La canzone dei ricordi

Versione per voce e orchestra dell'op. 68a

Musica: Giuseppe Martucci (1856 - 1909)
Testo: Rocco Emanuele Pagliara
  1. No, svaniti non sono i sogni - Dolce ed espressivo
  2. Cantava il ruscello - Allegretto con moto
  3. Fior di ginestra - Andantino
  4. Sul mar la navicella - Allegretto con moto
  5. Un vago mormorio - Andante
  6. Al folto bosco - Andantino con moto
  7. No, svaniti non sono i sogni - Andantino
Organico: voce, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, oficleide, arpa, archi
Composizione: Castiglione dei Pepoli, luglio - ottobre 1898
Prima esecuzione: Dusseldorf, Stadtmusikverein, 1 novembre 1900
Edizione: Ricordi, Milano, 1899
Dedica: ad Alice Barbi
Guida all'ascolto (nota 1)

Insegnante, direttore d'orchestra, compositore, Giuseppe Martucci esercitò l'arte musicale come un apostolato. Ci ha lasciato, oltre a molta musica pianistica e da camera per istrumehti vari, due sinfonie, un concerto per pianoforte e orchestra ed altre pagine minori di mole, ma non d'importanza.

La Canzone dei ricordi è un poemetto lirico, comprendente un ciclo di sette liriche distinte. Fu composta originariamente per canto e pianoforte. Venne poi dall'autore stesso trascritta per canto e orchestra. Il testo poetico è di Rocco Pagliara, che fu bibliotecario del R. Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli e amico intimo di Martucci.

Testo

1.

No... svaniti non sono i sogni, e cedo,
e m'abbandono a le carezze loro:
chiudo li occhi pensosi e ti rivedo
come in un nimbo di faville d'oro!

Tu mi soridi amabilmente, e chiedo
de'lunghi affanni miei gentil ristoro!
A le dolci lusinghe ancora io credo
a'l ricantar de le speranze in coro.

Ecco... io tendo le mani!
ecco a'l rapito pensier
già tutto esulta, e un vivo foco
di sospir, di desío corre le vene!

Ma... tu passi ne l'aere, a'l par di lene
nuvola dileguante a poco a poco,
per lontano orizzonte...
indefinito!...

2.

Cantava'l ruscello la gaia canzone,
cantavano i rami la festa d'aprile.
O primavera, o fulgida stagione,
o bel tempo gentile!

Vagavan pe'l cielo falene lucenti,
vagavan su' prati, libando ogni fiore.
O primavera, o giorni sorridenti,
o bel tempo d'amore!

Avea carezze d'aliti ogni sentiero;
s'intrecciavano i cespi innamorati.
Oh... la pace fedel de la foresta!
Oh... il soave mistero!

Sovra'l mio volto palido,
sovra la bruna testa,
candidi e profumati,
come nembo divino,
pioveano i petali de'l bianco spino!

Cantava'l ruscello la gaia canzone,
cantavan fra'rami melodiche voci.
O primavera, o rapida stagione,
o rei giorni veloci!

3.

A:
 Fior di ginestra,
 io sono lo scolar, voi la maestra.
 Guardandovi ne'l volto tutto imparo:
 voi la maestra siete, io lo scolaro!

B:
 Così dicea la dolce serenata,
 così dicea la serenata mesta...
 Dunque, su'l volto mio,
 imparasti l'oblío?

A:
 Fior di viola,
 sconsolata fra tutte è un'alma sola:
 su'l suo sentier non brilla amor né speme.
 Vogliamo, o bella, far la strada insieme?

B:
 Così dicea la dolce serenata,
 così dicea la serenata mesta...
 
A:
 Vogliamo, o bella, far la strada insieme?

B:
 Ed ora... ove sei tu?
 Vedi, son sola!
 e piango, e piango, e piango!

4.

Su'l mar la navicella,
vaga conchiglia nera,
fuggía, leggera e snella,
per la tranquilla sera.
parea, come sospinta
da l'ala de'l disío,
e l'anima era vinta
da un infinito oblío.
Su'l nostro capo'l volo de li alcioni
e l'aleggiar de le brezze serene;
e mormoravan languide canzoni,
a' flutti in sen, fantastiche sirene.
Più vivo, in ogni stella,
c'era un folgore arcano:
fuggía la navicella,
su'l mar, lontan, lontano...

5.

Un vago mormorío mi giunge: muta,
rimango ad origliare, e'l cor tremante
una dolce speranza risaluta.
Ahi, mi par di vederlo a me d'innate!
Ma'l mormorío che m'ha portato'l vento
è sussurro di rami e non d'amor!
L'inganno è già svanito d'un momento:
torno a piangere ancor!

Lambisce'l capo mio gentil carezza,
e mi riscote e turba i sensi miei:
de la sua man la tepida dolcezza
parmi sentir, come ne' giorni bei.
Ma l'aleggiar che'l crine m'a sfiorato
è carezza d'auretta e non d'amor!
L'inganno d'un istante è dileguato:
torno a piangere ancor!...

6.

A'l folto bosco, placida ombría,
ove sciogliemmo l'inno d'amore,
sempre ritorna l'anima mia,
triste, languente, ne'l suo dolore!
Ahi... più fedeli, forse,
le fronde serbano l'eco de' miei sospiri:
ancor, fra'rami, forse,
s'asconde la nota estrema de' miei deliri!

O dolce notte! O pallide stelle misteriose!
O profumi de l'aria! O malía de le rose!
Voi mi turbaste l'anima, col vostro influsso arcano

di novi desiderii in un tumulto strano!
Voi, ne' silenzi estatici di mite alba lunar,
voi mi faceste piangere, voi mi faceste amar!

Occhi profondi e mistici che vincer mi sapeste,
chi vi compose'l fascino de la pupille meste?

Ne'l petto ancor mi tremano le vostre flamme ardenti...
v'ascolto ancora, o languidi sospiri, o caldi accenti!

Ah! voi, ne l'incantesimo di bianca alba lunar...
voi mi faceste piangere, voi mi faceste amar...

7.

No... svaniti non sono i sogni, e cedo,
e m'abbandono a le carezze loro:
chiudo li occhi pensosi e ti rivedo
come in un nimbo di faville d'oro!

[ ... ]

Ma... tu passi ne l'aere, a'l par di lene
nuvola dileguante a poco a poco,
per lontano orizzonte...
indefinito!...
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Teatro Adriano, 10 gennaio 1940


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Ultimo aggiornamento 3 febbraio 2016