Quatre Valses oubliées, S 215


Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
  1. Allegro
  2. Allegro vivace
  3. Allegro non troppo
  4. Allegro
Organico: pianoforte
Composizione: 1881 - 1884
Edizione: Bote & Bock, Berlino, 1881 (n. 1) e 1884 (nn. 2-3)
Dedica: i nn. 2 e 3 alla baronessa Olga von Meyendorff
Guida all'ascolto (nota 1)

Se dovessimo rappresentare l'Ottocento europeo con una danza, non potremmo scegliere altro che il Valzer. Popolare d'origine (suoi antenati furono Ländler, Deutscher Tanz, Dreher, di origine tedesca e austriaca), il Valzer diventò, soprattutto dopo il Congresso di Vienna, il simbolo della nuova classe dominante, la borghesia. I nuovi protagonisti della scena economica e politica prendevano le distanze dal popolino da cui pure in origine provenivano ma tenevano a distinguersi anche dall'aristocrazia, con le sue rigide danze di corte; nel Valzer, che faceva volteggiare in cerchio i ballerini come nelle danze popolari ma per la prima volta univa la coppia in un abbraccio gentile, sensuale quel tanto da far sognare con eleganza dama e cavaliere, si poteva intravedere chiaramente quella nuova morale e quella nuova energia che erano il simbolo dei tempi nuovi. Lungo tutto il XIX secolo il Valzer percorse la sua inesorabile parabola, conquistando i saloni da ballo di tutta l'Europa e spopolando soprattutto in Francia e a Vienna; anche gli editori ne trassero cospicui guadagni, pubblicandone folte messi, a gruppi di tre o di cinque, per la gioia dei salotti urbani. Mano a mano che il successo si espandeva, tendevano a consolidarsi anche consuetudini nella forma: l'uso molto diffuso in Francia, ad esempio, di far seguire ad un primo Valse lente un secondo Valse sauteuse e un terzo Valse jetée, in un crescendo di ritmo e di eccitazione; oppure la codifica di una forma standard in cui si ritrovavano i temi espressi in una successione di gruppi di otto battute, in cui si alternavano tonica e dominante.

Non rinunciò a cimentarsi con il Valzer quasi nessuno dei grandi compositori, chi per curiosità, chi per gioco, chi per raffinato esperimento: Beethoven, Schubert, Hummel, Weber e ovviamente Chopin e gli Strauss, che portarono il genere all'eccellenza, senza contare gli innumerevoli esempi che si trovano nei melodrammi di Donizetti, Verdi, Gounod e tantissimi altri. Ciò che qui più ci interessa - e cominciamo ad incamminarci sulla strada del programma di questa sera - è però la trasformazione che questa forma ebbe nell'immaginario dei compositori più colti, parallelamente alla diffusione e fruizione potremmo dire "generalista" di questa danza. Il Valzer, in altri termini, cominciò a diventare una forma-simbolo, un genere con cui misurarsi per arrivare alle estreme conseguenze tecniche ed emotive, un canovaccio da cui partire per esplorare regioni sconosciute, insomma, come qualcuno ha già detto, "una danza per l'anima". È su questa strada che si mette Chopin e che si mette Liszt, scrivendo alcune pagine memorabili e particolarmente significative del suo sconfinato catalogo. Ha notato Leslie Howard, che al compositore ungherese ha dedicato moltissima parte del suo lavoro di musicologo e di interprete, che raramente ai Valzer di Liszt si dà lo statuto di corpus organico, eseguendoli ad esempio in uno stesso concerto uno di seguito all'altro o incidendoli tutti insieme, come si fa per quelli di Chopin. Certo la difficoltà tecnica di molte di queste pagine lascia perplessi anche i migliori interpreti sull'opportunità di un'esecuzione integrale nell'ambito di una sola serata; ma oltre al calcolo che pure un buon interprete compie per calibrare le proprie energie e la propria capacità di resistenza sulla scena, ci sarebbe secondo Howard dell'altro, ossia quel solito nefasto pregiudizio nei confronti dell'opera lisztiana, che fa considerare con troppa severità la qualità della sua scrittura e quindi etichettare negativamente con rigidità tanto la produzione flamboyant della giovinezza quanto quella più essenziale e sobria della maturità, tendendo ad estrapolare momenti di eccellenza anziché valutare l'organicità di tutta la produzione.

Il Valzer in Liszt segna invece alcuni momenti importanti e si connota come significativo banco di prova in momenti di notevole evoluzione artistica. Epurati dalla miriade di errori con cui sono stati stampati sin dall'inizio, alcuni dei quali dovuti alla disinvoltura con cui gli allievi rimaneggiarono i manoscritti del maestro e altri al misconoscimento di alcune arditezze armoniche che invece aggiungevano valore visionario alla scrittura lisztiana, i Valzer meritano di essere considerati, studiati e ascoltati come uno straordinario percorso che inizia dalle opere scorrevoli e salottiere della giovinezza per approdare allo sperimentalismo degli anni della maturità.

Le Quatre Valses oubliées composte nei primi anni Ottanta del XIX secolo, rappresentano un ponte ideale tra il Liszt giovanile e quello maturo, come lo stesso titolo suggerisce. Quello che Liszt ci fa credere di aver "dimenticato" in vecchiaia, è la leggerezza e lo stile accattivante della giovinezza, qui senza ombra di dubbio ritrovato ma anche fuso con le esperienze successive. Da questa felice unione risulta il tono malinconico e gentile, di rara e pensosa leggerezza, di cui sono intrisi tutti e quattro i Valzer, che conquistano l'ascoltatore con impareggiabile charme.

Nel primo Valzer, una breve introduzione fatta di elastici accordi staccati in scala discendente, quasi leggeri passi che evocano la danza, lascia poi fluire il gaio tema principale: uno spensierato andirivieni di note che, come in una giocosa altalena di suoni, descrive gli accordi base delle tonalità in cui via via ci inoltriamo, rispettando la scansione classica delle otto + otto battute. La seconda parte, molto più breve ma anche più intensa e appassionata, gioca sull'incisiva presenza delle ottave alla mano destra che descrivono un tema in cui le numerose sincopi, destabilizzando il tessuto ritmico, aggiungono drammaticità al fraseggio. Improvvisamente, quasi bruscamente, torniamo al tema iniziale, e poi agli altri episodi già ascoltati, questa volta però declinati in una tonalità minore: il paesaggio emotivo cambia totalmente e ciò che prima era espresso con allegra leggerezza ora acquista un tono di tristezza struggente per perdersi poi in un finale sorprendentemente silenzioso, somigliante più alla luce di una candela spenta con un piccolo soffio che ai fuochi d'artificio riservati alla conclusione dei grandi Valzer brillanti.

Nel secondo Valzer il ritmo sembra essere il punto focale intorno al quale gioca la scrittura lisztiana. Il classico movimento in tre, viene qui frantumato in una struttura senz'altro ternaria, ma punteggiata da pause che ne spezzano la fluida continuità. Ecco quindi che quando la scrittura più tipica del Valzer (melodia alla mano destra e accompagnamento al basso formato da una nota + due accordi) entra in gioco nella terza sezione della composizione, noi la riconosciamo ma la sentiamo anche come una sorta di relitto, di ricordo appunto di altri tempi, così come quelle intere battute in trillo che si inseguono l'una dopo l'altra, sempre più in alto, oppure quel fortissimo ad evidenziare le squillanti ottave del secondo tema che invitano inequivocabilmente alla danza. Sembra in questo Valzer più di una volta di ascoltare accanto a Chopin (in quella sorta di corale che occupa le battute contrassegnate con un poco meno mosso, ma poco, ad esempio), un'ombra di Ravel o di Debussy.

La "falsa partenza" del terzo Valzer, quel tema sommesso che sembra non riuscire a spiccare il volo se non dopo il terzo tentativo, ci introduce subito in un'atmosfera semplice e scorrevole, lasciandoci familiarizzare con il materiale tematico che resterà più o meno lo stesso per tutta la composizione. In questo Vàlzer la sfida sembra essere quella di lavorare con un'estrema economia di mezzi tematici, trasformandoli via via in maniera più interlocutoria o più assertiva per creare differenti paesaggi sonori. È questo uno degli ingredienti tipici della scrittura del Liszt maturo, che ritroviamo in tante altre composizioni. Essenziale e sospesa è allo stesso modo la conclusione che arriva, in uno sfilacciarsi di suoni, a riproporre le note iniziali come viste però attraverso una lontananza infinita, quasi un sogno, un ricordo.

Il quarto Valzer, rimasto inedito fino al 1954, è il più spettacolare del gruppo; percorso da un'ansia interna che è ben rappresentata, sin dalle prime battute, da un movimento di note veloci che si mantiene pressoché costante, enuncia presto il primo tema formato da quattro note (lunga-breve-breve-lunga), per esplodere poi in una sezione virtuosistica in cui accordi pieni e ottave si susseguono in una sorta di cavalcata sfrenata. La conclusione resta enigmatica e sospesa, come in molti altri lavori dell'ultimo Liszt.

Daniela Gangale


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 11 marzo 2011


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Ultimo aggiornamento 15 gennaio 2015