Il gallo d'oro

Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo

Musica: Nikolay Rimsky-Korsakov (1844 - 1908)
Testo: Vladimir Belsky da Aleksandr Pushkin
Ruoli: Organico: 3 flauti (2 e 3 anche ottavini), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, tromba contralto, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, rullante, tamburo basco, glockenspiel, piatti, grancassa, xilofono, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: San Pietroburgo, 15 ottobre 1906 - 29 agosto 1907
Prima rappresentazione: Mosca, Teatro Solodovnikov, 7 ottobre 1909
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1908
Sinossi

Prologo. Un astrologo ammonisce gli spettatori di fare attenzione al senso della fiaba, inventata ma istruttiva.

Atto primo. Nel palazzo dello zar Dodon è riunito il consiglio. Lo zar si lamenta: sogna solo di dormire, ma i nemici minacciano il suo regno, mentre i suoi figli danno irrealizzabili suggerimenti militari. Giunge in soccorso l'astrologo, che consegna allo zar Dodon un uccello meccanico, un galletto-statua e una sentinella-sveglia che segnala i pericoli con il suo 'chicchirichì'. Dodon si vuole sdebitare: alla prima occasione l'astrologo gli potrà chiedere tutto ciò che desidera. Lo zar si mette a letto, mentre la nutrice Amelfa gli canta filastrocche sui dolciumi. Ma la ninna-nanna è interrotta dall'allarme del gallo. Lo zar, assonnato, manda i giovani alla guerra e si rimette a dormire. Ma anche il secondo sonno è interrotto dal gallo: il nemico sopraggiunge, e questa volta egli stesso deve andare ad affrontarlo a capo di un esercito di veterani.

Atto secondo. L'armata di vegliardi spaventati descrive gli orrori della guerra, e Dodon scopre i cadaveri dei figli che si sono uccisi a vicenda. Da una tenda compare la regina di Cemachan, una fanciulla di orgogliosa bellezza, che intona un inno al sole. La regina dichiara di essere venuta a conquistare il regno di Dodon armata solo del suo fascino. In una scena di seduzione canora: la regina descrive la sua sensualità, la sua innocenza, persino la sua nudità. I figli si sono uccisi per lei, ma Dodon, ormai pazzo d'amore, non se ne cura. Si dichiara malinconica e infelice, e Dodon si offre di consolarla; ella lo trascina in una danza ammiccante e maliziosa. La regina lo deride, ma si fa portare nel suo regno.

Atto terzo. Nel regno di Dodon c'è apprensione: il popolo osserva con terrore il galletto immobile. Giunge il corteggio degli sposi, con animali e umani: vesti sgargianti, selvaggi, nani, giganti. Ritorna anche l'astrologo, che chiede allo zar in sposa la regina, come compenso per il gallo, con insistenza e malgrado il rifiuto di Dodon, finendo per prendersi un colpo di scettro in testa che lo fa stramazzare al suolo. Il gallo si alza il volo e becca la testa dello zar, mentre la regina scompare. Il popolo è attonito: lo zar è morto e non gli resta che intonare un canto di compianto.

Epilogo. L'astrologo resuscitato spiega: il pubblico non si turbi per il sangue sparso, solo lui e la regina sono figure vive, gli altri illusione: fantasmi e povere larve.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Insieme alla stesura delle Memorie, Rimskij fece ancora in tempo a scrivere il suo testamento operistico, composto soprattutto nel biennio 1906-7, a un anno dalla morte. I tempi erano molto cambiati nella Pietroburgo di quegli anni, soprattutto dopo la sconfitta subita dalla Russia da parte del Giappone e dopo la rivoluzione del 1905, repressa dal potere nel sangue. Sono tempi difficili per Rimskij, sospettato dalla polizia zarista di collaborazionismo rivoluzionario. Puškin aveva scritto la fiaba in versi Il gallo d'oro nel 1834, per criticare l'indolenza degli zar di allora, ma la parodia è efficace anche nel 1906. La fiaba del tirannico zar Dodon, che pretende di regnare dormendo, diviene molto allusiva: il paese era appena andato incontro alla distruzione della flotta e dell'esercito durante la guerra russo-giapponese. La rappresentazione dell'opera sollevò un clamoroso caso di censura: gli addetti volevano far tagliare numerose parti, ma l'autore si oppose e fece preparare una traduzione francese per far eseguire l'opera a Parigi. Non tutto venne appianato e Il gallo d'oro divenne, prima ancora di essere eseguita, un simbolo della rivolta antizarista. Rimskij, innervositosi per le incertezze e l'atmosfera minacciosa, fu colpito da un attacco di angina pectoris, del quale morì senza veder rappresentata la sua ultima fatica operistica: un'inquietante fiaba malefica.

Il Gallo d'oro è dunque una satira politica del regime autocratico, svolta con sottile demonismo burlesco: il feticcio iettatorio e vendicativo del galletto crea infatti un clima infido, molto distante dal mondo dei balocchi infantili tipico dello Zar Saltan, precedente fiaba puškiniana. La ferocia della satira è resa acuminata dalla musica sottoposta a questa rissosa schermaglia fra marionette crudeli. In piena polemica antisentimentale, questi personaggi stilizzati cantano con forte tecnicismo strumentale: la freddezza del canto si coglie in quella bambola meccanica che è la regina di Cemachan, il cui orientalismo astratto esprime mirabilmente gli aspetti seducenti della malvagità femminile. Il libretto, di asciutto rigore ritmico, viene sorretto da uno stile musicale altrettanto pungente; l'orchestra è capace di durezze ben poco fiabesche, che già annunciano l'avvento dei grandi allievi di Rimskij destinati a maggior gloria: Stravinskij e Prokof'ev. Il gallo d'oro è pertanto opera di transizione fra il vecchio e il nuovo, nonché punto di arrivo in termini di modernità per un autore che si dimostra conservatore a parole e innovatore nella pratica.

Franco Pulcini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il gallo d'oro (Zolotoj petusok) è l'ultima delle quindici opere scritte da Rimskij-Korsakov, su libretto di Vladimir Belskij tratto da un racconto di Aleksandr Puskin di carattere fiabesco e di chiara intonazione satirica nei confronti del potere zarista inetto e incapace di prendere decisioni nell'interesse di tutto il popolo. Il musicista ci lavorò nel 1907 e nel 1908, ma la morte non gli permise di assistere alla esecuzione dell'opera, che avvenne il 24 ottobre 1909 al Teatro di Mosca con la compagnia privata di Zamin, dato che le autorità di polizia avevano espresso molte riserve, se non un rifuto, sia nei confronti del testo e sia rispetto all'autore, che aveva manifestato le sue simpatie verso i moti rivoluzionari del 1905, favorevoli ad un cambiamento in senso più democratico della vita politica russa. Del resto la favola raccontata nel Gallo d'oro è molto allegorica e contiene precisi riferimenti allo zarismo vecchio e nuovo, cioè del tempo di Puskin e del tempo di Rimskij. La trama si impernia sulla figura del vecchio zar Dodòn che vuole finire in pace i suoi ultimi giorni, dormendo tranquillamente e senza aver fastidi dentro e fuori del proprio regno. Per questa ragione lo zar Dodòn stringe un patto con un astrologo, vestito in modo bizzarro da mago e appartenente ad una setta di eunuchi: egli soddisferà ogni capriccio dell'astrologo, purché questi gli ceda un gallo d'oro che, issato sulla cima di un'asta, segnali tempestivamente con il suo chicchirichì qualsiasi pericolo minacci lo zar. Il gallo svolge a meraviglia il suo lavoro e un bel giorno avverte che il nemico avanza dall'Oriente; lo zar, svegliato dal sonno, invia un'armata guidata dal figlio maggiore Guidòn, ma non se ne sa più nulla. Dopo otto giorni il gallo dà di nuovo l'allarme e lo zar invia una seconda armata agli ordini del figlio minore Afròn. Altri otto giorni di silenzio e arriva il terzo avvertimento del gallo; allora lo zar si decide a muoversi alla testa dell'esercito che gli è rimasto e con senso di orrore e di sgomento scopre in un'aspra gola montana che le due prime armate sono state sterminate insieme ai figli. Non ha finito di disperarsi che gli appare una splendida principessa di nome Semachà, la stessa per cui i due giovani fratelli si sono uccisi e della quale ora si invaghisce perdutamente lo zar, che la conduce con sé a corte. Arriva la carrozza con Dodòn e la futura zarina; il popolo accoglie festosamente lo zar e la giovane. Si fa avanti l'astrologo, il quale ricorda allo zar l'antico giuramento: l'ora di assecondare il suo desiderio è arrivata. L'astrologo chiede per sé la fanciulla, volendo prender moglie. Lo zar rifiuta e non rispetta i patti, per giunta monta su tutte le furie e lo colpisce a morte con lo scettro. A questo punto interviene il gallo, che scende in picchiata sulla testa dello zar e lo uccide a beccate. Il cielo si copre di nuvole e cala improvvisamente il buio. Tornato il sereno ci si accorge che il gallo e la principessa sono misteriosamente scomparsi. Mentre il popolo piange la morte di Dodòn rispunta l'astrologo che rivela agli spettatori di essere, come la principessa, un personaggio del mondo reale, mentre tutti gli altri appartengono al regno delle favole e dei sogni.

Musicalmente Il gallo d'oro è ricco di colori armonici e strumentali, con vari temi melodici e ritmici, funzionanti anche come leitmotive, per circoscrivere situazioni e stati d'animo psicologici, con danze e cori piacevoli nell'ambito di una scrittura chiara e lineare, rivolta ad evidenziare il carattere fantasioso e popolare dell'opera. Infatti, secondo le precise scelte stilistiche di Rimskij-Korsakov, nel Gallo d'oro predomina il senso lirico di ciò che viene raccontato e l'atmosfera di fiaba popolaresca, pur tra uscite umoristiche e satiriche, esclude qualsiasi tono drammatico forte e violento che mira, a giudizio del musicista, ad una visione troppo realistica dell'opera d'arte. Del resto è noto a tutti come questo compositore sia stato un magnifico orchestratore e le sue preferenze siano andate sempre alle favole radicate nella tradizione russa, da La fanciulla di neve a Sadko, da La sposa dello zar alla Leggenda della città invisibile di Kitez, tanto per fare qualche esempio. Nella favola egli si muove con maggiore libertà e può esprimere meglio la sua sigla inventiva, aperta ai più diversi accadimenti timbrici e vocalistici e con la mente rivolta alle nuove tendenze impressionistiche, ma senza tagliare nettamente e definitivamente con il passato. Anzi, sotto certi aspetti linguistici, si può dire che Il gallo d'oro apra la strada ad alcune esperienze innovatrici novecentesche che sarebbero esplose negli anni successivi alla sua apparizione: pensiamo allo Stravinsky affabulatore dell'Uccello di fuoco e ritmicamente tagliente e marionettistico di Petruska e al Prokof'ev vivacemente sfizioso e ironico dell'Amore delle tre melarance.

Il gallo d'oro inizia con gli squilli acuti e penetranti delle trombe e con un'ampia melodia del clarinetto, ripresa e sviluppata dall'orchestra in una varietà armonica su cui si innesta la voce in tessitura sovracuta dell'astrologo che spiega il prologo dell'opera. Tocca a re Dodòn esprimere le sue preoccupazioni per i pericoli che incombono sul suo regno davanti all'assemblea della Duma; intervengono il figlio Guidòn e i boiari in un contesto di frasi ora melodiche e ora spezzate, molto descrittivo sotto il profilo orchestrale. Ecco l'astrologo regalare allo zar il gallo d'oro: una frase melodiosa, puntata sull'effetto dei fiati e strumentini. Il gallo fa sentire il suo chicchirichì, che sveglierà lo zar quando si profileranno nubi all'orizzonte. Il vecchio Dodòn è soddisfatto e promette all'astrologo di esaudire ogni suo desiderio, mercè la tranquillità che gli assicura il gallo, sottolineata da una frase pastosamente melodica. Un tema dolcemente carezzevole caratterizza l'intervento della governante Amelfa, di indubbio sapore popolaresco, inframezzato dalle morbidezze armoniche del canto di re Dodòn sfociante in una cullante ninna nanna di delicata poesia strumentale, lodata come una delle più struggenti pagine dell'opera. Cambia l'atmosfera con il chicchirichì del gallo che invita a stare all'erta: strappate energiche dell'orchestra su ritmi vivacemente cadenzati e secondo un andamento di marcia. Di sicuro effetto espressivo la varietà armonica nel dialogo successivo fra Amelfa e re Dodòn, il quale si rammarica di essersi svegliato mentre sognava di abbracciare una bella ragazza. Si riascolta la frase, o leitmotiv, del gallo che mette in movimento tutti, finché re Dodòn decide di montare sul cavallo e correre alla battaglia fra gli inesistenti incitamenti del popolo, che però gli raccomanda ironicamente di starsene alla retroguardia.

Il secondo atto si apre con un tema descrittivo della notte: accordi lenti e un ritmo di marcia su cui si levano il sommesso coro dei soldati e il canto straziante di re Dodòn, il quale piange la morte dei due figli. Gli ottoni annunciano l'azione di guerra, ma l'atmosfera cambia all'improvviso con l'intervento della regina di Semachà: un canto puramente lirico, con qualche uscita virtuosistica, e punteggiato dal pizzicato degli archi e dai glissando dell'arpa. Il fascino orientale della stupenda fanciulla seduce re Dodòn: la musica si fa più incalzante e gioca sui concentrici giri armonici di una scrittura strumentale quanto mai raffinata e che ricorda molto la linea cantabile di Shéhérazade, uno degli esempi più eloquenti della maestria orchestrale di Rimskij-Korsakov. C'è una botta e risposta un pò ironica tra il re Dodòn, vecchio e rugoso, e la regina, esaltante la propria giovinezza e bellezza: il tema, che può definirsi della seduzione, assume mutamenti e variazioni timbriche di straordinaria forza espressiva, specie nella scena della danza e nel coro delle schiave, quest'ultimo di chiara assonanza con le canzoni popolari russe del Principe Igor. Il terzo atto inizia in un clima di attesa: la folla è preoccupata e teme nuove disgrazie perché il gallo d'oro è silenzioso. L'orchestra commenta con accordi tesi e vibrati (impasti di fiati e strumentini) la situazione, sino ad esplodere con abbagliante splendore sonoro nella famosa scena dell'ingresso in città dello zar Dodòn e di Semachà su un cocchio dorato e tra le grida festose del popolo. Qui Rimskij-Korsakov dispiega tutta la sua fantasia creatrice e dipinge un magnifico quadro pittorico di valore antologico e per nulla inferiore, sotto il profilo della festosità strumentale, alla scena dell'incoronazione del Boris Godunov. Non va dimenticato che nella rappresentazione teatrale in questa scena si vedono personaggi strani e bizzarri, alcuni con un solo occhio sulla fronte, altri con le corna e altri ancora con teste di cani, in mezzo a nani e giganti dalle fogge curiose e carichi di simboli.

Melodie stillanti dolci accenti fiabeschi accompagnano il canto dall'intonazione di castrato dell'astrologo, il quale chiede per sé la fanciulla per sposarla. Re Dodòn reagisce energicamente e con violenza (strappate degli archi) e colpisce a morte l'astrologo. La regina predice al vecchio re la prossima fine e sparisce insieme al gallo. L'opera termina con un lamento funebre del coro, singhiozzante per la scomparsa del re. A sipario chiuso si affaccia alla ribalta l'astrologo che, sullo stesso tema con cui si è aperta l'opera, trae la morale; solo io e la regina siamo esseri reali, gli altri sono vuote ombre.

Per chi ama le notizie di cronaca riferiamo che la prima rappresentazione italiana del Gallo d'oro ebbe luogo il 18 febbraio 1925 al Teatro Regio di Torino sotto la direzione d'orchestra di Gaetano Bavagnoli, maestro sostituto, fra l'altro, di Toscanini al Metropolitan di New York. A Torino l'opera è stata riproposta nella versione ritmica in italiano di Fedele d'Amico il 27 maggio 1986 sotto la direzione d'orchestra di Will Humburg. All'opera di Roma Il gallo d'oro approdò un'unica volta nella stagione 1940-'41 sotto la direzione d'orchestra di Francesco Salfi, apprezzato interprete mozartiano e rossiniano, e con Margherita Carosio nel cast della compagnia di canto. Infine va ricordato che Glazunov e Maksimilian Steinberg, genero di Rimskij-Korsakov, ricavarono dal Gallo d'oro una suite orchestrale divisa in quattro episodi che racchiudono i momenti salienti dell'opera. Essi, eseguiti a volte in concerto e in forma di balletto, sono così articolati: 1) Allegro (Introduzione e Prologo; scena del sonno e risveglio del gallo); 2) Moderato (Preludio e scena nel palazzo di re Dodòn); 3) Andantino (Danza di re Dodòn e della regina di Semachà); Allegro assai (Preludio, corteo nuziale e morte di re Dodòn).

L'organico orchestrale dell'opera, piuttosto denso ed esteso, prevede un flauto piccolo, due flauti grandi, due oboi, un corno inglese, due clarinetti, un clarinetto basso, due fagotti, un controfagotto, quattro corni, tre trombe, tre tromboni, una tuba, timpani, triangolo, tamburino, tamburo, verghe, piatti, cassa, xilofono, campanelli, celesta, due arpe e archi.

Ennio Melchiorre


(1) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 aprile 1988


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 28 luglio 2015