Sonata n. 37 in re maggiore per pianoforte, op. 30 n. 3, Hob:XVI:37


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro con brio
  2. Largo e sostinuto (re minore)
  3. Finale. Presto ma non troppo
Organico: clavicembalo o pianoforte solo
Composizione: Eisenstadt, Eszterháza-Schloß, 31 gennaio 1780
Edizione: Artaria, Vienna, 1780
Dedica: Fräulein Katharina und Marianna Auenbrugger
Guida all'ascolto (nota 1)

Lo studio dei processi creativi attraverso i quali i compositori danno forma ad ogni nuova opera è un campo d'indagine che ha acquistato rilievo notevole, soprattutto per il repertorio scritto a partire tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, quando i musicisti iniziarono a prendere consapevolezza dell'individualità del proprio agire. Non è un caso che sia stato proprio Beethoven il compositore sul quale l'attenzione dei musicologi si sia concentrata con il maggior approfondimento.

Il caso di Haydn è molto diverso. Nato nel 1732, quando Bach doveva ancora terminare la monumentale Messa in si minore, e morto nel 1809, dopo che Beethoven aveva già composto la Quinta e la Sesta Sinfonia, questo compositore è stato uno dei più importanti testimoni dei grandi mutamenti nel gusto e nel linguaggio musicale settecentesco. Di fatto, però, tutta la sua lunghissima parabola compositiva si svolse in una dimensione sostanzialmente artigianale. Dopo il periodo di formazione, avvenuto nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna, nel 1761 Haydn entrò a far parte della corte degli Estheràzy, una nobile famiglia ungherese alla quale fu legato per ben trent'anni, e per la quale coltivò i generi più diversi. La corte, infatti, possedeva un'orchestra, un coro e una compagnia fissa di cantanti. Nel 1766 Haydn assunse l'incarico di maestro di cappella: l'attività musicale a corte era intensissima, e prevedeva due opere e due concerti la settimana, oltre alla produzione cameristica.

In una lettera del 29 marzo 1789 a proposito del suo modo di comporre per pianoforte, Haydn scriveva: «Mi sedevo al pianoforte, iniziavo ad improvvisare secondo il mio umore, triste o allegro, serio o giocoso. Una volta presa forma un'idea, il mio massimo sforzo si dirigeva nel realizzarla e sostenerla accordandola alle regole dell'arte». In un certo senso, quindi, il pianoforte rappresentava per Haydn il mezzo più diretto attraverso il quale trarre l'ispirazione, e realizzare il trasporto degli affetti nella musica senza alcuna mediazione.

È interessante notare che, nonostante l'aiuto fornito dallo strumento nella composizione, Haydn non fu, a differenza di Mozart e di Beethoven, un pianista affermato e non suonò mai in pubblico alcuna sua composizione per la tastiera. Egli fu anche sensibile al pianismo amatoriale dei suoi dedicatari e alle richieste degli editori: «Per seguire il suo gusto, ho scritto di nuovo la terza Sonata con variazioni», scrisse all'editore Artaria nel 1789.

Non è semplice ordinare cronologicamente con sicurezza la produzione pianistica di Haydn, specialmente per i primi lavori, dato che molti di essi sopravvivono solo in copie, e non esistono ancora sufficienti informazioni sull'attività dei copisti viennesi, e nessuno di questi lavori fu ricontrollato dal suo autore. Lo sviluppo della produzione tastieristica di Haydn, dalle Partite per clavicembalo degli anni Cinquanta fino ai lavori maturi del periodo di Londra, può essere tracciata solo in parte con i dati a nostra disposizione. La strada passa attraverso il periodo Sturm und Drang ai lavori del 1773 scritti per il principe Esterhàzy, le Sonate scritte sicuramente nel 1776, quelle pubblicate da Artaria nel 1780, le cosiddette "Bossler" (1784), la Sonata in do maggiore scritta per Breitkopf (1789) e la Sonata in mi bemolle dedicata a Marianne von Genzinger, composta tra il 1789 ed il 1790, che contiene elementi mozartiani. La serie si conclude con le ultime tre Sonate composte tra il 1794 ed il 1795.

Poiché spesso le composizioni che presentano difficoltà esecutive moderate sono giudicate meno indicative di quelle che combinano virtuosismo e sostanza musicale, le Sonate di Haydn prima del periodo londinese sono state "rovinate" da quest'associazione con il dilettantismo ed il mercato. Tale giudizio, in verità, non era accettato universalmente ai tempi di Haydn. Un testimone della vita musicale viennese degli anni Novanta lodava i pezzi pianistici di Haydn proprio perché erano piacevoli e semplici da eseguire, e quindi più utili rispetto alle eccessive difficoltà con le quali gli altri compositori assillavano gli studenti. Le modeste dichiarazioni di Haydn sulle sue qualità esecutive, che hanno spesso contribuito a creare l'impressione che la sua produzione per pianoforte fosse in qualche modo "periferica", non dovrebbero distogliere l'attenzione dal modo nel quale le sue sonate rivelano un intuito per questo strumento.

Non è sempre possibile definire con certezza quali delle Sonate siano state pensate per clavicembalo, clavicordo, oppure per Hammerklavier. La prima Sonata in cui troviamo una certa varietà di segni dinamici è la n. 33, scritta nel 1771, dove si trovano le indicazioni piano, forte, sforzato, p, f. Un crescendo, indizio evidente per l'uso dell'Hammerklavier, appare per la prima volta nell'edizione Artaria della Sonata in do minore nel 1780. Tale indicazione non compare però nell'autografo, che peraltro ha nel frontespizio la dicitura "Clavi Cembalo". Nelle Sonate 36-41, scritte nel 1771, ci sono pochi effetti dinamici; sia gli autografi sia le prime edizioni parlano di clavicembalo. L'indicazione "Per il Clavicembalo, o Forte Piano" compare nei frontespizi per la prima volta solo nelle Sonate Artaria del 1780.

Le sorelle Katharina e Marianna Auenbrugger sono le dedicatarie della raccolta di sonate scritte da Haydn nel 1780, che testimoniano la preoccupazione, da parte del compositore, di soddisfare un pubblico più ampio possibile. La Sonata n. 50 in re maggiore si apre con un Allegro con brio dal carattere brillante: è costruito su due temi che non sono pensati come contrastanti, semmai come complementari. Il primo è caratterizzato da gesti melodici ampi, appoggiature e mordenti; il secondo, alla dominante, su quartine di semicrome. A seguire, per contrasto, un breve Largo e sostenuto, in re minore, dal carattere meditativo ed introspettivo, che prepara la strada al Finale (Presto, ma non troppo): qui sullo spartito troviamo l'indicazione innocentemente. Anche in questo caso Haydn sceglie la strada del rondò, articolando il movimento in una serie di brevi sezioni in cui si alternano il re maggiore e il re minore, con una sezione centrale in sol maggiore.

Luca Della Libera


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 2 maggio 2002


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Ultimo aggiornamento 24 aprile 2015