Sinfonia n. 2 in fa maggiore, op. 81


Musica: Giuseppe Martucci (1856 - 1909)
  1. Allegro moderato
  2. Scherzo: Allegro vivace
  3. Adagio ma non troppo
  4. Allegro
Organico: 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, archi
Composizione: luglio 1899 - 11 settembre 1904
Prima esecuzione: Milano, 11 dicembre 1904
Edizione: Ricordi, Milano, 1907
Dedica: alla mia Maria

Trascritta per pianoforte a quattro mani nel 1905
Guida all'ascolto (nota 1)

La Seconda sinfonia in fa maggiore di Martucci fu eseguita la prima volta a Milano, nella Sala del Conservatorio, l'11 dicembre 1904 sotto la direzione dell'autore.

Ad essa Luigi Torchi nella Rivista Musicale Italiana del 1905 dedicò un lungo studio, dal quale sono tolte le note che seguono:

«Giuseppe Martucci è un solitario sereno e fermo nella sua fede ai principi della tradizione classica. Egli non si è permesso una sola variante alla forma della sinfonia di Beethoven: ha voluto che l'espressione della sua individualità artistica roteasse nell'ambito di questa forma.

«Con questo però non bisogna credere che il Martucci, rispetto alla concezione, alla sostanza artistica, sia rimasto stazionario o abbia fatto un passo indietro. Il suo ideale d'artista appare più sensibilmente libero, con maggiore scioltezza e facilità, man mano che nel compositore s' è accresciuto il potere dell'espressione.

«La grandiosità alquanto voluta, pensata, il carattere monumentale, magniloquente, della prima sinfonia in re minore ha ceduto alla spontaneità fresca, che sdegna apparenze e si orienta subito e naturalmente tra facili coerenze, compresa senza sforzo nella sua corsa attraverso la bellezza.

«L'impressione onde si manifesta il carattere della sinfonia al suo annunciarsi diventa direttiva non per una parte, ma per tutto il lavoro, come totalità organica. Cosi accade, sentendo annunciarsi il rondò finale, di comprendere come esso non sia che il sovvenire di una nota altrimenti fervida e pulsante carezzata più innanzi, la sua integrazione naturale e logica, la fine di una novella, in cui i fatti s'erano succeduti e svolti, lasciandoci contemplare, conciliati, la nostra povera vita di ansie e di pochi piaceri. Quel ritmo incalzante viene sentito insieme al ricordo del primo quadro sinfonico, quando, sulla mite scossa dei primi suoni, si delineava il pensiero determinante la nota patetica di tutto il lavoro.

«Il tema principale dell'Allegro moderato, con improvviso scatto e poi quasi inavvertito, si forma insinuandosi, quieto ma deciso, senza arresti, senza titubanze, in una corsa dall'alto al basso, da un capo all'altro dell'orchestra. Nell'udire questa impostazione, ci si domanda se più valga la sostanza del tema o la concisione ond'egli si manifesta e dà adito al tranquillo colloquio in cui entra, nuovo elemento di sentimentale eleganza, il secondo tema. L'atmosfera ritorna tutta in calma, piena di una mite blandizie. Alla rude energia dell'attacco originario, che l'eco ripete come un monito, rispondono voci allettevoli formanti un lieve contrasto, il risorgere di una quiete temprata, nobile e cattivante mentre va sussurrando ciò che sembra la nota inframettente e diversiva.

«La parte episodica è anzitutto interessante nella conseguenza di un piccolo particolare che si annunzia al suo inizio quando, presso la finale dell'un tema, l'altro è rincorso dalla mossa energica del motivo principale pure lasciando inframettersi un dettaglio che prenderà poscia un aspetto melodico, una progressione nuova e piccante, destinato a formare una delle pagine più poetiche di questo primo tempo. Dopo questo sviluppo tutto cede a poco a poco e svanisce sotto l'imperioso cenno del motivo dominante, che si afferma, dopo lotte impari, come in un trionfo sereno e doloroso d'altre memorie. La tensione dura brevemente. Il tema, nella sua mite e sciolta forma originale, ritorna con la parola leggiadra del suo tipo e della sua pace. Un'ampia linea sinuosa, e la sua voce memore si dichiara fra un arcobaleno di suoni, un inno alla quiete dei luoghi selvosi, in sul meriggio d'estate.

«La relazione fra il carattere dello Scherzo e quello del primo tempo non è trascurata: noi sentiamo l'agreste semplicità nel modesto squillare del corno, che s'incapriccia scherzosamente sulle ultime tre note; e queste daranno il tono all'idea del nuovo quadro. È il corno delle Alpi che ci invita ad una veglia gioconda, una scena villica, un convegno ove si canta la canzone favorita. Il Trio è tutta una dolce cantilena, vivamente ritmata dal classico ritmo dei corni. Nella conclusione l'unità sentimentale e organica è rappresentata ancora dal pedale del corno, rammemorante intonazione e carattere, e dalla figura tematica che, sommessamente deplorando, dopo due sibili acuti dà termine ad una scena in realtà vissuta nella tela parlante dei suoni.

«Il tema principale dell'Adagio, dell'estensione spontanea di ben ventiquattro misure, è stato scritto con la vena di un musicista italiano obbediente all'ispirazione ed al cuore. Esso ha un carattere grave ed austero. La melodia del secondo tema è invece un dolce richiamo al passato. È ancora la bella volta azzurra, distesa su di un paesaggio italiano che s'apre innanzi ai nostri occhi; e noi prestiam l'orecchio intento al dolce ricordo dei tempi andati quando nell'infanzia tutto pareva bello. Si disegna poi una terza melodia che assume sviluppandosi aspetto di emotività irruente e rivoltosa, e, dopo l'avvicendarsi di forme derivate da essa e dal tema principale, si afferma autocratica su tutta la compagine del suoni in una forte e tragica linea che passa come un turbine. Poi riappare il primo tema fondendosi con essa, che ritorna ora rasserenata ed aperta nella melodia che la concilia con le melodie sorelle ed avvivata dall'inizio del secondo tema che vi serpeggia e ricama intorno. Diversi istrumenti accennano e si passano i ricordi dei temi, e tutto infine svanisce quasi insensibile, su l'esile eco di due sole note.

«Dopo questo quadro di pretto sapore romantico, il Finale ci ritorna alla primiera disposizione d'animo, o, meglio, ce ne fa conoscere un nuovo aspetto. I due tempi estremi mostran così collegato ciò che l'Adagio ha voluto disgiungere. Questo finale è un rondò che segue, fresco e fluente, le finalità della sua forma e del suo carattere; fra l'alternarsi dei temi esso ammette un pezzo fugato nella parte centrale e poscia riprende la sua corsa rapida, ma d'ordinario non veemente, non tumultuosa, sino in fondo, marcando il suo ritmo sentito, pulsante, uguale. Il movimento giocondo è dato dal suo stesso carattere, come materia e come forma, e da quell'umorismo agile e piacevole che si desume anche dallo Scherzo. La chiusa muove da suoni placidi è vaghi, come sovvenire di sensazioni disperse, svanite. Una ascesa di figure irrompenti dal basso preludia alla fine energica, decisa, classica».


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Teatro Adriano, 16 maggio 1943


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Ultimo aggiornamento 27 gennaio 2016