Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, S 124


Musica: Franz Liszt (1811 - 1886)
  1. Allegro maestoso
  2. Quasi Adagio
  3. Allegretto vivace. Allegro animato
  4. Allegro marziale animato
Organico: pianoforte solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, piatti, archi
Composizione: 1849 (revisione 1856)
Prima esecuzione: Weimar, Schloßtheater, 17 febbraio 1855
Edizione: Haslinger, Vienna, 1857
Dedica: Henry Litolff

Vedi a S 650 la trascrizione per due pianoforti
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nei primi anni della sua residenza a Weimar, Liszt portò a termine i due concerti per pianoforte e orchestra, iniziati nel 1839 e destinati ad essere eseguiti solo parecchi anni dopo, nel 1855 e nel 1857. I primi abbozzi del Concerto n. 1 risalgono al 1830, ma la partitura fu completata solo nel 1849, e successivamente rivista nel 1853 e nel 1856. Liszt, che aveva sino ad allora composto per lo più musica pianistica, e aveva scarsa dimestichezza con l'orchestrazione, si fece aiutare, in questo compito, dal suo allievo joachim Raff. La prima esecuzione avvenne a Weimar, il 17 febbraio 1855, sotto la direzione di Hector Berlioz, con Liszt al pianoforte.

In queste due partiture il compositore riversò l'enorme patrimonio tecnico che, nelle composizioni precedenti, aveva fissato la fisionomia del pianoforte moderno in tutta la gamma dei suoi effetti timbrici, dalla sottigliezza di una scrittura miniaturistica, sottilmente cesellata, alla mimesi della più trascinante potenza orchestrale. Lo spunto allo sviluppo del grande virtuosismo proveniva da Paganini, la cui sperimentazione tecnica appariva, agli occhi dei romantici, come uno slancio prometeico, teso al superamento dei limiti fisici del violino. La difficoltà trascendentale non era intesa, quindi, come pura esibizione acrobatica ma come rifondazione di uno strumento che doveva rivelare aspetti sconosciuti e introdurre l'ascoltatore alla scoperta di nuovi mondi sonori.

Trasportando sul pianoforte l'impeto sperimentale che Paganini aveva applicato al violino, Liszt giunse, talvolta, a rasentare l"'abbandono al materiale", vale a dire la moderna esibizione di effetti sonori espressivi di per sé, per l'intrinseca qualità delle loro vibrazioni e colori timbrici. Effetti che ritroviamo in alcuni passi dei due concerti, dove il pianoforte è il signore assoluto e la forma stessa sembra concepita per metterne in evidenza la personalità tecnica ed espressiva. In altre parole, siamo qui in presenza di "poemi sinfonici" senza un programma dichiarato, perché implicito nella stessa presenza di un personaggio di cui si rappresentano le gesta: il pianoforte, appunto, giunto al culmine della sua onnipotenza tecnica e del suo splendore concertistico.

Del poema sinfonico i due concerti di Liszt presentano la struttura. Nel Concerto in mi bemolle, i vari movimenti si succedono senza soluzione di continuità e, come avviene nella Fantasia Wanderer di Schubert, sono collegati dalla presenza di un motto ricorrente che, in questo caso, apre l'Allegro maestoso con un gesto orchestrale dal carattere fortemente ritmico, cui il pianoforte risponde immediatamente con una cadenza di tipo eroico. Il tono è solenne, epico, battagliero, ma verrà smentito subito dopo. L'orchestra tenta, infatti, di contenere il pianoforte e inquadrarlo in un discorso comune, ma con scarso successo: al pianoforte, i temi proposti dagli strumenti interessano poco. Il motto ricorrente, ad esempio, che apre il concerto, è molto definito e severo, si presterebbe a incastri complessi, magari di tipo fugato. Chissà che cosa ne avrebbe fatto Brahms. Ma il pianoforte di Liszt, libero e insofferente, lo ignora e svolazza in melodici arabeschi, dal suono perlaceo. È lui, piuttosto, che attrae nella propria orbita gli altri strumenti, come avviene nel meraviglioso secondo tema, un notturno la cui melodia, suadente e nostalgica, coinvolge prima il clarinetto, poi due violini soli in un dialogo abbandonato. L'orchestra assume quindi in questo movimento l'originale funzione di una cornice, definisce, per così dire, il cavo della scena in cui il grande mattatore può esibirsi in tutta la sua istrionica versatilità, decidendo lui che cosa fare: o struggersi in melodie dolcissime, o effondersi nei più scintillanti arabeschi, o scattare in furiose galoppate e tempeste di ottave.

Dopo che il primo movimento è evaporato in pianissimo, il secondo, Quasi adagio, si apre con una frase di violoncelli e contrabbassi che il pianoforte amplifica e dilata in un arcano notturno. L'incanto è spezzato da un energico recitativo pianistico. Ma il tono estatico ritorna. Il pianoforte si scioglie nuovamente in sussurri e dolcezze, sinché, da quel canto, si libera un leggerissimo volo di trilli, intrecciati alla voce degli strumentini. L'atmosfera diventa magica, incantata, di una leggerezza fiabesca e annuncia l'Allegretto vivace.

Qui il suono acquista nuove iridescenze: il triangolo tintinna, mentre un tema scherzoso sembra introdurre una danza di folletti, ridotta in una dimensione miniaturistica, con un gusto del giocattolo e del movimento meccanico che sembra anticipare Ravel. Dopo un'inattesa reminiscenza del Quasi adagio, tutto si oscura in un fremito e in una raffica di terzine pianistiche che porta ad un ritorno del motto iniziale, nel registro basso del pianoforte: questi lo passa all'orchestra in un'amplificazione monumentale. Ma si tratta solo di un'ammonizione passeggera, come mostra l'ultimo movimento, Allegro marziale animato. Il titolo è ingannevole: questo non è un pezzo aggressivamente militaresco, ma una marcia leggera, guizzante, festosa nel suo sventolio di trilli. Un corteo di soldatini di piombo, interrotto dal motto iniziale del primo movimento che si riaffaccia in orchestra. Dopo una reazione del pianoforte all'altezza di tanta solennità, riprendono la danza brillante, le corse frenetiche, il tintinnare del registro acuto, il suono del triangolo e tutto si conclude nell'espressione di una leggerezza incantata.

Paolo Gallarati

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Liszt iniziò a comporre intorno al 1830 tre grandi lavori per pianoforte e orchestra: i due concertii e Totentanz. Tuttavia la gestaziono di queste opere fu lunga e travagliata: esse infatti apparvero nella loro stesura definitiva rispettivamente nel 1857, 1861 e 1859. Per quel che riguarda il concerto in mi bemolle maggiore, gli abbozzi risalgono al 1830, mentre la prima versione completa è solo del 1849; il compositóre rivide la partitura più volte prima della pubblicazione presso l'editore C. Haslinger di Vienna nel 1857. La prima esecuzione avvenne il 17 febbraio 1855 al castello di Weimar con Liszt stesso al pianoforte e l'orchestra diretta da Hector Berlioz.

Il Concerto in mi bemolle di Liszt, parimenti ad altri concerti composti negli Anni '40, rappresenta una svolta nella storia del concerto per pianoforte e orchestra: esso segna l'abbandono dello schema del concerto in tre movinenti con l'introduzione di uno Scherzo dopo il tempo lento come nella sinfonia; per questo tipo di concerto Henry Litolff coniò l'espressione «Concerto symphonique» ed esso costituì il modello per il Seondo Concerto in si bemolle maggiore di Johannes Brahms. Liszt nel concerto affronta il problema di mediare la struttura del pezzo caratteristico e della parafrasi pianistica con l'dea della grande forma sinfonica.

La soluzione che egli propone è quella di avvicinare la tecnica della variazione-parafrasi, che lasciava largo spazio al virtuosismo pianistico, a quell'unione di grandiosità e di logica tematica differenziata che, secondo i canoni estetici dell'Ottocento, costituiva l'essenza della musica sinfonica.

La forma in Liszt è difficilmente riconducibile a schemi generali poiché essa viene in certa misura reinventata in ogni singola composizione e anche laddove si possono cogliere dei riferimenti alla tradizione, essi sono alquanto sfumati e comunque sempre problematici.

Il concerto si apre con il motto principale attaccato dagli archi all'unisono in fortissimo: esso si basa su un motivo nettamente profilato sotto l'aspetto ritmico: tale motivo è poi ripetuto un tono sotto venendo così a formare la prima frase (x) del tema principale. A questo punto, invece della prosecuzione del I tema, si ha l'ingresso del solista con un passaggio in ottave doppie che sfocia in un'ampia cadenza.

La nuova entrata dell'orchestra ripresenta il tema principale, completato da una seconda frase (y) affidata al pianoforte; questa però ora appare non come la naturale conseguenza del motto iniziale, (x) ma come un'improvvisa apertura lirica, una melodia cantabile, riccamente fiorita e in un'altra tonalità (mi maggiore). Sorge allora la domanda se si tratti realmente di un tema unico o se debbano considerarsi due klee musicali distinte, accostate volutamente per contrasto, o ancora se siamo di fronte a una nuova concezione ilei tema che ammette la compresenza di elementi così diversi. Tale episodio viene ripetuto mezzo tono sopra, prolungato da una breve cadenza del pianoforte alla quale segue una nuova idea melodica, affidata al clarinetto, che funge da transizione al II tema.

Il tema secondario, una melodia cantabile e appassionata, viene esposta prima dal pianoforte, poi ripresa in tonalità differenti e con sempre maggiore slancio dal clarinetto, dal violino e dal violoncello, quindi di nuovo dal solista, donde una sezione di carattere squisitamente cameristico.

È questo uno degli aspetti più tipici della strumentazione lisztiana che ritroviamo anche nei poemi sinfonici: quando il compositore vuole ottenere una leggerezza di scrittura, caratterizzata da timbri particolari, egli isola nella grande orchestra un gruppo di strumenti e per esso compone delle pagine che si direbbero di «musica da camera».

Segue una digressione modulante in cui appare in orchestra il motivo x e la melodia del clarinetto della transizione, mentre il solista si lancia in virtuosistiche figurazioni arpeggiate. Il ritorno di x in fortissimo all'orchestra ci riporta alle misure iniziali del concerto e funziona come una sorta di ripresa, più propriamente una «falsa ripresa» poiché si presenta in una tonalità diversa dalla tonica. Va notato che questo procedimento di dissociazione tra la ripresa tematica e il ritorno della tonica è un altro aspetto caratteristico del comporre lisztiano.

Il nuovo intervento del solista è costituito dalla variante del motto principale (x), trasformato per diminuzione e si conclude riagganciandosi alla cadenza iniziale. È sempre il tema principale che viene riproposto nella sua interezza, con scrittura cameristica nel dialogo tra i legni e il pianoforte e poi ancora affidato agli archi finalmente nella tonalità della tonica. Ma siamo ormai all'epilogo e l'ultima presentazione del motto x, su vorticosi arpeggi e scale cromatiche del pianoforte porta a conclusione il movimento.

Il secondo movimento è articolato in tre parti: la prima, dopo una breve introduzione orchestrale, è esposta dal pianoforte solo ed è una melodia cantabile di suggestione chopiniana. Una variante di questa melodia da parte dell'orchestra introduce un recitativo del pianoforte, sostenuto dal tremolo degli archi e da accordi dei fiati, recitativo che si muta in un'elaborazione pianistica dell'inizio della melodia principale. Al flauto appare una nuova idea melodica di carattere popolare che è ripresa dall'oboe, quindi dal violoncello; infine il clarinetto ripropone un'ultima volta il motivo della melodia iniziale.

Su un doppio trillo del pianoforte si ha, senza interruzione, il passagio al terzo movimento. Liszt nella partitura lo segna come continuazione del secondo movimento, di cui l'Allegretto vivace costituirebbe la seconda parte e l'Allegro animato che segue, la terza. L'effetto all'ascolto però è quello di uno scherzo il cui tema, caratterizzato da frequenti salti, staccati del pianoforte e pizzicati dagli archi, da improvvisi accenti, nonché dalla presenza del triangolo, è proposto alternativamente dal pianoforte e dall'orchestra e ripetuto variato altre due volte. Una breve cadenza conduce all'Allegro animato, sezione di transizione o di raccordo dello scherzo al finale: comincia il pianoforte con la variante x' in ottave doppie, ripresa poi dagli archi in tremolo con un incalzante crescendo che porta a una nuova perorazione di x da parte dell'orchestra in fortissimo seguita dalle prime battute della cadenza del pianoforte; il che provoca nell'ascoltatore la sensazione di riudire l'inizio del concerto. Ma la cadenza del pianoforte si interrompe dopo poche battute per lasciare spazio a una sezione in cui vengono riproposti e combinati diversi motivi tematici sino adesso presentati, mentre i timpani scandiscono, come viene indicato nella partitura, il ritmo del tema principale.

Il finale attacca subito e può essere interpretato nell'insieme come una grandiosa variazione del secondo e terzo movimento. La variazione consiste nella trasformazione di carattere dei temi, nelle modifiche della strumentazione e nella combinazione dei temi stessi.

L'Allegro marziale animato si apre con un tema di marcia, festosamente enunciato dall'orchestra, tema che è una trasformazione della prima idea melodica dell'Adagio. Il pianoforte subentra all'orchestra con la seconda frase del tema che trasforma poi in una sorta di cadenza, i cui rapidi passaggi in ottave sfociano in una seconda idea tematica; questa, affidata sempre al solista, si rivela una variante ritmica del secondo tema dell'Adagio. Ritorna il tema di marcia all'orchestra mentre il pianoforte prima gli ricama intorno figurazioni di arpeggi, poi lo riprende e lo varia con una scrittura sempre più brillante e virtuosistica. Annunciato dal triangolo, ecco ricomparire il tema dello scherzo ancora al pianoforte, parafrasato virtuoslsticamente e punteggiato da interventi dell'orchestra, quindi il tema-motto x, modificato in un tetracordo cromatico discendente dai valori ritmicamente uguali. L'ultima parte del movimento reca l'indicazione Presto e ritroviamo ancora la variante x' del tema principale con un travolgente crescendo sino al fff in cui x risuona un'ultima volta. Una breve formula cadenzale conclude il concerto.

Antonio Schilirò

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La singolarità della posizione di Liszt nel mondo della musica romantica consiste nel fatto di aver conciliato due elementi contrastanti: la vistosità di un virtuosismo, clamorosamente portata fino al lìmite del cattivo gusto, unita all'intimistica passionalità e tenerezza colma di poesia di molte sue pagine. La fantasia di Liszt è un crogiolo fiammeggiante dove si fondono e acquistano una propria fisionomia i più disparati stilemi provenienti da varie fónti: dal pianismo chopiniano, dal canto popolare, dall'estroversa eleganza di Thalberg ed anche dalla nitidezza stilistica di Czerny. Gli apporti del pianismo lisztiano sul piano del trattamento tecnico della tastiera sono molto importanti e bene si appropria il termine «trascendentale» agli artifici di molti suoi pezzi. La tastiera è diventata uno sconfinato campo d'azione dove sfarzosamente si esibiscono le più ardite figurazioni sonore come i passi di ottave e di decime, i vorticosi glissandi in terze e in seste, gli smisurati trilli ed i tumultuosi arpeggi. Ma tutta questa parata di effetti smaglianti non serve a Liszt quasi mai per abbacinare gli ascoltatori con lo scopo dì nascondere una qualche carenza inventiva. Tutti quegli elementi sono parte integrante del suo stile, rientrano spontaneamente nel suo mondo espressivo, si adeguano alla sua personalità audace e volitiva che affronta i valichi più impervi. Un Victor Hugo della musica potrebbe definirsi Liszt considerando le dimensioni non solo esteriori di molte sue opere. Ma la visione che ha Liszt del linguaggio è forse più dinamica e protesa verso l'avvenire. Da vari passi di sue composizioni traspare la brama sperimentale di Liszt, quel suo aggirarsi nella terra di nessuno alla ricerca dell'ignoto, dell'inedito. Così, tanto per fare alcuni esempi, oltre ad un regime armonico spiccatamente cromatico, si può citare l'impiego della scala esatonale, le enunciazioni dodecafoniche e le successioni accordali di un gusto delicatamente impressionistico. Debussy, Ravel e Bartók si sono spesso avvicinati all'arte di Liszt prendendola a modello per alcune loro opere.

I primi abbozzi del concerto n. 1 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra risalgono al 1830. La composizione venne terminata nel 1849 e sottoposta a revisione nel 1853 e 1856. Il concerto fu eseguito per la prima volta dallo stesso Liszt a Weimar nel 1855 sotto la direzione di Hector Berlioz. L'opera si presenta come un monoblocco e formalmente si avvicina al poema sinfonico. Tuttavìa sono chiaramente indicati quattro movimenti in cui la composizione è strutturata. Il tema principale del primo movimento è in fortissimo. La sua irruenza s'impone subito sugli ascoltatori quasi che Liszt volesse immediatamente soggiogarli con le sue erompenti immagini per poi agire liberamente con l'estro stravagante sulla loro fantasia. Il secondo tema contrasta nettamente col primo per la sua lirica essenza. Il «Quasi adagio» si sviluppa su una melodia pacata della quale si ricorderà Richard Strauss nel celebre valzer del «Rosenkavalier». Nel concerto di Liszt questa melodia raggiunge vette di esasperata passionalità. Nella parte centrale del secondo movimento ad essa si sostituisce una tenera melodia affidata al flauto. Il terzo movimento è un brano pieno di bizzarre fantasticherie, di arabeschi spiritosi esaltati da un particolare senso ritmico e da una strumentazione piena di curiosi effetti. Si trovano qui quei delicati colpetti di triangolo che indussero il critico Hanslick a definire ironicamente l'opera lisztiana, nella sua nota stroncatura, «concerto per triangolo e orchestra». Il travolgente e scintillante Finale, dopo la festosa riapparizione delle idee precedenti, culmina nella pomposa ripresa del primo tema.

Antonio Mazzoni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 marzo 2011
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 43 della rivista Amadeus
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 8 febbraio 1975


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Ultimo aggiornamento 15 novembre 2019