Rhapsodie espagnole. Folies d'Espagne et Jota aragonesa, S 254


Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
Organico: pianoforte
Composizione: 1863 circa
Edizione: Siegel, Lipsia, 1867
Guida all'ascolto (nota 1)

Liszt è stato ritenuto, a giusta ragione, il pianista per eccellenza, colui che continuò e sviluppò la via già indicata da Clementi, Beethoven e Weber e nello stesso tempo gettò le fondamenta del pianismo moderno, come riconobbe Ferruccio Busoni. Mentre Paganini, che fu quello strabiliante virtuoso dell'archetto che tutti conosciamo, ebbe seguaci, ma non successori e si può dire che rimase un fenomeno a sé, Liszt con il suo tecnicismo ferratissimo e il titanismo scalpitante e focoso fece scuola e la sua lezione si estese e si protrasse oltre la sua epoca, tanto è vero che ancora oggi si può parlare di stile lisztiano, se si rispettano certe caratteristiche di impostazione e di sviluppo del gioco pianistico che furono proprie del musicista ungherese.

Certo, il pianismo di Liszt fu unico nel suo genere e riempì di sé tutto il periodo romantico, distinguendosi nettamente dal pianismo di Chopin, che pure ebbe una importanza fondamentale nell'ambito dell'arte romantica. Chopin usò il pianoforte in funzione di un intimismo espressivo che rifuggiva da qualsiasi perorazione oratoriale e retorica; il pianoforte venne inteso da lui come strumento delle confessioni dell'animo e non come mezzo di esibizionismo e di autoesaltazione dell'Io, categoria creatrice e dominatrice del pensiero romantico. Per Liszt il pianoforte fu, sì, la tastiera dei sogni, delle contemplazioni e delle evasioni dalla realtà, ma anche lo strumento in cui egli seppe riversare tutta la piena dei sentimenti, con una ricerca di effetti timbrici e coloristici senza precedenti e con una invenzione di trovate, come ad esempio i passi di estrema agilità nella zona acuta dei tasti, che non sempre erano sfoghi esteriori di un temperamento scapigliato ed esuberante.

Naturalmente il virtuosismo trascendentale del pianismo lisztiano non poteva non suscitare, con il mutare dei gusti e delle mode, un sentimento di freddezza e di più distaccata adesione presso l'enorme schiera degli ascoltatori; ma non si possono ignorare i vantaggi che a suo tempo quella tendenza provocò nella musica strumentale moderna, come la maestria tecnica ingigantita attraverso l'assoluto dominio di tutte le possibilità meccaniche, dinamiche ed espressive dello strumento. Del resto le tre raccolte delle «Années de pélerinage, première année (Suisse), deuxième année (Italie) e troisième année» (in quest'ultima sono incluse le fosforescenti e liquescenti sonorità de Les jeux d'eau a la Ville d'Este), le Vingtquatre Grandes Études, le Études d'exécution transcendante d'après Paganini (il terzo dei sei pezzi è l'arcinota trascrizione de La campanella dal rondò finale del Secondo Concerto in si minore per violino e orchestra di Paganini: una melodia fresca e zampillante, immersa in un vorticoso turbinìo di trilli, di scale, di tremoli e di arpeggi che evocano una atmosfera di seducente felicità sonora), le diciannove Hungarian Rhapsodies costituiscono dei punti fermi nella storia pianistica e nessuno può negare i valori musicali sparsi a piene mani in queste pagine, pur tra alcune uscite tecnicistiche di un funambulismo circense.

Un prorompente virtuosismo caratterizza certamente la Rhapsodie espagnole. Questa pagina, scritta nel 1863, ha un tono brillante sin dall'attacco, con i suoi ritmi marcati e accesi, secondo uno spagnolismo molto idealizzato, ma non superficialmente turistico, inteso come evocazione di canti sereni e appassionati, in un paesaggio solatìo e punteggiato da ritmi di danza.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 10 febbraio 1984


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Ultimo aggiornamento 2 agosto 2013