Capriccio brillante in si minore per pianoforte e orchestra, op. 22 (MWV O8)


Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 - 1847)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: 1825 - 1826
Prima esecuzione: Londra, Philharmonic Society, 25 Maggio 1832
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1831
Guida all'ascolto (nota 1)

Il Capriccio brillante in si minore op. 22 di Mendelssohn, risalente al soggiorno di Londra (1832), risente dell'influenza di Carl Maria von Weber, di cui il compositore era grande ammiratore, e del suo Konzertstück op. 79, dominato, come l'op. 22, da un tema di marcia. L'orchestrazione sfavillante ben denota anche il carattere del brano, davvero bizzarro, «capriccioso» come indica il titolo, con frequenti cambiamenti, elementi di scherzo, eventi sorprendenti. Di condotta formale piuttosto libera, mette in mostra l'agilità del solista con frequenti passaggi di sicuro effetto, sottolineandone spesso le doti timbriche e il virtuosismo, un aspetto che ci ricorda il livello di eccellenza del Mendelssohn pianista. Dal punto di vista strutturale è possibile rinvenire, comunque, un preciso schema di riferimento, con una prima sezione in tempo Andante, che funziona da introduzione, e una seconda in tempo Allegro con fuoco costruita in forma-sonata. Rintocchi in arpeggio sono l'apertura del Capriccio, quasi un motto scandito in accordi che dà corpo e consistenza a una melodia cantabile sovrastante; sottili nebbie si alzano a rivelare con caratteristiche evocative, di serenata (nella coda), lo scenario che si apre. Ecco dunque l'irrompere dell'Allegro con fuoco, con la sua esposizione aperta da una fremente sezione di preparazione e subito a seguire il primo gruppo con il brillante, scalpitante e «capriccioso» tema principale in si minore esposto dal piano. Subentra una frase secondaria dagli accordi ribattuti che si rivelerà più avanti molto sfruttata, mentre un elemento in levare preso in imitazione inaugura un progressivo, furioso crescendo e funziona da materiale per il ponte alla dominante (la maggiore) della tonalità relativa. Questa, una volta raggiunta è consolidata attraverso una frase di collegamento solo via via più calma, sino alle morbide appoggiature finali. Il secondo tema è quello caratteristico di marcia, pronunciato a piena orchestra nella formazione che richiama la banda militare con fiati e percussioni e un ben sviluppato dialogo col «solo». Mendelssohn ce lo fa sentire più volte, attraverso frasi concatenate ed eleganti varianti che trapassano anche nell'epilogo, sino alla brillante cadenza del pianoforte. Ma è ancora il tema di marcia a sovrastare lo sviluppo, aprendolo in modo inusitato nel registro più grave, tinteggiandolo cupamente nel brontolio di fagotti, corni, celli e contrabbassi e ancora riproponendolo sotto varie luci tonali, intrecciato pure con gli arpeggi avvolgenti che costituivano parte integrante del primo tema. La ripresa è molto variata rispetto all'esposizione, di cui compaiono solo alcuni tratti mentre altri se ne aggiungono: versione sintetica del primo tema, variante elaborata della frase secondaria su accordi e note reiterati a piano e orchestra, ricomparsa delle appoggiature finali. Torna ancora il secondo tema di marcia, ma questa volta con una sorprendente presentazione in forma di salottiera eleganza affidata al pianoforte, poi alimentata dal peso orchestrale in una veste assai espressiva, persino un po' eroica. Ancora il tema di marcia, reso esile dal canto del piano, è frase di passaggio per l'epilogo, un passo di deciso tono toccatistico su cui emerge a tratti l'elemento ritmico puntato del secondo tema. Nella coda, su elementi reiterati e ancora accenni alle note ribattute della frase secondaria, il dialogo si conclude con una perentoria frase discendente basata sul profilo del secondo tema.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 177 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 26 marzo 2015