Věčné evangelium (Vangelo eterno), III/8

Leggenda per soli, coro e orchestra

Musica: Leós Janàček (1854 - 1928)
Libretto: Jaroslav Vrchlický
  1. Nuž stane se, co v zjevení je psáno!
    (Ora avviene ció che ě scritto nella Rivelazione!) - Con moto
  2. Kdo vidí Anděla, když letí mračny?
    (Chi puó vedere l'Angelo volare tra le nubi?) - Adagio
  3. O, slyšte, jejichž srdce mdlé a zvadlé
    (Ascoltate, o voi, che avete i cuori indeboliti e privi di passione) - Con moto
  4. To všecko děl mi Anděl v noci tmavé
    (Tutto questo 1'Angelo mi ha detto nella notte scura) - Andante
Organico: soprano, tenore, coro misto, 3 flauti (anche ottavini), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, piatto, triangolo, organo, arpa, archi
Composizione: primavera 1914
Prima esecuzione: Praga, Teatro Nazionale, 5 febbraio 1917
Edizione: Praga, 1958
Guida all'ascolto (nota 1)

Janàcek compone Vangelo eterno nel 1914, primo anno di guerra, periodo del quale si ricorderà sempre con orrore e speranza insieme: "Un grande giorno si avvicina - scriverà più tardi -; riuscirà a far scomparire dalle nostre fronti le rughe del dubbio, della debolezza e della mancanza di fiducia in noi stessi, e dell'oppressione? Vedremo brillare la luce dell'astro della speranza? Questi erano i pensieri che mi incitavano con ardore al lavoro; la crudeltà dell'epoca non fece che risvegliare nel mio spirito un vero uragano di idee nuove". Vangelo eterno è tra i primi effetti di quell'uragano. La speranza di cui parla Janàček ha nature diverse. La prima è riferita al momento storico: nel 1914 nessuno immaginava che il conflitto avrebbe anche fatto deflagrare l'Impero Austroungarico, ma le genti di Boemia e di Moravia, come già nella generazione di Dvořák, fremevano e lavoravano per la liberazione, confidando molto nella sorella Russia.

La natura più intima di quella speranza è in una concezione della vita che accoglieva sollecitazioni e riflessioni dall'Oriente, secondo una visione panteistica del mondo in cui Janàček si riconosceva. Se ne vedono i segni in Putulny Šilenec (Il folle errante), su un poema di Rabindranath Tagore, ma anche nell'opera più geniale e sconvolgente. L'affare Makropoulos, storia di una donna che nella sinistra magia di poter vivere quattrocento anni scopre la mostruosità di sognare, in terra, la vita eterna.

Janàček non scrisse un grande numero di Cantate, ma due di queste, la giovanile Amarus e appunto Vangelo eterno, nascono su versi del coetaneo Jaroslav Vrchlický, poeta e uomo di teatro, del quale condivideva una spiritualità 'non allineata' al pensiero occidentale. Il poema di Vrchlický verseggia un racconto immaginario del monaco medievale Gioacchino da Fiore, filosofo e teologo 'apocalittico' nato in Calabria attorno al 1335. Racconto di un angelo che annuncia un avvento. "Quel che è scritto si avvererà! Presto sorgerà il mattino per l'umanità" è il primo verso che, sul crescere quasi primordiale di archi bassi poi violini e legni, il tenore intona nell'iniziale Con moto. La prima delle quattro parti di Vangelo eterno è una introduzione perlopiù strumentale, che entra direttamente nella seconda: un Adagio che in tre versi ancora del tenore avvia il "volo sopra l'abisso" di un "visitatore del cielo" che porta "l'eterno vangelo sopra i monti e le acque, tra le genti di tutte le lingue".

Metafore concrete e immagini sognanti spiegano la visita dell'angelo: "Il mondo sta affondando nel futile e in un mare di sangue [...] dorme, dorme, crogiolandosi nella melma [...] Pesa la mitria al papa e la corona al re [...] come il libro al dotto [...] Da qui, vicino al cielo, posso vedere tutto [...] agisco secondo le parole dell'apostolo, ora possiamo vedere tutto come in uno specchio".

Janàcek sfodera una libertà straordinaria nel dividere i versi tra le voci, nell'accordare il racconto dell'angelo ai commenti del coro, nel piegare la parte del tenore dal canto disteso al quasi recitato, nell'allargare e assottigliare l'orchestra a misura del canto. Impressiona la plasticità, in cui Janàcek era maestro, nell'ottenere con pochi elementi grandi effetti: non è l'estensione tematica né la quantità degli strumenti a generare 'dimensione', ma la carica timbrica ed espressiva che i moduli, per lo più brevi, emanano.

La terza parte è la più estesa delle quattro. Il dialogo fra soli e coro si arricchisce con l'intervento del soprano, evocando la vanità dell'oro, citando Bisanzio e Roma, Sodoma e Gomorra, prefigurando il tempo in cui i poveri saranno "ricchi nello spirito" e il "mondo si rigenererà in una eterna primavera". Qui prende corpo la dimensione della preghiera: si cita Francesco, si cita Cristo che si è "piegato sull'uomo", mentre l'innodia sacra dell'Alleluia è fissata in secche ripetizioni del coro.

La quarta e ultima parte rinuncia quasi all'orchestra per lasciare al tenore la conclusione del racconto di da Fiore - "tutto questo l'angelo mi ha detto nella notte scura" -, ma la richiama nel finale per inneggiare al "Regno dell'amore" che scenderà sugli uomini.

Nello stesso 1914, Janàcek scrisse lavori più citati e valutati di Vangelo eterno, in alcuni dei quali pretendeva che si leggesse perfino lo spirito patriottico del momento: "La Sonata per violino e pianoforte fu scritta all'inizio della guerra, quando attendevamo i russi in Moravia [...] Nella Fiaba per violoncello e pianoforte guizzavano i bagliori dell'acciaio affilato, nella Sonata la mia mente eccitata ne percepiva i clangori". Liberi di farlo. Ma oggi resta un mistero, e una colpa, la scarsa attenzione a un'opera come Vangelo eterno, che sublima con forza la pulsione alla violenza in uno sguardo universale e 'apocalittico' oltre le cose terrene.

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 aprile 2023


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Ultimo aggiornamento 13 maggio 2023