Quintetto con pianoforte in do maggiore, op. 45


Musica: Giuseppe Martucci (1856 - 1909)
  1. Allegro giusto
  2. Andante con moto (la minore)
  3. Scherzo: Allegro vivace (fa maggiore). Allegro molto
  4. Finale: Allegro con brio
Organico: 2 violini, viola, violoncello, pianoforte
Composizione: Napoli, 1877
Prima esecuzione: Milano, Regio Conservatorio, 17 marzo 1878
Edizione: Fr. Kistner, Lipsia, 1893
Dedica: Principe Francesco D'Ardore
Guida all'ascolto (nota 1)

Anno 1877. Un giovanissimo Giuseppe Martucci partecipa al concorso bandito dalla "Società del Quartetto" di Milano che dispone la scrittura di un Quintetto in 4 tempi. Leggiamo il comunicato dei Commissari: «La Commissione esaminatrice dei concorsi per l'anno 1877, secondo le norme prescritte dal regolamento disciplinare per l'esame dei lavori presentati ai concorsi e per l'aggiudicazione dei premi - in seguito alla verificazione dei lavori presentati e all'esame e discussione parziale di ogni singolo lavoro e previa audizione - è passata alla votazione per ischede segrete, che ha dato il seguente risultato... n. 8 "Lasso che desiando vò quel ch'esser non puote in alcun modo, e vivo del desir fuor di speranza": punti 10... In relazione quindi al disposto dei paragrafi 17 e 18 del regolamento, venne aggiudicato il primo premio al n. 8, che all'audizione ottenne confermato il massimo dei punti per acclamazione». Ricaviamo queste notizie sul Quintetto in do maggiore di Martucci dal paziente e monumentale lavoro biografico in 4 volumi del maestro Folco Perrino. Emozionata e toccante la testimonianza del maestro Martino Roeder, rappresentante della Commissione, che lo stesso giorno, il 23 febbraio 1878, così scrive: «Caro Martucci, adesso vengo via dalla seduta nella quale vi venne attribuito con unanimità il primo premio per il vostro bellissimo Quintetto. Vi stimavo molto, molto, ma questa non me l'aspettavo, le mie congratulazioni più sincere. Vostro affezionatissimo Martino Roeder». A questi riconoscimenti seguì qualche mese dopo l'invito ufficiale all'esecuzione. Ecco la lettera a Martucci dal Segretario della "Società": «Sono lieto di parteciparle che ove Ella fosse disposto a recarsi a Milano, la rappresentanza sociale di ieri avrebbe autorizzato di eseguire il di lei splendido lavoro in in uno de' sei concerti che avranno luogo nell'andante mese di marzo col concorso di quell'esimio violinista che è il Wilhelmy, e precisamente nel quinto concerto che avrà luogo il 17 marzo. Sono persuaso che appena le sarà possibile, non lascierà (sic) sfuggire una si bella occasione.». Occasione presa al volo, se è vero che Martucci, recatosi a Milano, fu in effetti il primo esecutore al pianoforte del proprio Quintetto, con la "spalla" illustre del grande violinista definito al tempo "il Paganini tedesco".

Addentriamoci ora nell'opera. Un lavoro pienamente romantico e soprattutto "sintonizzato" sulla tradizione della scuola cameristica tedesca. Vi troviamo tanto Schumann e tanto Brahms: nella capacità di instaurare un fitto reticolo di richiami tematici a distanza, nella fantasia di articolazione della forma, nella capacità di disegnare un ordine complesso, denso, orientato a un segno poetico malinconico di fondo. Che poesia si respira, ad esempio, già con l'Allegro giusto, con i sospirosi, incantati rintocchi del piano che scorrono sopra l'iridescente lago armonico degli archi. Poco dopo, nel ponte modulante, gorgoglianti arpeggi del pianoforte formano un suggestivo scenario, mentre gli archi fanno sentire una serie di morbidi incisi discendent che, come lacci melodici, tutto avvolgono in un'atmosfera carica di presentimenti. Il secondo tema (Poco più mosso] è un motivo cantabile di romanza, che spicca per la nobiltà del profilo. Per un attimo fa pensare ai magici temi pianistici di Chopin. Enunciato in alternanza da piano e archi, si amplifica sino a divenire un intenso, accorato intreccio. Senza accorgerci Martucci ci ha condotto all'epilogo, laddove un grande climax tutto pare travolgere, mentre con lo sviluppo vediamo la proteiforme capacità di forgiare i materiali, restituendoli ogni volta trasformati e, come dire, "rigenerati".

Nell'Andante con moto la meravigliosa fiaba sonora attraverso la quale ci conduce il compositore si apre a nuove, sorprendenti pagine. All'inizio al commento accordale del pianoforte si avvicendano sussurri sognanti degli archi; flessuose terzine discendenti avviano l'enunciato su spunti e idee sognanti, distese sopra nebulose sonorità armoniche. Che meraviglioso giardino di pace ci accoglie! Ecco ora emergere il canto nobile del cello con un tema dolcissimo sostenuto dall'ondulato ancheggiare del piano, poco dopo ripreso dal gruppo su veloci arpeggi pianistici di sostegno. Il ritorno delle terzine fa da elemento di avvio di nuove idee: così il secondo tema della viola, sull'annuente accompagnamento dei due violini, dopo il commento un po' corrucciato del piano, passa alla voce più chiara e cristallina del violino. Ecco però che il giardino fiorito e incantato dove eravamo stati condotti si trasforma, inaspettatamente. Il secondo commento grigio e corrucciato del piano porta a un cambiamento di scenario, più sviluppativo: prima le striscianti striature ondulate di violini e viola, poi gli arpeggi scuri e minacciosi del piano, infine le frasi ascendenti e sospese degli archi (Più mosso) agitano il clima, rendendolo incandescente (Molto mosso): è il climax, mentre appuntiti motivi discendenti dei violini e della viola sono contrappuntati da sinuosi arpeggi del piano; questo turbine solo man mano rallenta, discende, si acquieta. Come in una sorta di dejà vu, ecco tornare il materiale dell'Andante, ma arricchito da nuove creazioni, da varianti e da segmenti che lo rendono sempre interessante. Alla fine emerge in tutto il suo valore simbolico il senso del ricordo. Per l'ultima volta, ma ora come in una sorta di tramonto, torna il tenue profilo dell'Andante (Tempo I): il gioco di riverberi distribuiti nel quintetto lo rendono in modo magico, quasi bianca luce fluttuante sospesa in una splendida rievocazione.

Dopo questa tavola distesa di suoni immobili forte è il contrasto con le bizzarrie e la spigliatezza ironica dello Scherzo. Esuberante il primo tema, diviso tra gli aerei svolazzi del piano e il motivo di filastrocca degli archi. Più pensoso e dal ritmo quasi zoppicante il secondo, laddove spicca la cantabilità della melodia, rimbalzata da uno strumento all'altro, come un sospiroso pensiero. Un minaccioso accordo diminuito spezza la sezione e apre un episodio sviluppativo ricco di varianti tematiche; drastici cambi armonici, l'uso della velocità estrema, tremoli e pizzicati degli archi, accordi alterati, fasce sonore instabili sono lo scenario dove gli elementi si confrontano, sino a quando emerge anche il profilo del secondo tema, alternato e scambiato col primo. Il secondo tema addolcisce l'ambiente e porta a sfondi più sereni; segue ancora l'iterazione dell'accordo diminuito che per un po' di nuovo agita il clima; questa volta però siamo all'epilogo e un sottile corale degli archi crea un reticolo di tremula luce e di sopraggiunta pace interiore. Alla fine ecco la brillante chiusa sintetizzata nei guizzi di una stringatissima coda.

Nell'Allegro con brio, ci troviamo di fronte a un proteiforme blocco di motivi. Ecco l'energico primo gruppo: dopo gli impetuosi arpeggi del piano, notiamo il bel tema principale dal canto melodico spiegato, sapientemente distribuito tra gli strumenti. Poi altri elementi disegnano un appassionante racconto; nelle modulazioni improvvise, nei cambi di passo e ritmo, negli improvvisi, saltellanti incisi, nelle severe, rimbalzanti punteggiature vediamo tutta la vivacità del giovane Martucci che disegna la sua storia avvincente. Il secondo elemento è contraddistinto da una linea melodica di intenso slancio sentimentale conclusa da flessuose frasi discendenti. Esposti tutti gli elementi, Martucci si lancia in una bella sezione di carattere rielaborativo, estesa e ricca di imprevedibili soluzioni. Tra queste spicca una versione del primo tema trasformata in delizioso ballabile con tanto di pizzicati di violini e annuenti figure ritmiche che costituiscono una sorta di elegante accompagnamento "da orchestrina" Dopo il ribollente sviluppo, Martucci si diverte a farci sentire una finta ripresa che in realtà ha il compito di chiudere in modo spettacolare il Quintetto. Il metodo è assai originale: si sente una bella citazione del primo tema del primo tempo, che unifica e consolida i riferimenti tematici e conclude la narrazione non prima dell'ultima asseverativa asserzione del "tutti".

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 254 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 28 gennaio 2017