Non ci si stupisce che Janácek abbia ribattezzato il dramma di Ostrovskij, da cui trasse l'opera che qui si presenta, col nome della sua protagonista: Kát'a Kabanová. Il titolo originale di tale dramma, L'uragano, tentò per altro il compositore che in data 6 marzo 1921 scriveva a Kamila Stösslová di non sapere come chiamarla, la sua nuova opera, se L'uragano o Katerina : «L'argomento contro L'uragano è che esiste già un'opera con lo stesso nome; l'argomento contro Katrina è che io scrivo solo opere "femminili": Jenufa, Katerina». Alla fine prevalse l'ultima opzione anche in ragione di una precisa scelta drammaturgica: assai più di quanto non accada in Ostrovskij, nella Kát'a Kabanová tutta la vicenda passa attraverso la sua protagonista. Anche l'uragano del terzo atto appare in Janácek più psicologico che meteorologico, e si capisce perché il titolo di Ostrovskij abbia tentato il compositore fino all'ultimo: in russo Groza vale anche come "terrore" . È un po' ciò c h e accade con Evgenij Onegin di Cajkovskij che, se si dovesse intitolarlo per il peso drammaturgico delle dramatis personae, non ci sarebbero davvero dubbi: andrebbe ribattezzato Tatjana. D'altronde l'opera di Cajkovskij e quella di Janácek intrattengono fra loro rapporti tutt'altro che superficiali. Quest'ultimo si è chiaramente ispirato per i tipi vocali (e non solo vocali) di Kát'a e Varvara alla coppia Tat'jana e Ol'ga di Evgenij Onegin. E lo stesso preludio tutto incentrato sulla protagonista femminile, sul suo carattere e sul suo destino, risulta drammaturgicamente simile nelle due opere. A ben vedere, infatti, Janácek si muove nell'introduzione strumentale che precede l'opera dentro le inquietudini e l'ipersensibilità di Kát'a. Dopo un lento movimento discendente intonato dai violoncelli con sordina (un motivo che va associato alla minaccia dell'uragano o del destino), si fa subito strada una scansione di otto note battute dai timpani su un fondo cupo di tube e tromboni. Si tratta di un motivo che di solito si associa alla "vecchia Russia" ma che è stato significativamente ricondotto anche alle otto sillabe del nome Ka-te-ri-na Ka-ba-no-vá. Quasi che la protagonista fosse una vittima predestinata dei pregiudizi di una ottusa e atavica tradizione. Comunque sia, questo motivo sarà uno dei più pervasivi, con la sua cinquantina di occorrenze.
Il lavorìo tematico è d'altra parte uno degli aspetti più appariscenti della costruzione musicale e drammaturgica di Kát'a Kabanová: tutta la partitura è attraversata da una rete di motivi in continua trasformazione. Solo per il personaggio metamorfico e quasi inafferrabile di Kát'a si possono contare 13 o 14 motivi caratterizzanti. Un altro procedimento tipico di Janácek, e di Kát'a Kabanová in particolare, è la famosa "melodia parlata" che il compositore ricalca sulle inflessioni e intonazioni della lingua cèca e che vale, si badi bene, tanto per la scrittura vocale quanto per quella orchestrale. Come scrisse Carl Dahlhaus nel suo saggio sul Realismo musicale, tale procedimento parte «da una melodia operistica basata sulle cadenze della lingua parlata» per propagarsi poi in «tutta la struttura formale» (contagiando il livello ritmico, armonico, contrappuntistico ecc.). Il risultato, per citare ancora Dahlhaus, è una sorta di «straniamento tangibilmente connesso a quella obiettività nella rappresentazione musicale dei processi interiori da sempre ammirata nella musica di Janácek». Ma il "realismo janácekiano si carica anche, spesso, di connotazioni simboliste, come dicevamo a proposito dell'uragano finale. Due esempi, per concludere. Il primo è il vocalizzo senza parole e in lontananza del coro del terzo atto che col suo profilo ondulatorio-incantatorio rinvia, come dice il libretto, al simbolico «sospiro del Volga» nelle cui profondità Kát'a troverà una via d'uscita al suo tormento. Il secondo riguarda l'impiego, davvero singolare nella partitura dell'opera, della viola d'amore, raro e desueto strumento che Janácek conobbe leggendo il trattato di strumentazione di Berlioz e soprattutto frequentando a Brno, come ha ipotizzato John Tyrrell, il violista Rudolf Reissig. Col suo suono flebile e fioco, la viola d'amore sembra farsi portatrice di un significato nascosto, schiacciato dal peso dell'orchestra e dunque quasi inudibile. Non a caso questo strumento "anomalo" è stato spesso dimenticato e rimpiazzato da una normale viola. Ma a torto, crediamo. Nella sua storica incisione del 1977 per la Decca, Charles Mackerras l'ha ripristinato e difeso, arrivando a consigliare, in nome della volontà d'autore, l'utilizzo del microfono nelle esecuzioni dal vivo di Kát'a Kabanová. Benché (o forse perché), sul filo del silenzio, la voce simbolica e misteriosa della viola d'amore ci sembra una componente irrinunciabile di Kát'a Kabanová.
Emilio Sala
Nel 1918 il dramma di Ostrovskij Grosa (Il temporale, 1859) era stato pubblicato in cèco, nella traduzione di Vincenc Cervinka. Il direttore del teatro di Brno, Václav Jirikovskij, lo propose, insieme a due altri soggetti, a Janácek. Grosa era già stato utilizzato nel 1867 da Vladimir Kašperov, che ne aveva tratto un libretto per il Teatro dell'Opera di Pietroburgo. Janácek conosceva il dramma fin dal 1902 e non ebbe dubbi sulla scelta del soggetto: era appassionato dalla cultura russa - aveva già affrontato Tolstoj per il Trio con pianoforte (1908-09, ispirato alla Sonata a Kreutzer) e Gogol' nella rapsodia per orchestra Taras Bulba (1918); pochi anni dopo sceglierà Dostoevskij per l'ultima sua opera (Da una casa di morti). In questo caso rimase affascinato da un soggetto che presenta una cupa storia d'amore romantico, vissuta come protesta nei confronti del mondo autoritario, chiuso e bigotto dei mercanti del Volga. Dalle lettere emerge anche una circostanza intima, che propiziò senza dubbio sia la scelta del soggetto sia l'impeto compositivo che sorresse Janácek nella stesura dell'opera: il legame con Kamila Stösslová, la musa ispiratrice dell'ultima stagione compositiva, che il compositore idealizzò e trasfigurò sul piano artistico nella figura di Kát'a. Nel ridurre a libretto il dramma di Ostrovskij, Janácek tagliò molte parti dell'originale ed eliminò alcuni personaggi, riuscendo così a comprimere gli originari cinque atti in un efficace impianto drammatico di tre, che scandisce i momenti cruciali del dramma: nel primo, la partenza del marito sullo sfondo dell'atmosfera opprimente di casa Kabanov; nel secondo, il tradimento del marito; nel terzo, la crisi conseguente al ritorno del consorte, la confessione e il suicidio. L'opera ebbe un successo immediato a Brno, a Praga e a Bratislava. Nel dicembre del 1922 fu rappresentata a Colonia sotto la direzione di Klemperer. Nel 1927 Janácek scrisse due brevi interludi per facilitare il cambio di scena tra il primo e il secondo atto e tra il secondo e il terzo; questi brani, a lungo dimenticati, vennero riscoperti nel 1961 da Charles Mackerras e integrati nelle successive edizioni dell'opera. Durante la guerra l'opera fu proibita per il soggetto russo e ritornò sulle scene a Praga nel 1947, addirittura in doppia versione: al Teatro Nazionale con una nuova orchestrazione curata da Vaclav Talich e al Teatro del Cinque maggio (poi Teatro Smetana), in quella originale. Le produzioni più importanti degli anni successivi furono l'edizione di Rafael Kubelik per la Sadler's Wells Opera di Londra (1951), quella di Charles Mackerras (1961), quindi le edizioni per i festival di Edimburgo (1964) e di Glasgow (1979), seguite da molti nuovi allestimenti negli anni Settanta e Ottanta, fra cui quello di Volker Schlöndorff (1974).
Un accorto impiego di melodie tratte dal linguaggio parlato e una profusione di temi affidati all'orchestra, che assumono talora il ruolo di motivi ricorrenti volti a caratterizzare atmosfere, stati d'animo, presentimenti, proiezioni e conferme di presagi, aprono squarci sulla verità interiore dei personaggi fino a trasformare la musica in una vera e propria radiografia degli eventi psichici, come accade nei due monologhi principali di Kát'a nel primo e nel terzo atto. La natura fisica e pulsionale, di cui la musica è cifra e simbolo, è il mistero intorno a cui ruota l'opera, che non si riduce al solo livello della protesta di una 'Bovary russa', ipersensibile e meteopatica. Temi diversi alludono alle due dimensioni principali del dramma, quello del conflitto sociale e quello della tragedia interiore: le terzine di timpani che si odono nell'introduzione e risuonano in tutti i momenti cruciali dell'opera, la figura della morte che precede e sottolinea la decisione finale di Kát'a, alludono al destino tragico della protagonista; il tema ad arco in si bemolle minore, esposto dai flauti all'inizio del secondo atto, che svolge un ruolo fondamentale in tutto il resto dell'opera, rivela invece la dimensione ossessiva della passione di Kát'a; è un sentimento che affonda le radici nel profondo della psiche e appare indecifrabile alla stessa protagonista, che si sente spinta da una forza misteriosa sia quando si getta tra le braccia di Boris, sia nel momento della confessione.
La caratterizzazione dei personaggi è affidata a diversi registri espressivi: un unico motivo è legato alla figura tranquillizzante di Varvara, l'impiego della 'melodia parlante', irregolare e stridula, dà voce al bigottismo isterico di Kabanicha, mentre arcate melodiche liriche e simmetriche sono riservate alla parte di Kát'a. In questo dramma, in fondo tutto femminile, agli uomini non competono temi orchestrali veri e propri; inoltre i loro recitativi sono sostenuti spesso dai motivi delle proprie compagne. Soltanto Varvara e Kudrjaš, protagonisti di un amore semplice e incontrastato, intonano un canto popolare di origine ucraina che fa da cornice all'incontro amoroso degli amanti e lo colloca al di fuori del tempo e dello spazio, in una dimensione estatica dalla quale non v'è ritorno né possibile fuga.
Michele Girardi