Trio in mi maggiore per pianoforte, violino e violoncello, op. 86 n. 2 Hob:XV:28


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro moderato
  2. Allegretto (mi minore)
  3. Allegro
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Vienna, 20 aprile 1797
Edizione: Longman & Broderip, Londra, 1797
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

E' fenomeno relativamente recente l'attenzione rivolta da concertisti e pubblico ai Trii per pianoforte, violino e violoncello, composti da Haydn in numero di trentadue (gli altri nove compresi nell'edizione completa appartengono al genere del Divertimento da camera per violino, cello e cembalo obbligato e risalgono ad epoca relativamente giovanile), e fino a non molto tempo fa pressoché ignoti alle sale da concerto. Eppure si tratta di capolavori cameristici della piena maturità - sono infatti quasi tutti databili tra il 1784 e il 1797 - forse, nel loro complesso, superiori per intrinseca ricchezza inventiva, equilibrio strutturale e necessità del linguaggio strumentale, alle più fortunate (ma non poi tanto) Sonate per pianoforte. Novatore spesso temerario e amante dell'incognita che finisce per risolvere immancabilmente nel gioco di una lucidissima operazione algebrica, nel genere del Trio con pianoforte Haydn si rivela invece curiosamente cauto: assai più di Mozart, il quale non tardò a disimpegnare il violoncello dalla secolare schiavitù del basso continuo, regalandogli sia pur discreti intervènti nel dialogo concertante col violino e la mano destra del pianista. Haydn invece si accontenta per lo più di far procedere all'unisono basso pianistico e cello, tranne, ovviamente, quando allo strumento a tastiera siano affidate figurazioni tipicamente pianistiche; nel qual caso iì violoncelìo esegue le note del basso armonico fondamentale. Ma, a parte l'arcaismo di tale particolarità di scrittura, la matura arte haydniana risplende in tutto il suo vigore in questo Trio in mi maggiore; aperto da un grandioso Allegro sonatistico dal respiro già quasi beethoveniano nell'inusitata ampiezza dell'esposizione, dove la «seconda idea» sonatistica, dagli ambigui contorni tonali oscilìanti tra do diesis minore, sì minore e sol maggiore, è seguita da un ritorrio del tema iniziale, alla dominante del tono fondamentale e da un'elaborata coda. Un Allegretto in mi minore, contenente una lunga sezione affidata al solo pianoforte, fa da secondo tempo, e assomma in sé i caratteri dello «Scherzo» vero e proprio, e dell'«Intermezzo» romantico, con sorprendente intuizione in assoluto anticipo sui tempi. Conclude il Trio un Rondò articolato in varie sezioni e animato dalla consueta, espansiva vitalità haydniana.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se dovessi consigliare un approccio a Haydn lo inizierei dai suoi trii. Haydn è conosciuto ben al di sotto dei suoi meriti. Eppure i nostri operisti del primo ottocento, Rossini in testa, reputarono loro dovere farsi la mano sullo studio dei suoi quartetti. Certo questi sono più interessanti per il musicista, e lo educano al gioco delle parti, ma chi non voglia farsi la mano su Haydn, e oggi nessuno se la fa, troverà nei trii una inesauribile fonte di piacere, ancor più se sa tirar l'arco o muovere un po' le dita sulla tastiera. I trii sono infatti l'apoteosi di quella musica da camera destinata all'amatore, facile e stuzzicante assieme, destinata alla felice vita del castello di Esterhazy. E se i musicologi si sono poco occupati dei loro meriti - lo «Sturm und Drang» resta nei trii, per così dire, fuori della finestra - i musicanti ne sono usciti pazzi, ed i trii fin dall'inizio dell'ottocento contano fra le opere più stampate del mondo.

Haydn parlava dei trii come di «sonate per pianoforte con accompagnamento di violino e violoncello». Difatti la parte pianistica è preponderante, e gli strumenti ad arco ora raddoppiano il canto, ora Infittiscono l'armonia. Ma ci si ingannerebbe a considerare questa prassi una pecca. La meta di Haydn è qui l'arricchimento timbrico e cantabile delle linee principali, ed interpreti ed ascoltatori ne hanno tratto sempre nuove delizie.

Il trio in mi maggiore (n. 4 secondo l'edizione Peters) risale agli anni Novanta. Haydn ha sessantanni suonati e continua i suoi felici ed aristocratici incanti. Pianoforte con acciaccature ed archi pizzicati espongono una melodia affabile e di andatura popolare. E sotto la semplicità apparente della musica senza pretese la maestria dialettica è somma, nelle modulazioni dello sviluppo, nella felicità delle figurazioni accessorie, che non scadono mai nel gratuito. L'Allegretto in mi minore rammenta nella andatura ternaria la danza del suburbio. Ed il pianoforte canta da cima a fondo questo paesaggio campestre, non ancora venato da turbamenti romantici. Il Finale, anch'esso alla danza, è inframmezzato da un episodio in minore con sortita del violino. La forma è quella del rondò semplificato, dove la mano del grande musicista si osserva nei conversari incantevoli che sa trarre dalla mossa del refrain.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 12 gennaio 1973
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 gennaio 1974


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 31 luglio 2015