Sinfonia n. 4

per due orchestre, pianoforte e coro

Musica: Charles Ives (1874 - 1954)
  1. Prelude - Maestoso
  2. Allegretto
  3. Fugue - Andante moderato
  4. Largo
Organico prima orchestra: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 3 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 6 cornette, 4 tromboni, basso tuba, timpani, 2 tamburi, grancassa, tom-tom, triangolo, piatti, 2 gong, glockenspiel, 2 campane, celesta, arpa, pianoforte solista
Organico seconda orchestra: pianoforte, pianoforte a quattro mani, organo, archi, coro misto
Composizione: 1910 - 1916
Prima esecuzione integrale: New York, Carnegie Hall, 26 aprile 1965
Edizione: Associated Music Publishers, New York, 1965
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Stando agli abbozzi e ai manoscritti, la stesura della Quarta sinfonia richiese un settennio di lavoro (dal 1910 al 1916); in realtà in essa confluiscono, secondo un modo di operare tipicamente ivesiano, suggestioni, temi e materiali, che abbracciano la sua intera stagione creativa. Ciascuno dei movimenti della Sinfonia vorrebbe simboleggiare una delle diverse risposte degli uomini alle «assillanti domande sul Che Cosa? e sul Perché? che lo spirito dell'uomo si pone intorno all'esistenza»: questi gli interrogativi formulati nel Preludio iniziale. Nel secondo movimento, che vorrebbe rappresentare «una commedia nel senso della Celestial Railroad di Hawthorne», ove «una carriera mondana è posta a confronto con le prove dei Padri Pellegrini nel loro viaggio attraverso la palude», le eruzioni foniche di motivi profani, bandistici, militari, canzonettistici, sono intervallate da eteree apparizioni di inni religiosi evocati dai violini. Il terzo movimento, che vorrebbe esprimere «la reazione della vita al formalismo e al ritualismo» è una fuga il cui soggetto è tratto dal Missionary Hymn (From Greenland's icy mountains) di Lowell Mason; lungi dal sortire esiti caricaturali, l'elaborazione fugata estrae dall'inno una vena nostalgica da cui traspare la sincera devozione di Ives per una tradizione a lui cara, pur se respinta nelle sue manifestazioni più esteriori e regressive. Di tale spiritualità vorrebbe essere espressione l'ultimo movimento, «un'apoteosi dei contenuti precedenti in termini riferentisi alla realtà dell'esistenza ed alla sua esperienza religiosa»: il recupero, cioè, dei valori spirituali che le due precedenti risposte sembravano aver sopraffatto. Quest'ultimo movimento è una delle più affascinanti pagine di Ives. Due organismi strumentali, associati al coro in distanza, mantengono una loro specifica identità nel corso del movimento: una unità percussiva formata da tre tamburi, un piatto e un gong, che tesse per tutto il movimento, incessantemente, una frase poliritmica quasi sempre identica; quindi un insieme di violini e due arpe, anch'esso ritmicamente indipendente dalle altre voci. I motivi popolari che ricorrono sono talmente trasfigurati da diventare pressoché irriconoscibili, quasi un canto appena mormorato, a fior di labbra, un brusio di voci oranti: ogni strumento apporta il suo contributo di dissonanze, consonanze, ritmi, timbri, permettendo di raggiungere, quasi a metà del brano, un climax dinamico che si spegne poi, poco a poco, in una rarefazione sonora struggente. A suggello di questa intensa pagina interviene un coro, memore delle Sirènes di Debussy. La Quarta Sinfonia di Ives fu eseguita integralmente per la prima volta dall'American Symphony Orchestra diretta da Stokowski il 26 aprile del 1965.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Ives è considerato uno dei pionieri del Novecento musicale nord-americano, significativo e meno famoso contraltare di George Gershwin e a suo modo anticipatore di Varèse e poi di Cage. Figlio di un maestro di banda della cittadina natale, Danbury nel Connecticut, apprende dal padre i primi rudimenti della musica che gli permettono di suonare l'organo della chiesa appena tredicenne. Più tardi frequenta i corsi di Horatio Parker alla Yale University di New York e approfondisce le sue conoscenze del pianoforte e del violino, oltre che di altri strumenti, studiando i classici della musica, soprattutto Bach, Haendel e Beethoven. Dopo essersi diplomato in composizione nel 1898 Ives, di temperamento individualistico e anticonformista, decide di entrare nel mondo degli affari, organizzando una compagnia di assicurazioni, per poter scrivere musica in piena libertà. Come assicuratore ottiene molto successo, meno come musicista. A chi gli chiede se soffra per questa doppia identità, egli così risponde: «Le mie esperienze nel mondo degli affari mi hanno mostrato la vita sotto molti aspetti, che altrimenti avrei ignorato... Attraverso gli affari ho conosciuto in pieno la vita. L'esistenza è come un arazzo intessuto tutto di un pezzo. Non si può relegare un'arte in un angolo nella speranza che abbia vitalità, realtà e sostanza. L'arte vera non può conoscere esclusioni. Essa proviene direttamente dal centro dell'esperienza della vita, dalla meditazione sulla vita e infine dalla vita vissuta. Il mio lavoro di musicista mi ha aiutato negli affari, e il mio lavoro come uomo di affari mi è stato d'aiuto per la mia musica».

Ives compone musica fino intorno agli anni Trenta, ma una malattia cardiaca lo costringe a ritirarsi nella sua casa di campagna nel Connecticut, dove passa il tempo rivedendo le sue partiture. Soltanto negli ultimi anni prima di morire, dopo decenni di quasi totale incomprensione, egli è diventato l'autore più rinomato della vecchia scuola nordamericana, specialmente per alcuni lavori, come la Seconda Sinfonia del 1902, la Prima Sonata per pianoforte (1908-'10), la Seconda Sonata per pianoforte, completata nel 1915, la Holidays Symphony del 1914 e il Book of 114 Songs, pubblicato nel 1922. Anche Schoenberg non rimase indifferente di fronte alla musica di Ives e nel 1945 scrisse per una rivista americana questo giudizio che richiamò l'attenzione sull'isolato compositore del Connecticut: «C'è un grande uomo che vive in questo paese, un compositore. Egli ha risolto il problema di come restare se stesso e di come continuare a perfezionarsi. Egli risponde alla negligenza del mondo con il suo disprezzo. Non si sente forzato ad accettare né la lode né il biasimo. Il suo nome è Ives».

Particolarmente indicativa per comprendere la complessa personalità di Ives in cui convivono esigenze filosofiche e religiose e motivi realistici e popolareschi è la Sinfonia n. 4, composta tra il 1910 e il 1916 ed eseguita nella sua interezza per la prima volta undici anni dopo la morte del musicista, il 26 aprile 1965 a New York dall'American Symphony Orchestra diretta da Leopold Stokowski. Vale la pena anzitutto di riferire ciò che nel 1927 Ives scrisse di questa sinfonia, riportata poi come prefazione alla partitura stampata nel 1965: «Il programma estetico del lavoro è costituito dalle assillanti domande sul Che cosa? e sul Perché? che lo spirito dell'uomo si pone intorno all'esistenza. Questa, in particolare, è l'intonazione espressiva del preludio. I tre movimenti successivi sono le diverse risposte che la vita dà a queste domande. Il secondo movimento non è uno "Scherzo" nel significato usuale del termine, quanto piuttosto una commedia, nella quale un'eccitante, comoda e mondana carriera nella vita pratica è messa a confronto con le prove dei Padri Pellegrini nel loro viaggio attraverso le paludi e il deserto. Gli episodi lenti che vi ricorrono - gli inni dei Padri Pellegrini - sono costantemente circondati e sommersi dalla prima idea. Il sogno, o fantasia che dir si voglia, finisce con una brusca immissione della realtà, il 4 luglio a Concord, con bande di ottoni, formazioni di percussione, etc. La fuga è un'espressione della reazione della vita al formalismo e al ritualismo. L'ultimo movimento è un'apoteosi dei contenuti precedenti, in termini che si riferiscono alla realtà dell'esistenza e alla sua esperienza religiosa».

La sinfonia, della durata di circa 30 minuti, utilizza una grande orchestra con l'uso di un pianoforte solista, oltre quello suonato a 4 mani in seno all'orchestra, di un organo, di una estesa sezione della percussione (ci sono anche due gongs) e di un coro, che interviene nel Preludio e nell'ultimo movimento. Nel Preludio il coro intona l'Inno Watchmann, scritto nell'Ottocento da Lowell Mason e le cui parole dicono: «Sentinella, parlaci della notte: quali sono i segni della promessa celeste? Viandante, al di là della cima della montagna vedi la stella che irraggia la gloria divina? Sentinella, è presagio di gioia o di speranza? Sì, viandante; essa reca il giorno promesso per Israele? Non vedi lo splendore dei suoi raggi?».

Il Preludio sembra descrivere il risveglio di una grande città americana; alle drammatiche interrogazioni del pianoforte e degli archi bassi si contrappone la distaccata serenità del coro. Qui, come nel resto della sinfonia, sono citate arie popolari americane, quali «In the Sweet By and By», «Nearer My God to Thee», «I Hear Thy Welcome Voice» e «Westminster Chimes». Il secondo movimento (Allegretto), il più lungo di tutta la composizione, mostra la vita cittadina in piena attività attraverso una varietà frenetica e anche caotica di ritmi, pur non mancando schiarite melodiche che stanno ad indicare il riaggancio ai valori spirituali, simboleggiati dagli inni dei Padri Pellegrini. Anche in questo secondo tempo si ascoltano canti popolari, come «Marching Through Georgia», «Yankee Doodle», «Turkey in the Straw», «Tramp, Tramp, Tramp», «The Red, White and Blue», «Beulah Land», «Massa's in the Cold Ground» e «Columbia, the Gem of the Ocean».

Il terzo movimento è una Fuga solenne e di largo respiro tonale, intesa come pausa di riposo e di meditazione spirituale e religiosa. Si possono ascoltare i motivi popolari di «From Greenland's Icy Mountains», «All Hall the Power» e «Joy to the World». Nel Largo maestoso finale il tema interrogativo del preludio, esposto inizialmente dai violoncelli, viene sopraffatto e travolto da un denso discorso sonoro che si amplifica e si infittisce fino a sfociare in un climax dinamico poggiato su grandi arcate organistiche e stemperarsi poi in un'atmosfera evanescente con il coro modulante in sordina. Si respira, come dice Ives, un'aria di apoteosi e di festa con il richiamo ai temi popolari di «Nearer My God to Thee», «Bethany», «Missionary Chant» e «As Freshmen First We Carne to Yale».

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Terminata nel 1916 questa sinfonia ebbe la sua prima esecuzione integrale, sotto la bacchetta di Leopold Stokowski, solo il 26 aprile 1965 al Carnegie Hall. Singoli movimenti (il secondo, diretto nel 1927 da Goosens e il terzo da Herrmann nel 1933) avevano già reso possibile la verifica di un'incontrastata autonomia delle parti, di una compiutezza — seppure «informale» — che sottende un esperire, non velleitariamente dilettantesco, ma istituzionalizzato a sistema di vita, insofferente di vincoli e di codificazioni aprioristiche.

D'altro lato accanto a questo aspetto di palese ribellione per il già organizzato e perfettamente realizzato dobbiamo ricordare, in particolare per quest'opera, come Ives parta per lo più (eccezion fatta per la frase caratterizzante del «Preludio» in 6/4) da materiali preesistenti, da un bagaglio melodico (Inni, motivi di bande) già ampiamente assimilato e pertanto neutralizzato nella sua carica di ingerenza emotiva.

L'assenza di un principio selettivo, una casuale giustapposizione di luoghi comuni «kitsch», ha fatto stabilire dei paralleli con Oldenburg e Rauschenberg, ma — storicizzazione a parte — ciò che in Ives è chiaramente assente è la sopraffazione dell'«on» sull'«io» (come avviene appunto nella Pop art], il cinismo nihilistico derivante proprio dalla coatta celebrazione del presente. La posizione ivesiana è ben diversa nella sua fede ottimistica in un futuro migliore: egli parte dal quotidiano, non per rimanervi, ma per proiettare su un'altra sfera la propria esperienza umana. Basti ricordare la sua adesione alle idee del «Trascendental Group» emersionano o della scuola pittorica dell'«Hudson River», che fin dal 1836 si erano dimostrati pronti a reagire, con formule vagamente spiritualistiche, all'illuminismo materialistico e irreligioso.

D'altra parte lo stesso musicista scrisse nel 1927 che l'assunto estetico del «Preludio» della sua quarta sinfonia voleva rispondere alle «assillanti domande sul «Che cosa?» e sul «Perché? che lo spirito dell'uomo si pone intorno all'esistenza». Il coro interviene in questa prima parte per intonare l'«lnno Watchman»: «Sentinella, parlaci della notte: quali sono i segni della promessa celeste? Viandante, sopra dì te si ergono le montagne: guarda la stella che irraggia la gloria di Dio! Sentinella, abbi gioia, o speranza. Viandante, sì: essa porta il giorno promesso per Israele. Vedi il suo raggio beatificante? Ah, guarda!».

L'«Allegretto» violento e selvaggio nella sua concezione materica (quasi un «dripping» «ante litteram» pollockiano) di timpani, fiati e ottoni, controbilanciato dal sinuoso andamento degli archi (in pianissimo) assurge a valore metaforico della stessa vita, il cui lato piacevole, mondano «è messo a confronto con le prove dei Padri Pellegrini nel loro viaggio attraverso le paludi e il deserto. Gli episodi lenti che vi ricorrono — gli Inni dei Padri Pellegrini — sono costantemente circondati e sommersi dal primo» (Ives). Non costretti da alcuno schema coercitivo gli strumenti sono indipendenti l'uno dall'altro e perseguono indisturbati un loro «iter» tonalmente e ritmicamente sconnesso, di potente rilievo dissonante. (Ricordiamo incidentalmente che questa composizione richiederebbe ben tre direttori, anche se Ives non risolse praticamente i problemi della resa esecutiva).

La fuga in do maggiore con cui ha inizio il terzo movimento si configura come un antidoto, nella sua chiara e lucida concatenazione timbrica: emergono gli archi, cui si associa il suono del corno e del trombone nei momenti di maggior incisività.

L'ultimo tempo è avviato — in modo quasi impercettibile — con un ritmo privo di ogni fruibile logica da tamburi, piatti e gong, su cui si innesterà successivamente l'intero organico orchestrale con un assembramento di citazioni e di colori che permette un'assimilazione a livello percettivo, immediata e di sorprendente efficacia.

Una palese insofferenza formale permea l'intero lavoro, controbilanciata però da una convinta adesione al «dato», in quanto, seppure parzialmente, espressione di verità.

Fiamma Nicolodia/p>


(1) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 24 febbraio 1980
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 5 giugno 1973


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Ultimo aggiornamento 5 marzo 2020