Le trascrizioni lisztiane di celebri opere coeve si dividono in due categorie: da un lato quelle che lo stesso autore definiva "partiture per pianoforte", dall'altro le numerose parafrasi che Liszt chiamava reminiscenze o fantasie. Nel primo caso si tratta di arrangiamenti fedeli all'originale nei quali lo strumento si trasforma in orchestra (ad esempio l'Ouverture da Guglielmo Teli di Rossini), nel secondo caso siamo di fronte a opere originali su temi di altri compositori da cui si distinguono per struttura formale e ricchezza inventiva (come, appunto, le Reminiscenze da Lucìa di Lammermoor di Donizetti). Solitamente l'ascoltatore è "distratto" dagli aspetti più appariscenti del virtuosismo ma, contrariamente a quanto si possa pensare, il pianismo lisztiano non è così trascendentale; a tale proposito sono molto chiare le parole di Camille Saint-Saëns: "L'influenza di Liszt sui destini del pianoforte è stata immensa [...]. Essa è più forte di quella di Paganini nel mondo del violino, perché questi è rimasto confinato nelle regioni inaccessibili cui lui soltanto poteva accedere, mentre Liszt, partito dallo stesso punto, si è degnato di scendere lungo le vie praticabili in cui può seguirlo chiunque voglia prendersi la pena di lavorare seriamente. [...] L'enorme sviluppo della sonorità e dei mezzi impiegati per ottenerla, che lui ha inventato, sono divenuti una condizione indispensabile e alla base stessa dell'esecuzione moderna".
Fabrizio Scipioni