Quartetto per archi n. 82 in fa maggiore, Hob:III:82

Lobkowitz-Quartett n. 2

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro moderato (fa maggiore)
  2. Minuetto. Presto (fa maggiore) e Trio (fa minore)
  3. Andante (re maggiore)
  4. Finale. Vivace assai (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1799
Edizione: Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, Londra, 1802
Dedica: principe Franz Joseph Maximilian Lobkowitz
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Haydn fu certamente uno dei promotori principali del quartetto classico di forma moderna, in cui si fonde lo stile omofonico con il polifonico sulla base della elaborazione tematica che costituisce l'ossatura e la struttura tecnica di questo tipo di composizione. Ma al quartetto, così come poi verrà concepito e sviluppato da Mozart e da Beethoven, il maestro austriaco arrivò per gradi dopo averne scritti, prima del 1771, ben trentadue di stampo e di gusto rococò, sostanzialmente non diversi da quelle forme musicali che andavano sotto il nome di Divertimenti, Cassazioni e Serenate. Di questi trentadue Quartetti dell'età giovanile, diciotto facevano parte di un primo gruppo costituito dalle op. 1, 2, e 3, uscite tra il 1755 e il 1764-'65 e caratterizzate da un gioco strumentale elaborato e vivace dialetticamente.

In fondo, anche il secondo gruppo delle op. 9 e 17, comprese tra il 1769 e il 1771, non si differenzia molto stilisticamente dal primo, se non per una maggiore padronanza della tecnica strumentale. Bisogna arrivare all'op. 20 e ai sei cosiddetti "Quartetti del sole" per avvertire una concezione più libera e autonoma sotto il profilo tematico, con l'insegnamento e l'applicazione più articolata e approfondita del contrappunto e della fuga. Una volta scritte le fughe dei "Quartetti del sole" il maestro di Rohrau cercò di studiare meglio il discorso strumentale a quattro, finché intorno al 1781 compose i sei "Quartetti russi" e li dedicò al granduca Pavel Petrowitsch con queste significative parole: «... essi sono di forma interamente nuova, come mi è riuscito di fare dopo non averne più scritti per dieci anni». E difatti il quartetto d'archi aveva acquistato con l'op. 33 la sua fisionomia di disinvolta modernità dialettica. Dopo i "Quartetti russi", che fra l'altro hanno lo scherzo al posto del minuetto, Haydn pubblicò nel 1787 i sei Quartetti dell'op. 50, dedicati a Federico Guglielmo II di Prussia e appartenenti alla produzione della maturità, insieme ai sei Quartetti dell'op. 54, 55 e 64 dedicati al dilettante violinista viennese Tost, ai Quartetti dell'op. 71-74 dedicati al conte Appony, ai sei Quartetti dell'op. 76 scritti per il conte Erdoedy, e ai due ultimi Quartetti dell'op. 77, senza considerare l'incompiuto Quartetto che reca il numero 103 di opus, composto nel 1803 con queste tristi e indicative parole apposte sotto il tempo Adagio: «Hin ist alle meine Kraft, alt und schwach bin ich» (Perduta è la mia forza, io sono vecchio e debole).

I due Quartetti in sol maggiore e in fa maggiore op. 77 sono dedicati al duca Maximilian Lobkowitz e per questa ragione sono conosciuti anche come "Lobkowitz Quartette". Risalgono al 1799 e sono contemporanei dell'inizio compositivo dell'oratorio La Creazione, che avrebbe coronato felicemente la carriera artistica di Haydn. Il Quartetto in fa maggiore inizia (Allegro moderato) con un tema aperto e cordiale al quale partecipano tutti gli strumenti, ma da esso si dipartono varie trasformazioni sonore e diverse frasi secondarie che conferiscono varietà di accenti al nucleo espressivo fondamentale. Il clima psicologico è cordiale e coinvolgente secondo la sigla compositiva di Haydn. Anche il successivo Minuetto è sereno e gioioso e si snoda con chiara eleganza melodica. Non manca un Trio molto cantabile in re bemolle maggiore prima di ritornare al luminoso gioco ritmico iniziale dei quattro archi. L'Andante in re maggiore ha un procedimento di marcia piuttosto sostenuto, contrassegnato da modulazioni e variazioni riccamente figurate e inserite in un contesto di perfetta sensibilità classicheggiante. Il Vivace assai conclusivo rispecchia lo schema del rondò a tema unico in cui, su contrappunti e ritmi sincopati, si innesta un geniale virtuosismo strumentale delle voci violinistiche.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1795, al termine del suo ultimo, lungo e trionfale soggiorno a Londra, Haydn faceva rientro a Vienna con molti progetti ancora fra le mani, e mentre riprendeva servizio presso la cappella musicale dei principi Esterhàzy accettava anche una serie di commissioni sparse, alcune delle quali riguardavano l'amatissimo genere del quartetto per archi. A quell'epoca, Haydn aveva già alle spalle una sessantina di composizioni in questo ambito, le ultime sei delle quali (i tre Quartetti op. 71 e i tre op. 73) scritti ed eseguiti proprio nel corso del periodo londinese. La prima richiesta di nuovi quartetti gli venne, nel 1796, dal conte Joseph Erdòdy e fu all'origine di una serie di sei composizioni (op. 76) che suscitarono l'entusiasmo dei contemporanei. Charles Burney, uno dei più importanti testimoni dell'epoca, si rivolse direttamente all'autore con una lettera nella quale diceva di averli trovati così pieni "di invenzione, di spirito, di buon gusto e di effetti nuovi" che non sembravano "l'opera di un genio che ha già dato tanto alla musica", ma quella "di un talento superiore il cui fuoco e la cui anima sono ancora da scoprire".

In effetti, l'ultima stagione creativa di Haydn è sorprendente per intensità, scorrevolezza, leggerezza, quasi che il musicista, lasciato alle spalle ogni tipo di preoccupazione tecnica e stilistica, avesse conquistato un nuovo livello di libertà espressiva. Gli ultimi Quartetti di Beethoven rivelano un movimento analogo di affrancamento dalle regole: ma se in Beethoven la libertà creativa prende la forma di un estremo sperimentalismo nel linguaggio, se in lui un orizzonte di dolore e di sofferenza fa da sfondo all'inatteso recupero di una matrice cantabile, negli ultimi Quartetti di Haydn si assiste invece all'emergere di un sentimento di soddisfazione, di ottimismo, di felicità, che si può forse definire come l'approdo a un modello classico di saggezza, una imperturbabilità di fronte agli eventi della vita che diventa regola di condotta e che trasmette alla musica l'impronta di una pacificazione con la lentezza della maturità, certamente, ma senza fatica.

Fu uno dei più celebri mecenati di Beethoven, il principe Franz Joseph Maximilian Lobkowitz, a chiedere a Haydn la realizzazione di un nuovo ciclo di sei Quartetti all'inizio del 1799. Il compositore vi si applicò subito, ma non portò a termine la commissione, completando solo due brani che furono pubblicati due anni dopo, nel 1801, come op. 77. Le ipotesi sul motivo di una simile interruzione del lavoro sono molte, anche perché non rientrava fra le abitudini di Haydn quella di venir meno a un impegno preso. C'è chi ha accampato motivi d'età (il compositore aveva allora 67 anni): l'autore stesso, del resto, fece pubblicare nel 1806 il frammento di un terzo Quartetto della stessa serie, aggiungendo alla fine del Minuetto una malinconica frase di commiato: "tutta la mia forza è finita, sono vecchio e debole". D'altra parte, c'è chi ha sostenuto che la rinuncia al completamento del ciclo fosse dovuta alla fatica di altri lavori che lo impegnavano moltissimo in quel periodo, grandiose opere per coro e orchestra come Le Stagioni, le ultime due Messe, il Te Deum. Il più accreditato biografo del musicista, Harold C. Robbins Landon, aggiunge a queste osservazioni un'altra circostanza: nel 1801, il giovane Beethoven aveva appena pubblicato una prima collezione di sei Quartetti, l'op. 18, anch'essa dedicata al principe Lobkowitz. Haydn, che aveva avuto in Beethoven un allievo e che seguiva con enorme interesse la sua evoluzione, avrebbe allora fatto un passo indietro, lasciando spazio al più giovane collega, con un gesto di discrezione che appare tipico del suo carattere lungo l'intero corso della vita.

I due Quartetti op. 77 furono eseguiti nel settembre del 1799 nel palazzo del principe Esterhàzy, ad Eisenstadt. Il secondo, in fa maggiore, fu quello che maggiormente colpì gli ascoltatori e che venne prestissimo giudicato come uno dei vertici della sua arte strumentale, accanto a opere come le Sinfonie n. 102 e n. 104. È un giudizio che può apparire sorprendente, dato che siamo soliti distinguere con nettezza le caratteristiche del genere sinfonico, organico e spettacolare, da quelle del quartetto d'archi, analitico e meditativo. Nella musica di Haydn, tuttavia, una simile distinzione si scontra con il fitto interscambio di soluzioni tecniche ed espressive che passano da un genere all'altro, da una composizione all'altra. Egli ha portato al livello della perfezione lo stile dialogico del quartetto, ha attribuito alle singole voci pari dignità, senza dar loro l'ordine di una gerarchla. Questo risultato, tuttavia, non è il prodotto di un'astrazione, non è una "regola" che si stabilisce indipendentemente dalla materia trattata: come nella sinfonia, anche nell'ambito del quartetto Haydn è attento alla qualità sonora dell'insieme e si può dire che in alcune opere esemplari, com'è appunto il Quartetto op. 77 n. 2, egli "orchestri" la partitura cameristica esattamente come orchestra una sinfonia, facendo dei volumi e della varietà altrettanti principi dell'espressione strumentale.

Il Quartetto op. 77 n. 2 in tonalità di fa maggiore sottolinea questo carattere trasferendo al colore strumentale gran parte dell'ossatura architettonica su cui è costruito. Il primo movimento, Allegro moderato, ha la struttura della forma-sonata, ma anziché essere basato su due temi, come avviene di solito, è incentrato su una sola idea melodica, subito enunciata in modo molto esplicito. Per Haydn, si tratta di una soluzione non infrequente. In questo caso, però, il principio monotematico è arricchito proprio dall'orchestrazione: quando riappare, per esempio, il tema di base viene trasferito al secondo violino, dunque mutato nella disposizione strumentale, mentre il primo violino passa in sottofondo e arricchisce quella melodia di un contrappunto. Se il tema è semplice, d'altra parte, molto più ricco, intenso e ricercato diventa il percorso armonico, inevitabilmente ancorato alla timbrica dei diversi strumenti e a sottili differenziazioni del loro impasto. Questo è particolarmente evidente nella bellissima sezione di sviluppo, dove oltretutto compare una serie di brevi temi supplementari, incatenati fra loro e indipendenti dall'idea di base.

Il Menuet che segue ha già la forma proto-beethoveniana dello "scherzo", energico e graffiante, con il violoncello chiamato a imitare e a richiamare il suono delle percussioni, nuovo rinvio a una concezione orchestrale del suono (la sezione in Trio che vi è incorniciata è uno dei momenti più felici della composizione). L'Andante, in re maggiore, ha la forma di un tema con variazioni, mentre il finale, monotematico come il primo movimento, contiene ritmi e movenze tipici delle danze dell'oriente europeo, la più riconoscibile delle quali è una polacca.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 novembre 1990
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 marzo 2003


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 27 febbraio 2013