Galántai tàncok (Danze di Galánta)


Musica: Zoltán Kodály (1882 - 1967)
  1. Introduzione
  2. Andante maestoso
  3. Allegretto moderato
  4. Allegro con moto
  5. Poco meno mosso
  6. Allegro vivace
Organico: 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, tamburo piccolo, triangolo, glockrnspiel, archi
Composizione: 1933
Prima esecuzione: Budapest, 23 ottobre 1933
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1934
Dedica: per gli ottanta anni della Società Filarmonica di Budapest
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Galánta attualmente si trova in Slovacchia, ma alla fine del diciannovesimo secolo era un villaggio dell'Impero Austro-Ungarico, abitato da ungheresi (che costituivano la maggioranza), austriaci e slovacchi, con una forte presenza di gitani: Zoltán Kodály vi visse dai tre ai dieci anni d'età, venendo per la prima volta a contatto con il verbunkos, la tipica danza popolare in cui la tradizione magiara si mescola con influenze viennesi, balcaniche, turche e soprattutto gitane, tanto che gli etnomusicologi moderni non la considerano più un tìpico prodotto ungherese.

Kodály è stato un profondo conoscitore dell'autentica musica del suo paese, da lui studiata sul campo insieme a Béla Bartók con i metodi della moderna etnomusicologia, ma nel 1933, quando gli venne chiesto un pezzo per celebrare gli ottantanni di vita della Filarmonica di Budapest, si ricordò di Galánta e dell'epoca in cui la musica popolare non era per lui un oggetto di studio ma un elemento familiare della vita quotidiana: così, attingendo a quei ricordi ormai lontani e ricorrendo anche a una raccolta di danze dei gitani di Galánta pubblicata a Vienna intorno al 1800, scrisse un pezzo dai ritmi infuocati, dalle melodie trascinanti e dai colori sfavillanti, senza dimenticarsi di rendere il dovuto omaggio al virtuosismo dell'orchestra committente. Dovendo trasportare queste danze nella sala da concerto d'una importante capitale europea, davanti ad un pubblico borghese che attendeva un pezzo festoso e celebrativo, Kodály le rielaborò col raffinato mestiere d'un maestro del ventesimo secolo e le arricchì di tutte le risorse d'una grande orchestra sinfonica: il rischio d'una dicotomia tra il materiale folklorico e l'apporto del musicista colto passa in secondo piano rispetto alla felice e scatenata girandola di temi, ritmi e colori, trattati in modo brillantissimo e mai accademico.

La struttura formale è molto libera, sebbene il periodico ritorno della prima danza possa adombrare un rondò. Un'introduzione, basata su un motivo presentato prima dai violoncelli e poi dai corni, precede cinque danze in progressiva accelerazione: un Andante maestoso, dal tono nostalgico e appassionato; un breve Allegretto moderato, avviato da un saltellante temino del flauto; un Allegro con moto grazioso, caratterizzato dai suoni acuti e tintinnanti di ottavino, glockenspiel, triangolo e dagli armonici degli archi; un Allegro, in cui in ritmo sincopato (variazione della prima danza) è portato a una velocità scatenata; un Poco meno mosso, con un dialogo scanzonato e beffardo tra strumenti acuti e gravi. Una coda, Allegro vivace, lancia alcuni dei temi precedenti in un trascinante vortice ritmico, che sollecita al massimo il virtuosismo dell'orchestra.

Per quanto a un primo approccio si possa essere fuorviati dalle superficiali somiglianze non soltanto con le Rapsodie ungheresi di Liszt e con le Danze ungheresi di Brahms ma anche con tante altre composizioni di valore ben inferiore, in cui si rifletteva il gusto ottocentesco per gli aspetti pittoreschi ed esotici della musica gitana, nelle Danze di Galánta niente suona falso o esteriore, perché Kodàly non sfrutta il patrimonio della musica tradizionale ungherese per fare incetta di souvenir folkloristici per un pubblico di bocca buona e dimostra ancora una volta di essere non soltanto «la più perfetta incarnazione dello spirito ungherese» ma anche «un grande maestro della forma [...], che scrive in modo molto concentrato ed evita la facile sensazione, la falsa brillantezza e gli effetti esteriori», come lo definì Bartók, in modo tanto sintetico quanto preciso.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Zoltan Kodaly, come Bartók, fu sempre vivacemente interessato al patrimonio della musica popolare ungherese i cui riflessi risultano più che evidenti nelle sue opere. Più conservatore rispetto a Bartók egli non si impadroni del linguaggio popolare per costruire un sistema che su quello fosse basato, ma trasse direttamente elementi originali che innestò nelle sue colorite composizioni orchestrali, a volte impressionistiche ed opulente. «Le Variazioni sul pavone», per esempio, offrono una testimonianza abbastanza precisa del suo modo d'intendere il messaggio popolare attraverso una mediazione colta. I ritmi robusti e irregolari della musica contadina e zigana ungherese contribuirono poi a conferire varietà e articolazione al discorso musicale. Questo è il caso delle «Danze di Galanta» composte nel 1933 in occasione dell'ottantesimo anniversario della fondazione della Società Filarmonica di Budapest. È interessante citare alcuni chiarimenti contenuti nella prefazione di questa partitura: «Galanta è un piccolo centro commerciale situato sulla ferrovia tra Budapest e Vienna dove il compositore trascorse parecchi anni della sua infanzia. A quell'epoca vi era una orchestra zigana i cui predecessori erano stati famosi per oltre un secolo. Nel 1800 venne pubblicato a Vienna un volume intitolato «Danze Ungheresi alla maniera di vari zigani di Galanta»; da esso provengono i temi principali dell'opera di Kodaly. La composizione è una suite di cinque danze in crescendo costante, con una introduzione e una conclusione».

Le «Danze di Galanta» sono articolate secondo questo schema: Introduzione; 1) Andante maestoso; 2) Allegro moderato; 3) Allegretto con moto, grazioso; 4) Allegro. Poco meno mosso; 5) Allegro vivace. Finale. Andante maestoso.

Come si può notare dalla nota esplicativa premessa alla partitura, Kodaly operò su un materiale di riporto costituito da trascrizioni (chissà fino a qual punto fedeli all'originale!) effettuate con spirito tutt'altro che filologico nell'Ottocento. In questo senso le «Danze di Galanta» vanno prese con beneficio d'inventario sotto il profilo etnomusicologico, ma accettate in pieno sotto il profilo della creazione autonoma.

Edward Neill


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 28 ottobre 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 22 novembre 1975


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Ultimo aggiornamento 19 aprile 2019