Il Te Deum in do maggiore Hob. XXIÌIc:2 appartiene all'ultimo periodo creativo di Haydn, un decennio di attività intensissima, segnato da una rigogliosa fioritura di lavori sacri: sei messe, tre oratori (uno liturgico, Le sette parole di Cristo sulla croce, e due di argomento edificatorio, La creazione e Le stagioni); nonché appunto il Te Deum in oggetto, che costituisce un piccolo ma prezioso gioiello in questo ricco contesto.
Dopo i cinque anni trascorsi prevalentemente in Inghilterra nel corso dei due successivi e trionfali viaggi che videro fra l'altro la nascita delle Sinfonie "Londinesi", Haydn fece ritorno a Vienna nell'agosto 1795, riprendendo le sue funzioni di Kapellmeister presso gli Esterhàzy, la famiglia di nobili ungheresi presso la quale aveva prestato servizio per un trentennio, prima di partire alla volta di Londra; egli, d'altronde, non si era mai licenziato dall'incarico, ma aveva solamente ottenuto un periodo di congedo. Tuttavia, alle dipendenze del nuovo principe Nicolaus II, il suo ruolo fu più formale che sostanziale; l'unico impegno contrattuale che gli venne richiesto fu quello di scrivere ogni anno una messa da eseguirsi in settembre presso la residenza estiva di Eisenstadt in occasione dell'onomastico della consorte del principe, la principessa Maria Ermenegilda. È dunque in questa prospettiva che nascono, fra il 1796 e il 1802, sei differenti messe, che costituiscono, insieme agli oratori La creazione e Le stagioni, i frutti più complessi della tarda creatività dell'autore, ormai del tutto disimpegnato sul fronte della Sinfonia: la Missa Sancti Bernardi von Offfida o Heìligmesse (1796), la Missa "in tempore belli" o Paukenmesse (1797), la Missa "in angustiis" o Nelsonmesse (1798), la Theresìenmesse (1799), la Messa della Creazione (1801) e la Harmoniemesse (1802).
Non è tuttavia per gli Esterhàzy che doveva nascere il Te Deum in do maggiore, ma per una ancor più illustre committente, l'imperatrice Maria Teresa, moglie dell'imperatore Francesco II (poi Francesco I) - da non confondersi beninteso con la grande imperatrice Maria Teresa, scomparsa nel 1780. Nonostante il principe Nicolaus II non gradisse che il compositore accettasse di scrivere musica sacra per altri committenti, in questo caso dovette sopportare una eccezione. Maria Teresa, che aveva avuto una raffinata educazione musicale, era una grande ammiratrice della musica di Haydn; con la sua voce "piacevole ma flebile" - secondo le parole dello stesso Haydn - ebbe anche modo di cantare la parte del soprano nella Creazione, in una esecuzione privata. L'imperatrice già da parecchi anni aveva chiesto al musicista di scriverle un lavoro sacro; non sappiamo in quale periodo esatto egli si applicasse alla stesura della partitura; possiamo però ragionevolmente datare la prima esecuzione all'ottobre 1800, quando i complessi in servizio presso gli Esterhàzy ad Eisenstadt intonarono il Te Deum, per festeggiare la visita di Lord Nelson, il trionfatore della battaglia di Abukir.
Per comprendere questa piccola ma importante partitura occorre tenere presenti, da una parte, l'approccio razionale e sereno di Haydn alla religiosità, e, dall'altra, il rispetto di consolidati stilemi della musica sacra cattolica. Secondo le parole di Griesinger, il primo biografo, la devozione di Haydn "non fu demoralizzata o sempre penitente, ma piuttosto sorridente, riconciliatoria, credente, e la sua musica sacra rivela questo carattere". Logico che questa visione soggettiva si sposasse in modo perfetto con l'idea cattolica della musica sacra come grande festa sonora, il cui risultato è quello di una interpretazione attenta non alla lettera del testo ma al suo valore celebrativo.
Se queste caratteristiche sono proprie di tutta la musica sacra di Haydn - incluso, dunque, anche un altro giovanile Te Deum del 1762, sempre in do maggiore - l'esperienza londinese aveva offerto a Haydn l'opportunità di lavorare con orchestre di vasto organico, e di maturare uno stile sinfonico estremamente ricco, variato e raffinato. Ecco quindi che nella tarda musica sacra l'orchestra viene chiamata ad esaltare la propria funzione di tessuto connettivo, mutuando dalla prassi sinfonica sia le forme, sia il principio dell'elaborazione tematica, sia lo straordinario valore espressivo della strumentazione. E dunque anche nel Te Deum è proprio l'orchestra che si impone, soprattutto per il nervosismo e l'incisività delle proprie figurazioni ritmiche, che donano una continua spinta propulsiva alla narrazione, e si coniugano a un'armonia spesso aspra e cromatica. È probabile che, come anche nei cori in do maggiore della Creazione, Haydn avvertisse l'influenza della variatissima scrittura corale di Handel. La tonalità, d'altronde, rientrava in un precìso stilema richiesto da un testo celebrativo come il Te Deum, e comportava l'uso di un'orchestrazione sgargiante e nutrita, che prevedeva l'impiego di trombe e timpani; ma Haydn, per donare maggiore spessore allo spazio sonoro, incluse nell'organico anche tre tromboni.
La partitura comprende tre sezioni, la prima delle quali si apre con la citazione del tema del Te Deum gregoriano, esposto subito dall'orchestra in modo incisivo e poi ripreso dal coro all'unisono. Tutto questo Allegro iniziale si svolge con una scrittura OMOFONICA del coro, sorretta dal dinamismo propulsivo dell'orchestra. In posizione centrale troviamo un breve e meditativo Adagio in do minore ("Te ergo quaesumus"), in cui tacciono i fiati (ad eccezione dei tromboni). Ma è solo una breve pausa nel flusso continuo del maggiore che riprende con un Allegro moderato ("Aeterna fac"), che è comunque più frastagliato della sezione iniziale; vi troviamo un momento di esitazione, con i soprani soli in pianissimo ("Sine peccato"), e poi una lunga e complessa SEZIONE FUGATA, per la cui conclusione, severa e fastosa, non è sbagliato individuare un modello nelle ultime battute del coro finale di Israele in Egitto di Hàndel, non ultima preziosa acquisizione del soggiorno londinese.
Arrigo Quattrocchi