La Rapsodia ungherese n. 6 è strutturata in quattro episodi tematicamente indipendenti che si susseguono senza soluzione di continuità e che appaiono formalmente ispirati all'archetipo della Sonata (primo movimento, Scherzo, Adagio, Finale). Qualunque pianista di buone qualità può affrontare tranquillamente i primi tre episodi. Solo chi è dotato di polsi d'acciaio può invece attraversare indenne il quarto episodio, tutto basato sulle "ottave". Nell'esecuzione delle ottave vengono impiegati simultaneamente il pollice e il mignolo oppure il pollice e l'anulare, con le dita che rimangono bloccate mentre l'avambraccio si muove in su e in giù, freneticamente, come l'asta di una pompa. Nella Sesta Rapsodia l'effetto delle ottave è più o meno quello di uno sferragliante treno a vapore che rischia più volte il deragliamento. Anche in questo caso Vladimir Horowitz la spunta sopra tutti, sebbene Cyörgy Cziffra e Martha Argerich possano competere con lui sul piano della velocità e della potenza (ma non del colore). Il valore della composizione non risiede tuttavia nello steeple-chase delle ottave ma nell'equilibrio formale complessivo, nella varietà delle situazioni e nella gradevolezza dei quattro temi. E per quanto riguarda le ottave, il plauso non va a chi arriva alla fine con le braccia che fumano ma a chi può permettersi di mantenere l'aplomb e la grazia del virtuosismo trascendentale, della tecnica che si dimentica di esser tele.
Pietro Rattalino