Quartetto per archi n. 81 in sol maggiore, Hob:III:81

Lobkowitz-Quartett n. 1

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro moderato (sol maggiore)
  2. Adagio (mi bemolle maggiore)
  3. Menuetto. Presto (sol maggiore) e Trio (mi bemolle maggiore)
  4. Finale. Presto (sol maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1799
Edizione: Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, Londra, 1802
Dedica: principe Franz Joseph Maximilian Lobkowitz
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'op. 77 comprende due quartetti, uno in sol maggiore e l'altro in fa maggiore (1799), che sono gli ultimi scritti da Haydn (ad eccezione dell'incompiuto op. 103). Nella sua vasta produzione quartettistica non è facile individuare una linea evolutiva unidirezionale, e se è vero che Haydn ha stabilito il modello definitivo del quartetto, bisogna anche dire che tra gli autori coevi è quello che ha sempre messo in discussione ogni forma precostituita ed in particolare la forma-sonata. Nelle composizioni dell'ultimo periodo ricorrono elementi o modalità tese al rinnovamento della struttura di base; le collaudate, e sfruttatissime, relazioni di quinta tra le tonalità lasciano il posto a quelle di terza, le variazioni si sostituiscono alla forma-sonata e quest'ultima diventa monotematica (anziché bitematica). Tutto ciò si mescola, però, ad elementi più tradizionali (scelte timbriche e strumentali, temi di stile galante, ecc.) che servono ad attenuare le novità inserite da Haydn nelle sue composizioni.

Il primo tempo del quartetto in programma, Allegro moderato, è un buon esempio della confluenza fra tradìzione e nuovi spunti per lo studio sulla forma. Da un lato, nel prevalere del Primo violino sugli altri strumenti (come già nell'op. 64), troviamo un retaggio dello stile barocco e delle prime forme quartettlstiche; dall'altro scopriamo un'originale struttura basata su una (forma sonata ampiamente riveduta, intessuta com'è di false riprese del tema principale che ricompare qua e là in tonalità diverse. Il tema ha un andamento solenne anche se l'impulso metrico, quasi di marcia, non cancella l'eleganza melodica giocata anche sulle tinte nette di forte e piano ("mezza voce" scrive Haydn). Accanto alle modifiche sul piano formale, a incuriosirci sono le piccole sorprese che Haydn dissemina lungo il percorso musicale e di cui è quasi impossibile dare conto. Si tratta infattidi raffinati scambi contrappuntistici (specie tra Primo violino e violoncello), di improvvisi scarti ritmici (dalle veloci terzine di crome ad un andamento di semiminime), di passaggi impercettibili dalla polifonia all'omofonia. Dunque un linguaggio dai piccoli avvenimenti, basato sulle sfumature e che all'ascolto appare solo come un divertito rincorrersi di eventi mai definitivi. Tutto ciò che di nuovo c'è nella musica di Haydn viene presentato come qualcosa di consueto e diluito nei mille piccoli giochi degli strumenti.

Nel secondo tempo, Adagio, ancora una volta il Primo violino è in grande evidenza come nel primo movimento al quale lo lega anche una certa complessità formale. Dal punto di vista armonico assistiamo ad una vera e propria esplorazione dei confini tonali, e dal mi bemolle maggiore d'impianto (attraverso semplici progressioni o vere e proprie modulazioni) Haydn apre una spirale che raggiunge le tonalità più remote. Il terzo movimento, Presto, pur se porta il titolo di Menuetto, secondo Keller sembra più un "antiminuetto" a causa della estrema velocità e per la presenza di accenti troppo marcati sul tempo debole. Il compositore ha conservato la forma esteriore del minuetto ma in realtà, forse, pensava già ad un tipo di Scherzo veloce e ben ritmato come lo saranno quelli di Beethoven. Anche nel Finale troviamo l'indicazione Presto ma rispetto al Menuetto siamo qui di fronte ad un Presto con forti caratteristiche di virtuosismo (sempre per il Primo violino), e soprattutto con una doppia accentuazione per battuta che gli conferisce un carattere molto marcato e frenetico. Anche in questo caso, come nel primo movimento, Haydn rivede la forma-sonata utilizzando una struttura molto vicina a quella di un Rondò monotematico. Nell'ascolto, però, non c'è tempo di accorgersi di ciò che succede perché il compositore ha nascosto i suoi "esperimenti" dentro un involucro esplosivo di temi incalzanti, armonie impreviste e agilità strumentali. Tutto scorre senza traumi: i profondi mutamenti operati sulla forma riveleranno la loro forza negli anni a venire.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1799 il sessantasettenne Haydn attendeva alla composizione delle «Stagioni». Principe riconosciuto dei musicisti riceverà nel suo rifugio viennese l'omaggio delle accademie e dei sovrani di tutta Europa. In quello stesso anno trascura la lunga gestazione del suo oratorio per un'altra serie di sei quartetti commissionata dal principe Lobkowitz. Sarà la sua op. 77, e ne completerà soltanto i primi due numeri; un terzo, iniziato nel 1803, si arresterà ai due tempi centrali. Il Quartetto in sol maggiore è aperto da una figurazione alla marcia. La mossa è serena, senza clamori militari, con una distensione cantabile che annunzia la Vienna di Schubert. Pochi tocchi contrappuntistici mostrano la pienezza della maestria, l'incanto della semplicità raggiunta all'interno della grande forma. Un inno sacro, sul tipo di quei canti di ringraziamento con cui umanità e natura rappacificano nei suoi oratori, funge da tema nell'Adagio. L'inno circola fra le varie voci senza alterare la sua fisionomia fondamentalmente positiva, anche quando le modulazioni vorrebbero imprimere una tinta scura sul paesaggio armonico. Il Minuetto in tempo serrato ha l'andatura di uno scherzo. Quanto di più dionisiaco Haydn abbia chiesto alla danza. Ed il Trio è accentuatamente beethoveniano, senza però quelle sottolineature del metro che mostrano le propensioni retoriche dei nuovi eroi. Il Finale è anch'esso alla danza. Il tema paesano, distillato dal compositore d'arte in reminiscenze stilizzate, è posto a fondamento di una ampia elaborazione monotematica. E se il finale è sovente il punto debole del classicismo viennese, questo fa eccezione attraverso il miracoloso equilibrio della scrittura. Tutto vi è conosciuto eppure vario, contrappunti e sottile fraseggio ritmico, attraverso i quali il tema scorre senza che mai si avverta stanchezza od artificio.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 15 aprile 1994
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 13 febbraio 1974


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 3 agosto 2015