Sinfonia n. 64 in la maggiore "Tempora mutantur", Hob:I:64


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro con spirito (la maggiore)
  2. Largo (re maggiore)
  3. Minuetto (la maggiore) e Trio
  4. Finale: Presto (la maggiore)
Organico: 2 oboi, fagotto, 2 corni, archi
Composizione: Eisenstadt, ca.1773
Edizione: Sieber, Parigi, 1782
Guida all'ascolto (nota 1)

Questa Sinfonia, la cui composizione risale presumibilmente al 1773, non è tra le meglio conosciute di Haydn e presenta alcuni quesiti non del tutto risolti. Il titolo, Tempora mutantur, proviene da un manoscritto di mano di un copista di Eszterhàza, la residenza del principe Nicolaus Esterhàzy, di cui Haydn fu per molti anni il compositore di corte, ed è quindi possibile che risalga direttamente ad Haydn stesso. Per molto tempo gli studiosi haydniani si interrogarono invano sul significato dell'iscrizione, finché nel 1975 il musicologo Jonathan Poster sciolse l'enigma, provando che si tratta dell'incipit di un distico latino del poeta inglese John Owen, vissuto tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo e ancora famoso nel diciottesimo come "il Marziale britannico" proprio per i suoi epigrammi (genere in cui Marziale, poeta latino del primo secolo dopo Cristo, notoriamente eccelse). Ecco l'epigramma per intero:

Tempora mutantur, nos et mutamur in illis.
Quomode? Fit semper tempore peior homo.

Che si potrebbe rendere in italiano: "I tempi cambiano, e anche noi cambiamo con essi. Ma come? L'uomo diventa sempre peggiore man mano che passa il tempo". I dieci libri di epigrammi di John Owen circolavano ancora nel Settecento, ed ebbero una particolare influenza sulla letteratura tedesca. Può darsi che Haydn, che sappiamo appassionato di poesia, abbia incontrato questo epigramma nel corso delle sue letture e ne sia stato tanto colpito da decidere di apporlo come titolo ad una sua Sinfonia, ma può anche darsi che l'epigramma sia stato apposto al manoscritto della Sinfonia da qualcun altro: forse un letterato o uomo di cultura presente alla corte di Esterhàza quando la Sinfonia fu eseguita.

La Sinfonia, strumentata per due oboi, due corni ed archi (con il fagotto a raddoppiare il basso, cioè violoncelli e contrabbassi all'unisono), è tra le più inusuali di Haydn, che pure dell'insolito è maestro riconosciuto. Il primo movimento si attiene grosso modo alle regole della forma sonata; in tempo Allegro con spirito, inizia con un tema di otto battute che è un'unità in sé conchiusa, ma presenta al suo interno fortissimi contrasti di dinamica, strumentazione e natura del materiale musicale. La frase iniziale dei violini in pianissimo è infatti un frammento di melodia quasi cantabile, e induce ad aspettarsi una continuazione che ne mantenga le caratteristiche salienti. Haydn invece la fa seguire immediatamente da due battute di esplosione sonora a piena orchestra, forte, con i violini che strappano accordi insieme ai corni e agli oboi sopra un basso in rapido movimento. La frase iniziale ritorna per le due battute seguenti, e a questo punto l'ascoltatore si aspetta uno scoppio simile al primo: invece Haydn continua con la stessa dinamica e la stessa orchestrazione per un'altra battuta. Ma l'ultima battuta del tema, l'ottava, ritorna al forte e agli accordi strappati, cogliendo l'ascoltatore ancora una volta di sorpresa.

Se il primo movimento è un bell'esempio di come Haydn sappia manipolare dall'interno le regole della composizione per sorprendere di continuo l'ascoltatore, il secondo, un Largo in re maggiore, costituisce uno dei momenti più sperimentali dell'arte haydniana. Per limitarsi ad un solo aspetto di questo sperimentalismo, si consideri il tema iniziale: l'autore costruisce una bella melodia cantabile, poi però inserisce le pause - che di ogni tema costituiscono un fondamentale mezzo di articolazione - non nei punti dove la logica musicale li richiede, ma prima, anticipandole di un accordo o due, spezzando continuamente il fraseggio. Immaginando che ogni accordo corrisponda ad una parola, sarebbe come se Dante avesse diviso la prima terzina dell'"Inferno" così: "Nel mezzo del cammin di nostra / Vita mi ritrovai per una / Selva oscura che la diritta / Via era smarrita". Come si vede, gli elementi per una bella terzina di endecasillabi ci sono tutti, ma sono raggruppati in modo del tutto inaspettato. Il resto di questo Largo non fa che confermare l'impressione lasciata da questo tema iniziale: contrasti violenti di materiale, dinamica e condotta tonale; discontinuità e non sequitur ad ogni pie' sospinto; sviluppo formale assai oscuro; per finire con una conclusione del tutto inusuale, un enigmatico diminuendo nel registro grave i cui ultimi accordi sono, ancora una volta, ritmicamente fuori fase. Non sorprenderà allora che il titolo della Sinfonia sia stato collegato a questo movimento stranissimo, quasi una rappresentazione musicale del progressivo decadimento del mondo.

Dopo questo Largo, il Minuetto con Trio (Allegretto in la maggiore) e il Finale (Presto in la maggiore) che seguono non possono che sembrare un ritorno alla normalità. Non ci si dovrebbe lasciar sfuggire però almeno il modo in cui l'episodio in minore nella seconda parte del Trio non si conclude, ma piuttosto è trasformato dall'interno nel motivo iniziale del Trio stesso; oppure le escursioni tonali e i bizzarri profili tematici del Rondò finale, un movimento che sembra elevare l'asimmetria a principio architettonico di base.

Emanuele Senici


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 11 novembre 2003


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Ultimo aggiornamento 4 ottobre 2012