Taras Bulba, VI/15

Rapsodia per orchestra ispirata al racconto di Nikolai Gogol

Musica: Leós Janàček (1854 - 1928)
  1. La morte di Andrei - Moderato quasi recitativo. Andante
  2. La morte di Ostapov - Moderato. Allegro
  3. La profezia e la morte di Taras Bulba - Con moto. Maestoso
Organico: 3 flauti (3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, clarinetto piccolo, 2 clarinetti, 3 fagotti (3 anche controfagotto), 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, campane, piatti, grancassa, triangolo, arpa, organo, violino solo, archi
Composizione: 22 gennaio 1915 - 29 marzo 1918
Prima esecuzione: Brno, Teatro Nazionale, 9 ottobre 1921
Edizione: Hudební matice, Musikverlag, Praga, 1927
Dedica: all'esercito cecoslovacco
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Oltre venti anni fa Massimo Mila scrisse: «Se Janàček fosse stato francese, oggi sarebbe importante e famoso quanto Ravel. Invece l'affermazione della sua arte, riconosciuta in teoria, è ancora impacciata in tutte le strettoie, gli indugi e i contrattempi derivanti dal fatto che egli non appartenne a una delle culture musicali dominanti, e visse in un'epoca in cui l'egemonia di queste culture era ancora pesantissima». Questo giudizio su Janàček e sulla diffusione della sua musica, specialmente nel nostro paese, è in parte ancora esatto, anche se alcune opere, a cominciare da Jenufa, ritenuto il suo lavoro teatrale più popolare, sono state rappresentate nei maggiori Enti lirici e la brillante Sinfonietta e l'originale Messa glagolitica, insieme ai due Quartetti (più noto il secondo scritto nello stesso anno della morte e denominato «Lettere intime») vengono riproposte ogni tanto nelle varie sedi concertistiche. Ma la produzione di Janàček, specie nel campo sinfonico e cameristico, merita di essere divulgata e conosciuta, perché sono rare le occasioni in cui è possibile ascoltare brani come la terza Sonata per violino e pianoforte (1913-1921), dopo che le prime due sono andate perdute, la cantata lirica per soli, coro e orchestra Amarus (1897), il Concertino per pianoforte e sette strumenti (1925), il Capriccio per la mano sinistra del pianoforte e gli strumenti a fiato (1926), la rapsodia per orchestra Taras Bulba (1918) e la cantata per tenore, contralto, tre voci femminili e pianoforte Diario d'uno scomparso (1917-19).

Janàček, definito da più di un critico il «Musorgskij moravo», sentì profondamente il fascino della musica popolare, di estrazione sia contadina che arcaico-religiosa, della sua terra. Per questa ragione, dopo un iniziale ossequio alla musica di Wagner e di Smetana, egli svolse una indagine accurata sulle caratteristiche del linguaggio parlato con particolare attenzione al dialetto « lachi » della sua regione natale, giungendo alla conclusione, da lui dichiarata, che «tutti i misteri melodici e ritmici della musica trovano la loro spiegazione nella melodia e nel ritmo dei motivi musicali del linguaggio parlato». Naturalmente questa nuova impostazione dei problemi musicali porta a mutamenti rilevanti di tutti gli altri elementi della composizione, come l'armonia e la strumentazione, che non risentono dell'influenza straussiana e dell'impressionismo francese, i due punti di riferimento di quel momento storico, perché si realizzano in una forma completamente diversa, con l'uso di accordi e di scale moderne, innestata in un tessuto ritmico popolaresco e a volte rude e tagliente, tra espansioni vocalistiche e sospensioni magiche e contemplative.

Quello che colpisce di più nella musica di Janàček è la continua ripetizione di pochi ed essenziali disegni melodici o figurazioni timbriche e armoniche, che producono una sensazione di estrema mobilità ritmica con il trascolorare improvviso della melodia da uno strumento all'altro, secondo i moduli di esecuzione popolare. In questo senso è giusta l'osservazione di Giorgio Vigolo che parla di Janàček come di «un musicista di assalto e di rottura, un polemista dei suoni che infrange il giro del periodo per ritrovare gli incisi e le interiezioni; è un grammatico e un dialettale che scava nella terra alcune radici locali e si ribella all'imperio di un grande linguaggio europeo della musica per conquistare alcune piccole autonomie regionali». Il fatto ancora più significativo è che Janàček rimane sempre se stesso sotto il profilo stilistico e la sua musica, sostanzialmente ottimistica e intrisa di umori naturalistici e contadini, non assomiglia a nessuna di quelle dei suoi contemporanei, né di Debussy, né di Bartók, né tanto meno di Schoenberg.

Lo Janàček legato al filone popolaresco di questo smetaniano è presente nella rapsodia sinfonica in tre tempi Taras Bulba, composta tra il 1915 e il 1918 ed eseguita per la prima volta al Teatro Nazionale di Brno il 9 ottobre 1921 in un concerto sinfonico diretto da Frantisele Neumann; a Praga fu presentata il 9 novembre 1924 dal direttore d'orchestra Vàclav Talich. La rapsodia si ispira liberamente all'omonimo romanzo di Gogol, in cui viene rievocata la figura leggendaria di Taras Bulba, comandante dei cosacchi di Zaporoski, morto eroicamente dopo una lotta cruenta contro i polacchi (1628). Il lavoro si articola in tre parti distinte fra di loro: la prima, intitolata La morte di Andrej, descrive la battaglia avvenuta presso Dubno, durante la quale Taras Bulba fa giustizia con le proprie mani del figlio Andrej, passato al nemico per amore della figlia del voivoda polacco; la seconda ha per titolo La morte di Ostapov e suona come un omaggio al secondo figlio di Taras Bulba, catturato vicino Varsavia e giustiziato dai polacchi; la terza parte si intitola Profezia e morte di Taras Bulba, dove si assiste alla morte del comandante cosacco, tra presagi di vittoria per la patria slava, secondo una precisa scelta ideologica indicata dal musicista in una lettera indirizzata a Richard Vesely, in cui è detto: «Non perché Taras uccise il figlio traditore della patria (parte prima: battaglia presso Dubno), non per il martirio del secondo figlio (parte seconda: calvario di Varsavia), ma perché "nel mondo non esistono roghi e martirii capaci di distruggere la forza della gente russa"; per queste parole uscenti tra le scintille roventi e le fiamme del rogo, sul quale il celebre capo cosacco Taras Bulba termina eroicamente la vita (parte terza finale), ho composto questa rapsodia attenendomi alla leggenda rielaborata da Nikolaj Gogol». La composizione ha un respiro nobile e grandioso, sin dall'iniziale recitativo degli archi, e assume anche toni di intensa ed enfatica drammaticità, realizzata da un massiccio organico strumentale, ingentilito dal canto suadente dell'arpa e irrobustito dai suoni possenti e festosi dell'organo e delle campane, in più d'una occasione in netta evidenza sul resto.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il lavoro in cui Janacek riuscì a render con maggior icasticità la sua passione nazionalistica e il suo ardente slavismo, assieme all'incrollabile fiducia nell'indipendenza della propria terra, oppressa dall'impero asburgico, fu la rapsodia per orchestra «Taras Bulba», iniziata nel 1915, proseguita nella stesura l'anno seguente, ed ultimata nella strumentazione definitiva il 29 marzo 1918: la prima esecuzione assoluta ebbe luogo a Brno il 9 ottobre 1921 diretta da Frantisek Neumann, mentre a Praga fu conosciuta il 9 novembre 1924, sul podio Vaclav Talich.

A conclusione di una lettera destinata a fornire alcune indicazioni programmatiche per tale esecuzione a Praga, Janacek ribadì un preciso concetto: «perché nel mondo non esistano roghi e martiri capaci di distruggere la forza della gente russa, per queste parole pronunciate tra le scintille roventi e le fiamme del rogo, sul quale il celebre capo cosacco Taras Bulba terminò eroicamente la sua vita, ho composto questa rapsodia, attenendomi alla leggenda rielaborata da Gogol».

Questo «testamento spirituale» — come Janacek stesso ebbe a chiamare tale musica — si articola in tre parti, ognuna delle quali rimanda ad un episodio dell'antica vicenda: 1) «La morte di Andrej», 2) «La morte di Ostap», 3) «Profezia e morte di Taras Bulba». Anche se non è tutta di primissimo piano, la musica evidenzia con quale efficacia sia stato realizzato il proposito di Janacek di fondere ed equilibrare assieme l'urgenza di un linguaggio acceso e nazionalistico, mutuato verosimilmente dal poema sinfonico di genere ottocentesco, con la modernità della scrittura, atta ad esprimere, nella maniera più idonea, il profilo e le immagini della concezione musicale dell'autore ed anche l'epicità del discorso melodico, ricusando sia il facile effettismo sia le tentazioni dell'enfasi patriottica.

Ed ancora in «Taras Bulba» si evince la presenza di quella costante janacekiana, costituita dal melos popolare, assimilato specie nella peculiare dovizia coloristica, nella complessità delle progressioni armoniche e nell'asprezza dei contrasti dinamici.

La leggenda, rielaborata da Gogol, rievoca la guerra contro i polacchi dei cosacchi di Zaporoz guidati da Taras Bulba e dai due figli Ostap e Andrej. Il primo episodio della rapsodia di Janacek prende l'avvio dall'assedio di Dubno, messo in atto dai cosacchi tra cui è Andrej, il quale dopo aver avuto la visione della bellezza di una principessa polacca di cui è innamorato, decide di passare al nemico pur di incontrarsi con lei: nella musica, dopo un «moderato» in 9/16 che raffigura la visione di Andrej sulla melodia dolcemente triste del corno inglese, un tempo più mosso in 3/8 accompagna il transfuga cosacco nella città assediata, sino all'abbraccio con l'amata, sulla melodia dell'oboe. Preannunciata dai tromboni, divampa la battaglia e Andrej giunto al cospetto del padre, ne accetta la condanna a morte. Il secondo episodio è introdotto da un marcato ostinato degli archi in 3/4, cui segue un Allegro in 2/4 per un altro combattimento equestre: amaro ora giunge il destino per Ostap, che cade prigioniero dei polacchi ed è trascinato al supplizio nella piazza di Varsavia, mentre la musica trapassa in un «moderato» in 3/4, con la ripresa nel registro basso dell'ostinato iniziale, ed una melodia popolare viene esposta dagli archi in seste. I polacchi festeggiano la cattura dei principe cosacco con un selvaggio ritmo di danza, simbolicamente simile al motivo della battaglia, e il lamento di Ostap torturato è sottolineato dal clarinetto nel registro acuto, su tremoli degli archi e cupe sonorità delle trombe con sordina. Tra la folla che assiste all'esecuzione, compare solo per un istante Taras e la sua minaccia di vendetta è echeggiata da squilli di trombe. L'ultimo episodio infine descrive la morte di Taras che, pur avendo fatto strage di polacchi, è da essi catturato, crocifisso ad un albero e destinato al rogo. Mentre gli avversari si scatenano in una selvaggia «Crakoviak», Taras Bulba ha la visione del riscatto e delia gloria futura della sua gente: lontane fanfare, seguite dal maestoso ripieno di campane ed organo, accompagnano un possente crescendo in 3/2 di tutta l'orchestra, sino ad un vertice di impressionante intensità, da cui si libra un'aerea nuova melodia in 6/4, tipicamente janacekiana, che proietta sul futuro, quasi un arcobaleno dopo la tempesta, l'iridescente auspicio del meritato avvenire di libertà.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 21 febbraio 1982
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Basilica di san Lorenzo, 1 giugno 1974


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 4 dicembre 2019