Mazeppa, S 100

Poema sinfonico n. 6 da Victor Hugo

Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
Organico: ottavino. 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, grancassa, piatti, archi
Composizione: 1851 (revisione 1854)
Pima esecuzione: Weimar, Grossherzögliches Hoftheater, 16 aprile 1854
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856
Dedica: Carolyne Sayn-Wittgenstein
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Liszt è una personalità di prepotente fascino e di primissimo piano nella vita musicale ottocentesca, anche se l'importanza e il valore del suo insegnamento restano spesso circoscritti agli aspetti tecnici e virtuoslstici nel campo dello strumento a tastiera. Certo, nessuno prima di Liszt ha saputo potenziare, esaltare e dilatare in un verticalismo di titanica difficoltà l'esecuzione pianistica, riuscendo ad arricchire la gamma espressiva di questo strumento delle più spericolate e sorprendenti trovate. Basti pensare alle poderose scale cromatiche di ottave, ai pirotecnici glissandi, ai salti a grandi intervalli, alle sovrapposizioni e agli incroci di mano, ai possenti e slanciati arpeggi e agli inesauribili trilli, senza contare tutti gli effetti strumentali che ha sparso con generosa signorilità sulla tastiera.

Ma questo è soltanto uno dei due profili del nostro musicista scapigliato e ultraromantico, tutto proteso verso un sogno di grandezza e di glorificazione dell'Io, sospinto da un'ansia creativa e interpretativa senza confini. C'è anche l'altra faccia di Liszt, il quale aprì la musica a nuovi orizzonti e la svincolò dalla soggezione all'ordinamento classico, gettò le basi con il suo pianismo «liquido» e dai contorni sfumati per l'esperienza debussiana e in parte favorì con il discorso programmatico dei poemi sinfonici la forma ciclica franckiana. Né va taciuto il suo rilevante e determinante contributo, ormai da tutti accettato, alla tecnica compositiva di Wagner, enucleata sulla forza concettuale del leitmotiv e sulla espressività della «melodia infinita».

Del resto, un esempio della musicalità lisztiana, sia come stesura del programma e sia come elaborazione del leitmotiv, è racchiuso nel poema sinfonico Mazeppa, scritto nel 1851 e diretto dallo stesso compositore nel Teatro Granducale di Weimar il 16 aprile 1854. L'edizione orchestrale del poema è l'ampliamento modificato di uno studio pianistico che Liszt aveva composto nel 1827, cioè nei primissimi anni della sua attività creativa, e successivamente riveduto nel 1838, nel 1840 e nel 1851. Il personaggio di Mazeppa è realmente esistito: il suo nome era Ivan Stefanovic Mazeppa, avventuriero polacco vissuto fra il 1644 e il 1709. Divenuto capo dei cosacchi dell'Ucraina, compì numerose imprese eccezionali, così da essere nominato principe dallo zar Pietro il Grande. Tra l'altro, secondo la leggenda che circondò il suo nome, sembra che Mazeppa, per una contrastata relazione amorosa, sia stato legato nudo su un cavallo selvaggio, lanciato in una folle corsa verso l'ignoto; venne salvato dai cosacchi, che lo proclamarono loro re, attratti dal suo straordinario coraggio.

Sia Byron che Victor Hugo scrissero due poemi sulla figura di Mazeppa: il primo ne fece un eroe rivoluzionario, secondo la simbologia romantica, mentre il secondo ne mise in rilievo la carica umana, con la forsennata cavalcata senza fine. Liszt si attiene alla versione del poeta francese, tanto è vero che tutta la partitura è percorsa dal fremito incessante della cavalcata di Mazeppa, racchiuso in un tema potente ritmato e affidato in gran parte agli ottoni, dopo la mobilissima frase iniziale degli archi. L'orchestra si scatena con effetti e trovate che mirano ad impressionare l'ascoltatore. Non manca un episodio cantabile che somiglia ad uno dei concertati delle opere del primo Verdi, un autore molto stimato da Liszt. Alcuni colpi di timpano in diminuendo accentuano l'adagio centrale: Mazeppa ha finito la sua corsa, circondato dai cosacchi in lacrime. Solitaria e dolente si leva la voce del corno con sordina in una breve implorazione di indubbia efficacia; squillano le trombe e riappare il tema di Mazeppa a segnare l'apoteosi finale in un clima di marcia trionfale. L'orchestra di Mazeppa è costituita da due flauti, ottavino, due oboi, corno inglese, due clarinetti e clarinetto basso, tre fagotti, quattro corni, tre trombe, tre tromboni e tuba, timpani, triangolo, piatti, grancassa e archi.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il poema sinfonico Mazeppa si ispira alla poesia di Victor Hugo contenuto nella raccolta Les Orientales, a sua volta ispirata alle vicende storiche di Ivan Stepanovič Mazepa (o Mazeppa), che agli inizi del Settecento si era schierato con Carlo XII, re di Svezia contro lo zar di Russia. Leggenda vuole che Mazeppa, punito per la relazione con la moglie di un alto dignitario della corte di Polonia, sia stato trascinato in groppa a un cavallo selvaggio per tre giorni fino alla natia Ucraina, dove, salvato dai cosacchi, ne diviene capo (atamano).

Il primo accordo dell'orchestra, quasi un colpo di frusta, incita il cavallo al galoppo, e sull'agitata cavalcata degli archi si staglia l'eroico tema di Mazeppa, poi proclamato a tutta forza dall'orchestra. Il terribile supplizio piega le forze del prigioniero, e compare un nuovo tema espressivo dolente. Liszt pone il malinconico tema in primo piano, mentre l'inquieto accompagnamento richiama il moto della cavalcata, ma come messa in secondo piano.

Le forze di Mazeppa sembrano riprendersi con la riproposizione dell'eroico tema, ma alla fine le energie vitali si esauriscono fino al silenzio. La musica si arresta, così come la cavalcata; rimangono lacerti di melodie intervallati da cupe pause. Si giunge a una nota grave degli archi, e da queste regioni profonde prende il via la riscossa: sul tremolo uno squillo di trombe annuncia l'arrivo dei Cosacchi e la salvezza di Mazeppa, salvezza che si trasforma in trionfo nell'Allegro marziale, una fanfara che coinvolge anche il tema dolente della prima parte, ora luminoso ricordo che trasforma esaltando le passate difficoltà in un ancor più fastoso successo.

Emiliano Buggio


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 maggio 1979
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 380 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 30 luglio 2023