Sonata in fa diesis minore per violoncello e pianoforte, op. 52


Musica: Giuseppe Martucci (1856 - 1909)
  1. Allegro giusto
  2. Scherzo: Allegro molto - Trio: Allegretto - Scherzo da capo
  3. Intermezzo: Andantino flebile
  4. Finale: Allegro
Organico: violoncello, pianoforte
Composizione: Napoli, 16 ottobre 1880
Edizione: Friedrich Carl Kistner, Lipsia, 1888
Dedica: Paolo Rotondo
Guida all'ascolto (nota 1)

Solamente negli ultimi decenni la personalità e l'opera di Giuseppe Martucci sono state oggetto di un attento esame musicologico; non sono isolati oggi quegli studiosi che vedono in Martucci non solo una figura di transizione nella musica strumentale italiana della fine del secolo scorso, ma un musicista rispettabilissimo, con una propria fisionomia, degno di essere riproposto nelle sale da concerto.

Nato a Capua nel 1856, Martucci compie i propri studi presso il Conservatorio di Napoli, e qui, tramite la decisiva influenza di Beniamino Cesi, entra in contatto con la tradizione pianistica di Sigismund Thalberg, il grande rivale di Liszt, che trascorreva l'ultimo periodo della sua vita a Napoli. Nasce così l'interesse per la produzione strumentale d'oltralpe, ancora quasi ignota in un'Italia che, al principio del secolo, aveva visto sfiorire la propria secolare tradizione strumentale di fronte alla prepotente affermazione del fenomeno operistico. Questo interesse si proietta innanzitutto sull'attività compositiva di Martucci (che, seppure con una propria evoluzione, rimarrà sempre legata alla esperienza austro-tedesca), poi in quelle di pianista, direttore d'orchestra, insegnante, organizzatore, tanto che è possibile affermare che egli esercitò una concreta e multiforme influenza sull'attività musicale di tutta la penisola, contribuendo in maniera determinante ad ampliarne gli orizzonti culturali.

A questo proposito sembrano esaurienti già pochi dati: il suo primo concerto come direttore, del 1881, comprende musiche di Mozart, Beethoven e Mendelssohn; nel 1883, a Napoli, con un concerto in commemorazione di Wagner, offre una prima testimonianza di quella propaganda wagneriana che lo porterà a dirigere, a Bologna nel 1888, la prima esecuzione italiana del Tristan und Isolde; come didatta invece Martucci fu attivo soprattuto a Bologna, dove, dal 1886 al 1902 fu direttore del Liceo Musicale; ma l'ultimo periodo della sua vita lo vide direttore al Conservatorio di Napoli.

Nella produzione di Martucci la Sonata per violoncello e pianoforte, del 1880, si colloca all'indomani di una svolta. Nella sua prima giovinezza infatti il compositore si era dedicato soprattutto a brevi brani pianistici nei quali, secondo la tradizione di Thalberg, ad un grande impegno virtuosistico non si accompagnava un pari impegno concettuale. A partire dal 1878 poi Martucci, appena ventiduenne, si cimenta in opere di maggiori ambizioni, soprattutto in ambito cameristico, tenendo presenti come modelli autori come Schumann, Brahms, Wagner.

Nella Sonata op. 52 l'assimilazione di questi modelli avviene in modo assolutamente personale e tale da sortire un risultato originale. Dalla tradizione classicistica brahmsiana sembra nascere il rispetto della struttura codificata, tanto che la Sonata si compone di quattro movimenti di regolarissima fattura (un Allegro in forma sonata, uno Scherzo con Trio, un breve movimento lento e un Finale nuovamente in forma sonata). L'influenza wagneriana è avvertibile invece soprattutto sul piano dell'armonia, che si prospetta inquieta, propensa a cromatismi e accordi alterati. L'equilibrio e la dialettica fra i due strumenti rivelano poi un mestiere compositivo di primissimo ordine, con una scrittura pianistica di grande impegno che non emargina mai, però, lo strumento ad arco. Semmai a Martucci difetta la qualità dell'invenzione melodica, che sembra un poco manieristica quando non indebolita dal desiderio di variegare eccessivamente la struttura armonica.

Il primo movimento della Sonata si apre con una figurazione puntata energica e passionale, cui si contrappone una seconda idea più lirica, con una melodia cantabile del violoncello sorretta dalle vibranti terzine pianistiche. Dopo uno sviluppo di singolare complessità, la ripresa non diverge dalla consueta prassi classicistica, con una coda animata da forti contrasti e ricercati impasti timbrici. Segue uno Scherzo sorretto da una prepotente propulsione ritmica (viene regolarmente accentato l'ultimo tempo della battuta), col suo Trio che arieggia richiami di cornamuse napoletane.

L'Intermezzo, una breve pagina soffusa di una tenue malinconia, crea una marcata contrapposizione con il Finale. Qui infatti il rapidissimo arpeggio di semicrome della prima idea e il serpeggiante motivo cromatico della seconda danno vita a un movimento di frenetica agitazione, che brevi passaggi in pianissimo, sapientemente dosati, hanno la funzione di acuire; nella coda, ad interrompere questo flusso pressante, fa una rapida e interlocutoria apparizione l'iniziale figurazione puntata del primo movimento; ma subito il brano si avvia alla propria trascinante ed effettistica conclusione.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 3 dicembre 1986


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Ultimo aggiornamento 4 maggio 2016