Scritta nel 1771 a ridosso di altre più celebri e sofisticate sorelle, come la «Trauersymphonie» e la «Passione» e all'inizio di quel periodo in cui Haydn sembrò accostarsi allo spirito dello «Sturm und Drang» assumendo connotati preromantici, la Sinfonia n. 43 ha sofferto di questa vicinanza facendo la fine del vaso di cristallo tra i vasi di bronzo. Lo stesso titolo, «Merkur» che la collega all'alato messaggero degli dei, protettore dei traffici e dei ladri, non ha trovato spiegazione e filologi del peso di Anthony Hoboken, autore del più accreditato catalogo di Haydn, o di H.C. Robbins Landon, curatore dell'edizione critica delle sinfonie, sorvolano con mercuriale leggerezza sulle ragioni di tale intestazione (quasi certamente non dell'autore). In generale se questa sinfonia ha avuto scarsa fortuna critica non ne ha avuta di più in sede esecutiva. Pure l'ascolto non giustifica questa sorte e anzi tutto il lavoro appare felicissimamente compiuto e di altissima ispirazione in tutti e quattro i movimenti. Certo la sua levità e spensieratezza appartengono alla fase precedente del sinfonismo haydniano, piuttosto che a quella posteriore. A questa appartiene invece la magistrale fattura e lo sviluppo tematico, anche se l'organico è ancora quello arcaico con i soli archi, due oboi e due corni. Già il primo movimento, il cui tema iniziale a note ribattute è tra i più tipici di Haydn, è scintillante. Appena un velo di malinconia sembra distendersi sull'adagio, il cui tema è esposto dai violini con la sordina e poi fiorito sempre più nelle successive riprese. Segue un minuetto che, come gli altri dell'autore, brilla da «tutte le facce come un diamante di miniera», per usare ancora un'immagine del Carpani. E soprattutto brilla il suo elegantissimo trio. Il contrasto tra un tema ascendente e uno discendente rende irresistibile il brio dell'ultimo movimento. Vi è qui, nella seriosità quasi religiosa di Haydn, un innesto di comicità mozartiana e più ancora rossiniana. Il secondo tema evoca infatti alla mente un passo memorabile del «Barbiere di Siviglia» (quello in cui Don Bartolo riceve le cure di Figaro, mentre a latere si svolge l'intrigo tra Rosina e Almaviva). Così, come ben compresero i contemporanei, Haydn conseguiva nella musica strumentale quei risultati che gli erano preclusi nel teatro o, se vogliamo, trattava gli strumenti come personaggi mutevoli e imprevedibili, del gran mondo dello spirito.
Bruno Cagli