Sonata n. 23 in fa maggiore per pianoforte, op. 13 n. 3, Hob:XVI:23


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro
  2. Adagio (fa minore)
  3. Finale. Presto
Organico: clavicembalo o pianoforte solo
Composizione: 1773
Edizione: Hummel, Berlino, 1774
Dedica: principe Nicolay Esterházy
Guida all'ascolto (nota 1)

Lo studio dei processi creativi attraverso i quali i compositori danno forma ad ogni nuova opera è un campo d'indagine che ha acquistato rilievo notevole, soprattutto per il repertorio scritto a partire tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, quando i musicisti iniziarono a prendere consapevolezza dell'individualità del proprio agire. Non è un caso che sia stato proprio Beethoven il compositore sul quale l'attenzione dei musicologi si sia concentrata con il maggior approfondimento.

Il caso di Haydn è molto diverso. Nato nel 1732, quando Bach doveva ancora terminare la monumentale Messa in si minore, e morto nel 1809, dopo che Beethoven aveva già composto la Quinta e la Sesta Sinfonia, questo compositore è stato uno dei più importanti testimoni dei grandi mutamenti nel gusto e nel linguaggio musicale settecentesco. Di fatto, però, tutta la sua lunghissima parabola compositiva si svolse in una dimensione sostanzialmente artigianale. Dopo il periodo di formazione, avvenuto nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna, nel 1761 Haydn entrò a far parte della corte degli Estheràzy, una nobile famiglia ungherese alla quale fu legato per ben trent'anni, e per la quale coltivò i generi più diversi. La corte, infatti, possedeva un'orchestra, un coro e una compagnia fissa di cantanti. Nel 1766 Haydn assunse l'incarico di maestro di cappella: l'attività musicale a corte era intensissima, e prevedeva due opere e due concerti la settimana, oltre alla produzione cameristica.

In una lettera del 29 marzo 1789 a proposito del suo modo di comporre per pianoforte, Haydn scriveva: «Mi sedevo al pianoforte, iniziavo ad improvvisare secondo il mio umore, triste o allegro, serio o giocoso. Una volta presa forma un'idea, il mio massimo sforzo si dirigeva nel realizzarla e sostenerla accordandola alle regole dell'arte». In un certo senso, quindi, il pianoforte rappresentava per Haydn il mezzo più diretto attraverso il quale trarre l'ispirazione, e realizzare il trasporto degli affetti nella musica senza alcuna mediazione.

È interessante notare che, nonostante l'aiuto fornito dallo strumento nella composizione, Haydn non fu, a differenza di Mozart e di Beethoven, un pianista affermato e non suonò mai in pubblico alcuna sua composizione per la tastiera. Egli fu anche sensibile al pianismo amatoriale dei suoi dedicatari e alle richieste degli editori: «Per seguire il suo gusto, ho scritto di nuovo la terza Sonata con variazioni», scrisse all'editore Artaria nel 1789.

Non è semplice ordinare cronologicamente con sicurezza la produzione pianistica di Haydn, specialmente per i primi lavori, dato che molti di essi sopravvivono solo in copie, e non esistono ancora sufficienti informazioni sull'attività dei copisti viennesi, e nessuno di questi lavori fu ricontrollato dal suo autore. Lo sviluppo della produzione tastieristica di Haydn, dalle Partite per clavicembalo degli anni Cinquanta fino ai lavori maturi del periodo di Londra, può essere tracciata solo in parte con i dati a nostra disposizione. La strada passa attraverso il periodo Sturm und Drang ai lavori del 1773 scritti per il principe Esterhàzy, le Sonate scritte sicuramente nel 1776, quelle pubblicate da Artaria nel 1780, le cosiddette "Bossler" (1784), la Sonata in do maggiore scritta per Breitkopf (1789) e la Sonata in mi bemolle dedicata a Marianne von Genzinger, composta tra il 1789 ed il 1790, che contiene elementi mozartiani. La serie si conclude con le ultime tre Sonate composte tra il 1794 ed il 1795.

Poiché spesso le composizioni che presentano difficoltà esecutive moderate sono giudicate meno indicative di quelle che combinano virtuosismo e sostanza musicale, le Sonate di Haydn prima del periodo londinese sono state "rovinate" da quest'associazione con il dilettantismo ed il mercato. Tale giudizio, in verità, non era accettato universalmente ai tempi di Haydn. Un testimone della vita musicale viennese degli anni Novanta lodava i pezzi pianistici di Haydn proprio perché erano piacevoli e semplici da eseguire, e quindi più utili rispetto alle eccessive difficoltà con le quali gli altri compositori assillavano gli studenti. Le modeste dichiarazioni di Haydn sulle sue qualità esecutive, che hanno spesso contribuito a creare l'impressione che la sua produzione per pianoforte fosse in qualche modo "periferica", non dovrebbero distogliere l'attenzione dal modo nel quale le sue sonate rivelano un intuito per questo strumento.

Non è sempre possibile definire con certezza quali delle Sonate siano state pensate per clavicembalo, clavicordo, oppure per Hammerklavier. La prima Sonata in cui troviamo una certa varietà di segni dinamici è la n. 33, scritta nel 1771, dove si trovano le indicazioni piano, forte, sforzato, p, f. Un crescendo, indizio evidente per l'uso dell'Hammerklavier, appare per la prima volta nell'edizione Artaria della Sonata in do minore nel 1780. Tale indicazione non compare però nell'autografo, che peraltro ha nel frontespizio la dicitura "Clavi Cembalo". Nelle Sonate 36-41, scritte nel 1771, ci sono pochi effetti dinamici; sia gli autografi sia le prime edizioni parlano di clavicembalo. L'indicazione "Per il Clavicembalo, o Forte Piano" compare nei frontespizi per la prima volta solo nelle Sonate Artaria del 1780.

La Sonata in fa maggiore n. 38 Hob. XVI/23 fa parte delle Sei Sonate per cembalo che furono composte nel 1773 e pubblicate l'anno successivo a Vienna dall'editore Joseph Kurzböck, È una raccolta rilevante, per due motivi. Innanzitutto è la prima volta che il compositore, la cui fama aveva già raggiunto una dimensione europea (basti ricordare che la sua Seconda Sinfonia era stata pubblicata a Parigi nel 1764) e che era continuamente sottoposto alla pirateria editoriale, aveva curato personalmente l'edizione di queste Sonate. In secondo luogo si tratta della prima raccolta pianistica che l'autore dedicò al suo datore di lavoro, il principe Nikolaus Esterhàzy.

Nel primo movimento manca l'indicazione di tempo, ma nell'edizione urtext curata da Christa Landon è suggerita l'indicazione Moderato. L'attacco in levare su una figurazione puntata del primo tema immerge il movimento in un clima galante, sebbene non manchino momenti di tensione espressiva, come nel secondo tema, in re minore, che scaturisce direttamente dal primo. Diviso canonicamente in due parti, questo movimento ha figurazioni rapidissime e continui cambi di registro, ma soprattutto è interessante notare come Haydn applichi il principio della variazione ritmica nello schema della forma-sonata.

L'Adagio seguente, in fa minore, è anch'esso in due parti ed è costruito sul ritmo cullante della Siciliana. Dopo solo quattro battute, fa il suo ingresso un disteso motivo in la bemolle maggiore, che si alterna al primo anche nella seconda parte del movimento. La Sonata si conclude con il Finale, di nuovo in fa maggiore (l'indicazione è Presto), per il quale Haydn sceglie lo schema consueto del rondò. Anche in questo caso il movimento è in due parti, con la prima che si conclude alla dominante, e la seconda che attacca curiosamente su un accordo di settima diminuita e poi rielabora in maniera molto articolata il tema principale.

Luca Della Libera


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 2 maggio 2002


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Ultimo aggiornamento 24 aprile 2015