Concerto n. 2 in la maggiore per pianoforte e orchestra, S 125


Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, piatti, archi
Composizione: 1849 (revisioni 1853, 1857 e 1861)
Prima esecuzione: Weimar, Großherzögliches Hoftheater, 7 gennaio 1857
Edizione: Schott, Magonza, 1863
Dedica: Hans von Bülow

Utilizza il Concerto sans orchestre S 524a incompiuto
Vedi a S 651 la trascrizione per due pianoforti
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Fu principe e artista, e già al tempo della sua vita fu leggenda. Principeschi erano il suo modo di sentire, il suo aspetto, il suo modo di fare; gli impresse il sigillo di artista la fortunata unione di talento, intelligenza, perseveranza e idealismo. Come artista ebbe tutti i segni distintivi dei grandi: l'universalità della sua arte, i tre periodi creativi, lo spirito di ricerca sino alla fine; le sue capacità misteriose, le sue esibizioni prestigiose, l'efficacia magnetica delle sue arti gli conferirono l'"aura leggendaria".

Le sue mete sono ascensione, affinamento e liberazione. Solo una persona elevata aspira a salire, solo una nobile mente ad affinarsi, solo uno spirito libero alla libertà.

Egli è diventato il simbolo del pianoforte, che innalzò al rango principesco, perché diventasse degno di lui stesso».

Queste parole di Ferruccio Busoni assumono il significato di un omaggio da parte di un grande pianista-compositore a beneficio di quello che fu uno dei protagonisti della musica tardo-ottocentesca; protagonista, come lo fu Busoni stesso, sia sul piano della produzione compositiva sia su quello dell'interpretazione esecutiva. A parte l'aspetto "leggendario" - meno rilevante, nelle vicende biografiche del musicista ungherese, rispetto alle mitizzazioni mistificatorie solitamente tramandateci! - non poco significativa risulta qui la puntualizzazione con la quale Busoni mette a fuoco, oltre che i più notevoli attributi proprii al suo illustre "collega", le non poche affinità che accomunano il musicista italiano con quello ungherese. In dettaglio: le fisiche sembianze e il modo di sentire "principeschi" (intendiamo con questo aggettivo la singolarità della figura fisica e, soprattutto, la raffinata sensibilità artistica), il talento di prim'ordine, l'intelligenza straordinaria e produttiva, la perseveranza nel seguire contemporaneamente il cammino dell'attività concertistica e di quella compositiva, l'idealismo estraneo al mediocre esercizio dell'ambizione fine a se stessa, lo spirito di ricerca stilisticamente progressivo, la propensione a fare dell'interpretazione musicale un'esperienza prestigiosa; codesti sono tutti aspetti che appartengono sia al musicista italiano che a quello ungherese.

Il che si verificò specialmente - e Busoni ne sapeva qualcosa! - in quel settore che il Nostro definisce "lo spirito di ricerca", in un settore dove notoriamente Liszt promosse un ragguardevole rinnovamento del linguaggio e delle forme musicali; al punto che non pochi compositori del periodo ultimo-romantico - Wagner, tanto per citare l'esempio più illustre dell'influenza stilistica esercitata da Liszt - trovarono la via del "progresso" musicale grazie alle innovazioni, oltre che in virtù della protezione, messe in atto da Liszt. Di queste innovazioni, non sempre la musica "inventata" da Liszt suggerisce qualcosa di interessante al pubblico e allo studioso. Il che, invece, non si verifica per il Concerto in la maggiore. L'ascolto immediato - e ancor meglio la verifica testuale di quello "spirito di ricerca" citato da Busoni nel suo "omaggio" critico a Liszt - forniscono un'incontestabile documentazione delle innovazioni rilevabili in questo momento esemplare della stilistica lisztiana; a questo mira, nei limiti di un'illustrazione necessariamente concisa, la descrizione strutturale che segue (ma in questo brano, come in pochi altri, la valutazione autentica del componimento dipende soprattutto, data l'estrosa libertà inventiva del Concerto, dalla sensibilità di chi ascolta il tutto con la debita attenzione e il complementare straordinario piacere).

L'Adagio sostenuto assai del secondo Concerto di Liszt per pianoforte e orchestra inizia con una plastica introduzione strumentale ("dolce soave" secondo la didascalia dell'autore) affidata al timbro dei "legni" (flauto, oboe, clarinetti, fagotti). L'entrata del pianoforte ("dolce armonioso") prevede, per lo strumento solista, una funzione decorativa risolta attraverso il costante impiego dell'arpeggio. Questo tipo di decorazione acquista maggiore spicco, dopo la prima entrata del corno solista e lo stacco del "Poco più mosso", attraverso la mobile concitazione delle "fioriture" virtuosistiche destinate a risolvere in una breve Cadenza del pianoforte (segnata in partitura da questo disinvolto pasticcio linguistico: "Orchester tacet. Cadenza del piano"). Dopo di che si ritorna al tempo iniziale ("L'istesso tempo"), con una incisiva proposta tematica ("scharf markiert und abgestossen" - "aspramente marcato e spezzato"), introdotta con gagliarda fermezza dallo strumento solista.

Nella rapida mutabilità del discorso musicale, quasi subito si arriva ad un Allegro agitato assai, dove il discorso musicale conclude nei termini della più evidente dinamicità. Ancor più concitato appare l'episodio successivo ("Tutti, un poco più mosso") che, utilizzando una classificazione formale propria del barocco "Concerto grosso", impone sia all'orchestra che allo strumento solista, una vivace mobilità, destinata a risolversi in una nuova e breve Cadenza ("Tempo del Andante", secondo l'approssimativa terminologia musicale inventata da Liszt).

Nel successivo Allegro moderato, un particolare rilievo spetta, ad un certo punto, allo strumento solista impegnato in un episodio appassionato e cantabile ("con abandono" secondo la didascalia del compositore). L'episodio, prima risolve in una nuova cadenza del pianoforte, poi si fissa alla gagliarda dimensione di un Allegro deciso. Il tempo che segue (Marciale un poco meno Allegro, secondo la curiosa definizione segnata in partitura) è caratterizzato da una vigorosa marcatura ritmica associata alla massiccia strutturazione del discorso musicale. Da qui in avanti, il discorso musicale si fa sempre più denso e concitato fino all'episodio conclusivo ("Stretto, molto accellerando"), dove sia l'orchestra che lo strumento solista ("forte con bravura") si dispongono nell'ambito di una prospettiva strutturale nella quale l'euforia virtuosistìca del pianoforte - tutt'altro che insignificante come veicolo di una incalzante spavalderia espressiva - si associa alla brillante scrittura progettata per l'accompagnamento orchestrale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I due concerti per pianoforte e orchestra di Liszt furono scritti l'uno accanto all'altro nel periodo di Weimar (1848-61) utilizzando tuttavia idee e abbozzi risalenti agli anni Trenta; terminata una prima definitiva stesura nel 1848-49, il compositore li sottopose entrambi a un lungo quanto cospicuo processo di revisione. Nel Concerto n. 2, chiamato da Liszt «Concert symphonique» in omaggio a Henry Litolff (1818-91), autore appunto di «concerti sinfonici» in cui all'orchestra viene attribuito un ruolo sostanziale, il ripensamento del genere tradizionale appare ancora più ardito e radicale di quanto non sia dato cogliere nel già sperimentale Concerto n. 1 e condivide aspetti sostanziali con le innovazioni formali e costruttive realizzate dal compositore nell'ambito del poema sinfonico. Privo di contrasti esibiti e accentuati (basti pensare che l'unico movimento lento è quello iniziale), il concerto si configura come un unico, grande arco musicale, articolato al suo interno in sei movimenti o sezioni definite dai cambi di tempo che si succedono senza soluzione di continuità, e dunque smentisce la codificata architettura tripartita - o eventualmente Quadripartita - propria del genere. La struttura complessiva è ambigua e polivalente, nel senso che vi si può riconoscere un libero schema di sonata (Esposizione - Sviluppo -Ripresa - Coda), mentre alcune sezioni assumono i tratti musicali rispettivamente di uno Scherzo, di un movimento lirico centrale e di un finale. Di conseguenza l'analisi proposta qui di seguito, analisi che su basi tematiche e tonali considera comunque lo schema del movimento di sonata e l'architettura classica in quattro movimenti come archetipi di riferimento, è una tra le molte possibili. Il mezzo principale grazie al quale Liszt assicura coesione e continuità a una sequenza di movimenti apparentemente indipendenti è dato dal principio della trasformazione dei temi: emblematico al riguardo il processo di metamorfosi caratteriale e di variazione cui nel corso del lavoro viene sottoposto il tema d'apertura. Pur sempre nel segno inconfondibile del virtuosismo listziano, il rapporto del solista con l'orchestra è di duplice natura e si profila concertante nel senso originario e più pieno del termine: se da un lato per definizione il pianoforte si contrappone eroicamente all'orchestra, dall'altro tende spesso a integrarsi nel tessuto sinfonico. A parte i luoghi in cui assume il ruolo di protagonista assoluto, nell'esposizione di alcuni temi, nelle cadenze o comunque emergendo nell'opposizione dialettica con l'orchestra, il pianoforte viene utilizzato da Liszt quasi come uno strumento dell'orchestra stessa, che ora lottando per imporsi ora assecondando contribuisce con il proprio apporto virtuosistico e timbrico alla definizione di un contesto sinfonico. Per converso è altrettanto significativo l'impiego in funzione solistica e concertante di strumenti dell'orchestra, specie dei fiati, come del resto accade anche nel Concerto n. 1. Pianoforte e orchestra sono dunque portati a incrociare e a sovrapporre quelli che almeno sulla carta sarebbero i rispettivi ruoli e piani di azione nella logica del concerto.

Il concerto fu eseguito per la prima volta il 7 gennaio 1857 nell'Hoftheater di Weimar sotto la direzione dello stesso Liszt; al pianoforte sedeva l'allievo Hans von Bronsart, cui il concerto sarà in seguito dedicato in occasione della prima edizione (1863).

La composizione si apre con un movimento lento, Adagio sostenuto assai. Il tema 1, in la maggiore, dalle inflessioni cromatiche, è un corale dei legni; dopo che il clarinetto ne ha concluso da solo l'enunciazione, il tema viene ripetuto a organico ampliato (legni e archi) con morbidi arpeggi e interpolazioni del pianoforte. Il solista conduce quindi una transizione ornamentale, in tempo Un poco più mosso, che pone in risalto i controcanti espressivi e sognanti di alcuni strumenti dell'orchestra: inizia il corno, cui poi si aggiungono l'oboe, il violoncello e il flauto; l'episodio viene concluso da una breve cadenza del solista. La transizione prepara l'attacco del tema 2, in re minore, di carattere deciso e marziale: rapide e icastiche figure cromatiche a mo' di ostinato alla mano sinistra, presto riprese dall'orchestra, e motivi di fanfara alla mano destra.

Una nuova transizione basata sugli elementi del tema porta quindi al primo cambio di tempo, Allegro agitato assai: ha dunque inizio una sorta di Scherzo energico e violento. Il tema 3, in si bemolle minore, è costituito da un antecedente condotto dal pianoforte su strette figure di scala derivate dal tema 2 e da un conseguente affidato al Tutti senza solista, in tempo Un poco più mosso. Rispetto al rapporto tra pianoforte e orchestra, questo è forse uno dei momenti più oppositivi del concerto; quando il solista rientra in gioco prende infatti avvio un aspro conflitto tra questi e l'orchestra, culminante in una semplice, tranquilla cadenza del pianoforte che addolcisce e sfuma il discorso musicale (Andante).

Ciò che incomincia dopo questo gesto interlocutorio è una sorta di intermezzo lirico, in tempo Allegro moderato. Il moderato tema 4 nasce da una trasformazione lirica e cantabile del conseguente orchestrale del tema 3: è enunciato dagli archi, cui il solista risponde con una breve cadenza. Segue uno dei passaggi più poetici e ispirati del concerto. Un duplice ritorno del tema 1, ora in re bemolle maggiore, cantato dal violoncello solo sugli arpeggi del solista, con note tenute dei corni e dei legni: la prima volta il pianoforte esegue senza accompagnamento la coda del tema stesso, la seconda anticipa quello che sarà il tema 5. Quest'ultimo, una specie di notturno in re bemolle maggiore, viene suonato dal pianoforte, poi sostenuto dagli archi. Segue quindi un ritorno del tema 4, con pianoforte e oboe solo, ai quali si aggiungono via via il flauto e due violini soli. Una cadenza del pianoforte conclude l'intermezzo lirico e insieme l'esposizione del materiale tematico dell'intero concerto.

In tempo Allegro deciso, re bemolle maggiore, ha inizio la sezione mediana, di Sviluppo. I motivi marziali del tema 2 sono ora elaborati in combinazione con elementi tratti dal conseguente orchestrale del tema 3: il solista si contrappone all'orchestra in un eroico conflitto concertante, dapprima sul piano del puro volume sonoro e del timbro, con poderosi accordi che si integrano col tumultuoso e incalzante decorso degli archi e con gli interventi alternati di ottoni e legni, poi anche su quello dell'opposizione tematica e gestuale. Il conflitto si protrae anche negli altri due periodi del movimento. L'elaborazione del conseguente orchestrale del tema 3 vede il solista prodursi in prolungati passi di ottave 14.021, finché ha inizio un pedale di dominante del tono d'impianto, la maggiore, che prepara la ripresa, con un'elaborazione dell'antecedente pianistico del tema 3. La Ripresa viene preparata, oltre che dal senso di attesa prodotto dal lungo pedale armonico, da un progressivo crescendo dal piano al fortissimo (fff) e dall'intensificarsi del virtuosismo del solista.

Con lo stacco del movimento successivo, Marziale un poco meno allegro, si passa dunque alla Ripresa, nel tono d'impianto, e contemporaneamente al finale: viene così raggiunto il climax intermedio dell'intero concerto. Il delicato tema 1 si trasforma qui in una marcia trionfale a pieno organico con colpi di piatti che, con gesto di ricapitolazione, assorbe anche elementi motivici del tema 3 e i ritmi marziali del tema 2; l'antecedente del tema 3 risuona quindi agli archi con una brillante parte decorativa, in arpeggi, del pianoforte (Un poco animato). In tempo Un poco più mosso seguono una variante più lirica e molto appasionata del tema 1, condotta dal pianoforte, quindi la ripresa del tema 5 con diminuzioni virtuosistiche del solista e raddoppio della linea melodica da parte del flauto solo. Il discorso musicale si addolcisce e sfuma progressivamente in modo analogo a quanto avviene alla fine dell'Allegro moderato, per concludersi con una cadenza del pianoforte.

L'ultimo cambio di tempo, Allegro animato, coincide con il trapasso alla coda e al culmine virtuosistico del concerto. I brevi motivi cromatici sono riconducibili tanto al tema 1 quanto al tema 3; la parte pianistica è ancora una volta integrata nel tessuto sinfonico anche se il solista si produce in spettacolari effetti di glissando che contrastano in modo dissonante con le armonie dell'orchestra. Nella stretta finale il pianoforte sfoggia un potenziale virtuosistico di arpeggi, accordi a piene mani e ottave.

Cesare Fertonani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 gennaio 1985
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 105 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 9 febbraio 2014