Sinfonia n. 102 in si bemolle maggiore, Hob:I:102

Sinfonia di Londra n. 9

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Largo (si bemolle maggiore); Vivace
  2. Adagio (fa maggiore)
  3. Minuet: Allegro (si bemolle maggiore) e Trio
  4. Finale: Presto (si bemolle maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Londra, 2 Febbraio 1794
Prima esecuzione: Londra, King's Theatre, 2 Febbraio 1795
Edizione: André, Offenbach, 1801 circa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1869 Wagner attendeva alla composizione del Siegfried. Viveva allora in Svizzera, dove Cosima, in attesa del consenso al divorzio da parte di Hans von Bulow, lo aveva raggiunto. Giorni tristi, giorni di crisi, stato d'animo di cui la composizione dell'opera soffriva. Un rimedio? Cosima scrive a un amico: «Indovinate come abbiamo passato queste ultime sere!... Abbiamo suonato a quattro mani le sinfonie di Haydn, e non potete immaginare con quale ardore. Avevamo scelto le sinfonie inglesi, quelle composte dopo la morte di Mozart: sono creazioni d'una struttura musicale mirabilmente curata, e assai delicata».

E' un vero peccato che Haydn non abbia potuto (et pour cause) aver conoscenza di questa lettera: non tanto perché essa costituiva come un'ammenda - sia pure per interposta persona - delle cose ingiuste e cattive che in gioventù Wagner aveva scritto sulla musica del compositore delle «Stagioni», quanto perché mostrava che la sua musica aveva raggiunto lo scopo che egli si proponeva: «confortare gli stanchi e gli affaticati», scopo che continua a raggiungere ancor oggi.

La Sinfonia n. 102 in si bemolle maggiore fa parte appunto del secondo gruppo delle sei composte a Vienna, dopo, il primo ritorno da Londra, fra il 1792 e il 1794 forse sotto l'impressione della morte di Mozart, sì, ma, si direbbe anche, sotto quella di un presentimento dell'avvenire che, a parte il nuovo viaggio a Londra, si presentava piuttosto oscuro. Troviamo ancora in esse qualche accento scherzoso, talvolta burlesco: ma l'elemento scherzoso è molto meno presente in esse (che dovevano essere le sue ultime) che nelle opere precedenti. Qui Haydn scrive con una gravità che si riflette più nell'orchestrazione e in un nuovo carattere dell'armonia, che nell'invenzione dei temi: un'armonia che annuncia già quella del periodo romantico. Nei temi non v'ha nulla di morbido o di malato, poiché in essi troviamo il vigore e la vitalità tipici di Haydn, ma il carattere melanconico delle armonie smentisce spesso ciò che i temi sembrano dire.

Un'analisi formale non ci direbbe nulla di nuovo: Haydn non si preoccupava di «innovare» forme e linguaggio: aveva tanto da dire che forme e linguaggio del suo tempo gli bastavano; se in queste opere appaiono novità, è certo che il musicista le ha create quasi senza averne coscienza, e ch'esse gli sono state «imposte» da ciò che egli voleva esprimere.

Ricorderemo solo, a titolo di curiosità, che la Sinfonia op. 102 fu il lavoro con cui papa Haydn prese congedo dal suo caro pubblico londinese.

Domenico De Paoli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nonostante avesse trascorso quasi trentanni alla corte degli Esterhàzy, fra Eisenstadt ed Esterhàza, la "Versailles" ungherese dei suoi protettori, sul finire del 700 Haydn era celebre e ammirato in tutta Europa, stimato e onorato da musicisti (in primis Mozart e Beethoven), sovrani e melomani. E proprio a questa celebrità la Sinfonia in si bemolle maggiore n. 102 deve il suo luogo di nascita. Infatti, alla morte di Nicola I Esterhàzy, il "Magnifico", nel settembre 1790 il figlio e successore Anton, poco amante della musica, licenziò l'orchestra di corte e, di fatto, lasciò senza lavoro anche Haydn, a cui comunque assegnò una tranquillizzante pensione di duemila fiorini annui, mantenendogli, almeno nominalmente, l'incarico di Kapellmeister.

L'avvenimento non prostrò certo Haydn, che da tempo desiderava quei contatti con l'ambiente musicale esterno che lo splendido isolamento di Esterhàza gli negava, ed era stanco del suo faticoso lavoro, alle prese con gli estri del "Magnifico" Nicola, il quale, appassionato dell'opera italiana, gli aveva fatto allestire e dirigere in quindici anni ben 90 prime esecuzioni di melodrammi di vari autori, con le relative repliche. In aggiunta, ça va sans dire, ai "normali" obblighi di compositore di corte.

Così Haydn cedette alle pressioni di Johann Peter Salomon, violinista impresario sulla piazza londinese, che lo voleva assolutamente in Inghilterra. Salomon era convinto, e vide giusto, che l'arte e la fama del grande musicista avrebbero assicurato un bel successo finanziario, mentre questi, più che da ragioni economiche, era attratto dalle meraviglie musicali di Londra: grandi teatri, le orchestre migliori d'Europa, con gli organici adeguati e musicisti ben preparati, un pubblico competente. Insomma, un mondo affatto diverso dal microcosmo del teatrino di corte, con la sua piccola orchestra e i suoi scelti frequentatori. Era una sfida che, se vinta, valeva la definitiva consacrazione internazionale e Haydn decise di accettarla: accompagnato da Salomon, il 2 gennaio 1791 sbarcò a Londra.

Fu un trionfo: artistico, mondano e finanziario. La buona società inglese, in testa il Principe di Galles, accolse le sei Sinfonie (nn. 93-98) composte per l'occasione, con un entusiasmo travolgente e pienamente giustificato, trattandosi invero di autentici capolavori. Il fortunato esito di questa prima esperienza convinse Haydn a riprendere, dopo un breve ritorno in patria, la via di Londra, sempre sotto gli auspici del solito Salomon. Il secondo soggiorno inglese, iniziato nel febbraio 1794, si protrasse fino all'agosto del '95 e fu coronato da un nuovo strepitoso successo.

Anche stavolta il compositore presentò sei Sinfonie (nn. 99-104), le ultime della sua vasta produzione e ancor oggi le più eseguite, immediatamente salutate dal pubblico londinese come i vertici ineguagliabili di un intero genere musicale. Né il risultato economico poteva essere migliore: dalle due trasferte sul suolo britannico Haydn ricavò complessivamente 24.000 fiorini. Anche la critica recente, del resto, è unanime nel ritenere che le "londinesi" rappresentino l'espressione più compiuta del sinfonismo haydniano. Lo schema formale su cui sono generalmente costruite, adottato fin dalle ventisei Sinfonie degli anni 1773-1784, comporta un primo movimento in forma-sonata; un Adagio cantabile o un Andante con variazioni come secondo tempo; un Minuetto dal ritmo spesso militaresco e comunque assai deciso e il Finale in forma di Rondò.

La Sinfonia in si bemolle maggiore n. 102 in programma questa sera, immeritatamente meno nota e meno eseguita delle consorelle, si impone invece all'attenzione per la varietà delle invenzioni e per la limpida chiarezza del discorso musicale. Vi si ritrovano, infatti, tutti i tratti peculiari alle sinfonie "londinesi" che, rispetto alle precedenti, mostrano un'architettura di più vaste dimensioni; un ampliamento dell'organico, reso possibile dalla maggior consistenza numerica e dalle capacità tecniche delle orchestre inglesi; una predilezione per esposizioni tematiche più brevi ed incisive; un'attenuazione decisa degli echi dello stile "galante" e un'orchestrazione di straordinaria linearità.

Il primo movimento si apre con un breve Largo introduttivo: vi affiorano su un leggero crescendo degli archi, motivi che richiamano, senza enunciarlo esplicitamente, il primo tema dell'Allegro vivace, che esplode poco dopo, robusto e scattante, introdotto da un arpeggio del flauto ed esposto dai violini, mentre il secondo tema, preannunciato da un fortissimo dell'orchestra, ha un carattere sobrio ed incisivo. I due temi ora si contrappongono fra drammatici sbalzi sonori, ora sono sovrapposti in un vivace contrappunto strumentale, finché un violento rullo di tamburi introduce alla turbinosa coda finale.

Il secondo tempo, un Adagio calmo e cantabile, poggia su una semplice suggestiva melodia degli archi, che conferisce a questa pagina un senso di pacata serenità, cui contrasta l'irruenza popolaresca del Menuett, col suo marcatissimo ritmo di danza paesana. Nel Trio, oboi e fagotto intrecciano le loro voci a imitare una pastosa zampogna creando un clima morbido, che la ripresa del Menuetto fuga improvvisamente.

Il Presto finale è un umoristico e incalzante Rondò, che chiude la Sinfonia in un clima di allegra cordialità. Il continuo ripresentarsi del motivo principale è inframmezzato da episodi musicali assai contrastanti tra loro che si susseguono fino alla gustosa Coda, in cui Haydn sembra divertirsi, in un gioco di rimandi fra legni ed archi, quasi a nascondere il tema, che nessuno strumento enuncia per intero. E infine la splendida Sinfonia si conclude con un piglio festoso e travolgente.

Franco Manfriani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 18 febbraio 1962
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 aprile 2018


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Ultimo aggiornamento 1 maggio 2018