al di là delle analogie, questo gioiello vada apprezzato per quello che è: una pagina fresca, ricca di invenzioni tematiche e guizzi virtuoslstici, con una concezione armonica «schubertiana», fatta più di morbidi trapassi che di tensioni attrattive.

L'Allegro si apre con un primo tema perentorio ed energico presentato in ottava da tutta l'orchestra; sono quattro battute (cinque veloci note discendenti seguite da un arpeggio tonale ascendente) che non consentono repliche e fissano tonalità e carattere del movimento. Il secondo tema, in fa maggiore, riprende un motivo cromatico che già avevamo udito nelle prime battute, ma subito viene spazzato via dal ritorno veemente del primo tema che conclude l'esposizione orchestrale. L'ingresso del violino solista è da protagonista assoluto: le rapide scale e le guizzanti agilità si sovrappongono alla voce dell'orchestra che sommessamente ripete la testa del primo tema. Nel corso della sua esposizione tematica il violino in realtà non tocca mai il tema principale, appannaggio esclusivo dell'orchestra che lo fa circolare con insistenza in diverse tonalità. Il solista ora preferisce «cantare», con un nuovo motivo in re minore cui fa seguito una sorta di variazione del secondo tema, in fa maggiore. Ma tutto il discorso musicale si svolge con una leggerezza e una levità assolute: si ascolti ad esempio la coda dell'esposizione, dominata dalle rapide e delicate figurazione del solista, evidente ricordo della passione mozartiana di Mendelssohn. Lo sviluppo, aperto come di norma dall'orchestra, è basato sulle prime cinque veloci note del tema principale e si articola in cinque episodi; il secondo e il terzo sono dominati dall'impeto virtuosistico del solista, in primo piano grazie a una cascata di arpeggi, scalette e altre tipiche figurazioni violinistiche, mentre l'orchestra incessantemente fa circolare la testa del tema principale in svariate tonalità. La ripresa avviene col secondo tema, cui fa seguito l'episodio dal carattere «mozartiano», già udito nell'esposizione. Un'ultima apparizione del terzo tema, ora presentato dal solista con un canto dolce e struggente, precede la ripresa conclusiva del tema principale e la folgorante coda orchestrale.

L'Andante centrale è un'oasi di intenso ma semplice lirismo: il tema principale, presentato dall'orchestra nella tonalità di re maggiore con una scrittura calda e compatta, è un Volkslied, un canto popolare; dopo una breve cadenza del solista, Mendelssohn trascolora improvvisamente nella calda tonalità di si bemolle e poi ancora di mi maggiore con un effetto di «colore» armonico veramente suggestivo, di marca schubertiana. Il tema popolare ritorna nell'episodio successivo nel quale solista e orchestra lo elaborano con semplicità. Una successiva variazione precede la cadenza del solista e l'ultima apparizione del tema popolare, sotto il quale «tambureggia» ora un pedale di dominante. Le ultime note del solista nel registro acuto suonano come un intenso e malinconico epilogo.

Quasi senza soluzione di continuità (Attacca subito, recita la partitura) si apre il travolgente Allegro conclusivo, un rondò basato su un tema di aria russa dal piglio deciso esposto dal solista e subito ripreso e variato dall'orchestra: qui c'è tutta l'energia musicale del giovane Mendelssohn, fatta di funambolismi tecnici e ritmi serrati. Gli episodi si susseguono con incedere incalzante quasi travolgendo l'ascoltatore: a una sezione di marca decisamente virtuoslstica segue una cadenza del solista e una ripresa del tema principale. Un ultimo episodio di sviluppo precede la ripresa del tema principale e la coda conclusiva.

Alessandro de Bei

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il paragone, sempre ripetuto, è con Mozart: prodigiosa, incredibilmente feconda di creazioni, oltre che ricca di vistose affermazioni di esecutore strumentale, la precocità del genio musicale; con una differenza fondamentale, probabilmente: che per Mozart la musica fu subito una vocazione irresistibile, già chiara la predizione di una fioritura immensa nell'arco di una vita per altri troppo breve; per Mendelssohn il frutto maggiore, più evidente, di una paideia quale non toccò, oltre che a lui, che a qualche figlio di principe, un seme raro caduto per felice combinazione in un terreno rarissimo, quello di una disposizione all'arte, alla musica in particolare, di segno senz'altro eccezionale. I dati sono in qualunque biografia: famiglia ricca, di solide tradizioni culturali, il prestigio del nonno filosofo insigne e lo status sociale del padre banchiere consolidati dalla conversione di questo, e conseguente battesimo dei figli, al cristianesimo; la confessione luterana assimilata, nella generazione cui appartenne Felix, con assoluta naturalezza, lontana la faticosa riconquista di una «Judentum», il cammino a ritroso destinato, più di cent'anni dopo, a uno Schönberg. Le lingue classiche, la pittura, finalmente la musica, studiate con i maestri migliori: fra questi, quello stesso Friedrich Zelter che nella corte di Goethe aveva quasi un ruolo di ministro della musica, né avrebbe mancato di fomentare nel poeta di Weimar ia diffidenza verso Beethoven, con risultati cosi duraturi che Mendelssohn stesso non sarebbe riuscito mai a far mutare d'idea il vecchio, illustre amico (amico, si, perché nel 1821, portato a Weimar da Zelter, Mendelssohn dodicenne aveva conosciuto il consigliere aulico, che nel fanciullo aveva intuito quantità e qualità di una natura artistica certo a lui più congeniale che non quella di Beethoven, e subito gli aveva concesso stima e affetto).

A mezzo fra infanzia e adolescenza, Felix vive in questi anni un'esperienza musicale intensissima: va all'estero a far concerti, soprattutto compone; Fanny, la sorella, ci ha lasciato un elenco, impreciso magari, ma impressionante, dei lavori scritti nel 1822, in cui figura anche un Concerto per violino e orchestra, appunto questo in re minore. Uno sguardo alle composizioni di questo periodo dà la misura della vastità di orientamenti del ragazzo (e probabilmente dei suoi maestri): si va dalla musica sacra al teatro (ha già al suo attivo tre operine, e un atto della quarta), Sinfonie per orchestre d'archi, musica da camera. Quest'ultima, particolarmente, ha un preciso riscontro nella vita domestica del piccolo musicista, che addirittura partecipa ad un quartetto, di cui il primo violino è quello stesso Edward Rietz cui è dedicato il Concerto in re minore (nonché altre due pagine mendelssohniane). Questo lavoro, al pari di quasi tutte le altre opere giovanili di Mendelssohn, è venuto alla luce solo di recente, senza del resto affermarsi stabilmente in repertorio. Esso ci è tramandato in due versioni, parzialmente differenti, per quanto riguarda i primi due movimenti; del terzo, solo una delle due presenta la stesura completa, mentre l'altra ne contiene solo un abbozzo. Ceduta dalla vedova di Mendelssohn al celebre violinista Ferdinand David, la versione mutila venne poi nelle mani di Yehudi Menuhin, che ne curò la pubblicazione nel 1952; quella completa, che è più che verosimile considerare come definitiva, anche ad un raffronto con l'altra, è conservata a Berlino, presso la Deutsche Staatsbibliothek, assieme con moltissimi autografi giovanili del compositore.

L'interesse che questo Concerto in re minore può offrire è certo minimo, se da esso ci si attende una premonizione, o comunque qualcosa in comune col suo fratello tanto più grande, il Concerto in mi minore, pagina amatissima da interpreti e pubblico come poche altre del suo tempo. Ha invece qualcosa da dire se lo ascoltiamo cercandovi la fisionomia di un musicista ovviamente immaturo, ma già sulla strada che lo porterà negli anni successivi a creare le opere migliori, oltre che con l'immediatezza di intuizioni dell'artista sensibile, anche con la tranquilla sicurezza dell'artigiano provetto.

Molto meno ingenuo di quanto non ci si aspetterebbe, questo Concerto trova infatti i suoi limiti, semmai, nella scolasticità della sua costruzione formale, nel ricorrere sin troppo insistito di simmetrie di frasi e periodi: qua e là, il fanciullo prodigio (un fatto che per l'infanzia di Mozart si verifica rarissimamente) sembra assumere un atteggiamento un po' da primo della classe; predomina, si direbbe, nel compositore bambino un connotato che più tardi, ridotto ad un tratto accessorio della personalità dell'artista maturo, continuerà ad essergli imputato a colpa, a motivare in molti una vaga diffidenza. Ma anche in questo quadro (segnatamente nella parte dello strumento solista) si può trovare il lievito della fantasia, la libertà dell'intuizione immediata: il segno inconfondibile della sicura promessa.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 Aprile 1990
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 186 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 4 marzo 1977


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Ultimo aggiornamento 13 marzo 2019