Herr wie lange (Salmo XIII), S 13/2

per tenore, coro e orchestra - seconda versione

Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
Organico: tenore, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, organo, archi
Composizione: 1859 - 1863
Prima esecuzione: Karlsruhe, 22 agosto 1864
Edizione: Kahnt, Lispia, 1864
Dedica: Peter Cornelius
Guida all'ascolto (nota 1)

Ideali cenobitici presiedevano alla vita quotidiana nella residenza di Altenburg, presso Weimar, dove dal 1848 si erano stabiliti Franz e Carolyne. Alle sei di mattina, Franz siedeva allo scrittoio donde si irradiava la sua attività ecumenica, quasi di presbìtero preposto ad una comunità eterogenea, ma non meno affollata all'occasione, di quella abitata dai quattromila monaci sui monti della Nitria. Come si addiceva all'uomo che aveva abbandonato le tentazioni del concertismo militante per la contemplazione creativa, non era raro che alla porta bussasse, metaforicamente, qualche pellegrino illustre, come Richard Wagner, e che fossero istituiti contatti spirituali con altri di non minore rilievo, come Berlioz e Schumann.

Le parole di George Sand offrono un'immagine quasi perfetta di quegli ideali: «Car, lorsque le prodige de la descente du Paraclet s'accomplit sur les disciples de Jésus, le ciel s'ouvrit audessus de leurs tetes et ils durent entendre et retenir confusément les chants des brulants séraphins et les harpes d'or de ces beaux vieillards couronnés, qui apparurent de nouveau plus tard a Jean l'apocalyptique, et dont il put ouïr les divins accords parmi les vents de quelque nuit d'orage sur les grèves désertes de son ile. O vous, qui, dans le silence des nuits, surprenez les mystères sacrés; vous, mon cher Franz, a qui l'esprit de Dieu ouvre les oreilles, «fin que vous entendiez de loin le célestes concerts, et que vous nous les transmettiez, a nous infirmes et abandonnés!». Il kitsch di questa visione alla porporina rivaleggia con i soggetti sacri dipinti alla Wartburg da Moritz von Schwind, ai quali si deve l'ispirazione della Leggenda di Santa Elisabetta.

Come si legge nel settimo entretien delle Soirées de Saint-Pétersbourg, la Sacra Scrittura non offriva soltanto esemplari preziosità figurative, era anche il ricettacolo di ogni poesia, soprattutto di quella suprema davidica, cui non erano paragonabili «la chaleur putride de Sapho ou l'enthousiasme soldé de Pindare». In questo clima di rinascita cattolica, che Liszt aveva assorbito sotto l'influsso di Lamennais ed esposto, per quanto di competenza professionale, nel saggio sulla Musica religiosa del futuro (1834), maturarono le suggestioni estetizzanti di una spiritualità confessionale in moto dalle istanze trascendentali romantiche agli esiti ornamentali decadenti: nell'itinerario dall'irrazionalità al décor, Liszt immaginava un rinnovamento popolarizzatore della musica sacra.

«Lagrime e sangue» furono versate sulla partitura del Salmo XIII, nel quale desolazione, fede, celebrazione segnano i momenti del colloquio con Dio. Liszt ne aveva redatto una prima versione per soprano, tenore, baritono, coro e orchestra, eseguita il 6 dicembre 1855 a Berlino; successivamente, a Iena il 15 marzo 1857, fu eseguita l'attuale versione.

Nelle sette parti del salmo, tre sono le componenti stilistiche dell'assunto lisztiano: non di quello testuale dove l'autore si identifica, va da sé, con l'invocante ed orante Roi-Prophète; ma di quello musicale, dove più precise appaiono le suture dell'arazzo. Il motto, corrispondente alla ripetuta invocazione «Herr wie lange », traccia il modello del recitativo teatrale wagneriano, nel quale si inserisce il coro; nella parte successiva (Andante con moto) il recitativo si connette al disegno imitativo che riproduce lo stile della musica sacra concertata tardo settecentesca. Il Lied solistico e corale, in un cullante tempo doppio ternario (appena un capello al di qua del valzer cantato), appare alle parole «Schaue doch» (Andante mosso), per cedere nuovamente al recitativo (Allegro agitato) e alla ripresa del Lied (Allegro moderato; «Ich aber hoffe»), conclusa con la citazione di trombe barocche e con il trompe l'oeil della fuga in stile severo (Allegro energico; «Ich will dem Herrn») che approda alla ricapitolazione in maggiore del motto d'apertura (Andante maestoso) come trionfalistica supremazia del contrappunto festivo sulla smarrita teatralità dell'inizio.

Teatro, Lied, oratorio erano dunque i concreti sottintesi di Liszt quando affermava che, nella musica sacra, occorreva «risalire alle sorgenti vive che zampillano nella vita eterna».

Testo

Herr, wie lange willst du meiner so gar vergessen? Wie lange verbirgst du dein Antlitz vor mir?

Wie lange soll ich sorgen ih meiner Seele und mich ängstigen in meinem Herzen täglich? Wie lange soll sich mein Feind über mich erheben?

Schaue doch und erhöre mich, mein Herr, mein Gott! Erleuchte meine Augen, dass ich nicht im Tod entschlafe,

dass nicht mein Feind rühme, er sei meiner mächtig geworden, und meine Widersacher, sich nicht freuen, dass ich niederliege.

Ich aber hoffe darauf, dass du so gnädig bist; mein Herz freuet sich dass du so gerne hilfst. Ich will dem Herrn singen dass er so wohl an mir thut.
Fino a quando, Signore, mi dimenticherai? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?

Fino a quando avrò l'ansia nell'anima e l'affanno nel cuore ogni giorno? Fino a quando s'innalzerà il nemico sopra di me?

Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio! Illumina gli occhi miei, che io non mi addormenti nella morte,

che il mio nemico non dica di avermi sopraffatto, e i miei avversari non si rallegrino della mia sconfitta.


Ma io spero nella tua benevolenza; il mio cuore gioisce perché tu soccorri volentieri. Canterò al Signore perché mi ha beneficato.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 24 novembre 1974


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Ultimo aggiornamento 3 aprile 2013