Quartetto per archi n. 76 in re minore, op. 76 n. 2, Hob:III:76

Erdödy-Quartette n. 2

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro (re minore)
  2. Andante o piu tosto Allegretto (re maggiore)
  3. Menuetto (re minore) e Trio (re maggiore)
  4. Finale. Vivace assai (re minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 14 giugno 1797
Prima esecuzione: Eisenstadt, Eszterháza Theater, 27 settembre 1797
Edizione: André, Offenbach, 1799
Dedica: conte Josef Erdödy
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Haydn fu certamente uno dei promotori principali del quartetto classico di forma moderna, in cui si fonde lo stile omofonico con il polifonico sulla base della elaborazione tematica che costituisce l'ossatura e la struttura tecnica di questo tipo di composizione. Ma al quartetto, così come poi verrà concepito e sviluppato da Mozart e da Beethoven, il maestro austriaco arrivò per gradi, dopo che ne aveva scritti, prima del 1771, ben trentadue (ne compose in tutto 83) di stampo e di gusto rococò, sostanzialmente non diversi da quelle forme musicali che andavano sotto il nome di divertimenti, cassazioni e serenate. Di questi trentadue quartetti dell'età giovanile, diciotto facevano parte di un primo gruppo costituito dalle op. 1, 2 e 3, uscite tra il 1755 e il 1764 - '65 e caratterizzate da un gioco strumentale elaborato e vivace dialetticamente.

In fondo, anche il secondo gruppo delle op. 9 e 17, comprese fra il 1769 e il 1771, non si differenzia molto stilisticamente dal primo, se non per una maggiore padronanza della tecnica strumentale. Bisogna arrivare all'op. 20 e ai sei cosiddetti «Quartetti del sole» per avvertire una concezione più libera e autonoma sotto il profilo tematico, con l'inserimento e l'applicazione più articolata e approfondita del contrappunto e della fuga. Una volta scritte le fughe dei «Quartetti del sole» il maestro di Rohrau cercò di studiare meglio il discorso strumentale a quattro, finché intorno al 1781 compose i sei «Quartetti russi» e li dedicò al granduca Pavel Petrowitsch con queste significative parole: «... essi sono di forma interamente nuova, come mi è riuscito di fare dopo non averne più scritti per dieci anni». E difatti il quartetto d'archi aveva acquistato con l'opera 33 la sua fisionomia di disinvolta modernità dialettica. Dopo i «Quartetti russi», che fra l'altro contengono lo scherzo al posto del minuetto, Haydn pubblicò nel 1787 i sei Quartetti op. 50, noti come Prussische-Quartette (Quartetti prussiani) perché dedicati a Federico Guglielmo II di Prussia e in essi l'autore tende ad avvicinarsi alla forma mozartiana. Compaiono quindi tra il 1788 e il 1790 le due serie dei sei Quartetti op. 54, op. 55 e op. 64, dedicati al commerciante e dilettante violinista viennese Tost, seguiti nel 1793 dai Quartetti op. 71 e op. 74 dedicati al conte Appony, nel 1799 dai sei Quartetti op. 76 dedicati al conte Erdödy (nel terzo quartetto in do maggiore di questa raccolta si possono ascoltare le variazioni sull'inno nazionale austriaco composto da Haydn su parole del gesuita L. Leopold Haschka, adottato ufficialmente il 28 gennaio 1797) e dai due ultimi Quartetti op. 77 del 1799. Ad essi va aggiunto il Quartetto op. 103, incompiuto, che reca sotto il Molto Adagio le significative parole scritte dallo stesso Haydn: «Hin ist alle meine Kraft, alt und schwach bin ich» (Mi mancano le forze, sono vecchio e debole).

Se si tiene presente che il quartetto d'archi ha una funzione essenziale nello svolgimento delle parti in orchestra sotto il profilo espressivo e non soltanto di pura tecnica contrappuntistica, si può capire quale importanza abbia avuto Haydn con i suoi quartetti strumentali, dove ad esempio la viola viene trasformata nel suo ruolo e trasferita dalla posizione di raddoppio a quella autonoma, di stile discorsivo e cantabile. Del resto la sinfonia classica è costruita sul quartetto d'archi e quanto più è polifonica la struttura di quest'ultimo, tanto più si rivela ricco e vario il linguaggio sinfonico.

Il Quartetto in re minore op. 76 n. 2 è articolato in un Allegro, spumeggiante di sonorità argute e brillanti, in un Andante, poggiato su un dolce tema cantabile, in un Minuetto con il da capo e contrassegnato da piacevoli figurazioni melodiche, e in un Finale di vaporosa espressività nel gioco serrato e stringente tra i quattro archi.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quartetto in re minore, detto «delle quinte » dall'intervallo che caratterizza sistematicamente il materiale tematico impiegato, nasce, come gli altri cinque della serie cui appartiene, nel 1797. E' l'estrema stagione creativa del capostipite della Scuola di Vienna, lasciato temporaneamente solo, dopo la scomparsa di Mozart e prima della definitiva affermazione beethoveniana, a reggere le sorti della splendida e fatale civiltà musicale fiorente in riva al Danubio. In questa, come nelle altre opere cameristiche e sinfoniche coeve, si accentua la tendenza haydniana verso un'unità strutturale ottenuta attraverso un monotematismo sempre più rigoroso. Se di una seconda idea tematica si può ancora parlare, negli ultimi quartetti haydniani, si tratta quasi sempre di una gemmazione del tema basilare, quanto meno di una sua conseguenza discorsiva, mai di un elemento di vero contrasto dialettico. L'esposizione sonatistica tende così a divenire più che mai un blocco di musica dall'unità granitica, mentre la sezione dello sviluppo, da Mozart solitamente mantenuta entro proporzioni contenute, dilaga rigoglidsamentefi presentendo l'alta tensione beethoveniana.

La coppia di quinte compresa dalle note La-Re e Mi-La, combinata in varie trasposizioni di gradi, costituisce l'ossatura, ora palese, ora occultata da sagaci permutazioni ritmiche, dell'intero primo tempo il quale, giusta quella grandiosa sprezzatura assunta dall'ultimo Haydn nei confronti dei convenzionali rapporti di equilibrio interno, presenta la sezione della ripresa profondamente trasformata rispetto all'esposizione, ed arricchita di una stupenda «coda». Nell'«Andante o Piuttosto allegretto», Haydn sembra compiacersi di una certa finta ingenuità giovanile; volutamente retrospettivo è anche il trattamento alquanto old-fashioned del primo violino dilagante in pigre e divagate diminuzioni virtuoslstiche sullo sfondo del bonario pizzicato degli altri strumenti. L'autoironia seguita nel Minuetto in canone, rara e pertanto significativa eccezione a quella rinuncia ad ogni ostentazione "dotta", che negli ultimi Quartetti haydniani è di regola. Il breve Finale fa il paio con l'«Andante» nell'ostentare un'estrema semplicità di scrittura e d'invenzione tematica, che dissimulano in realtà il più sottile e disincantato magistero, dove il principio haydniano di trarre il massimo dal minimo dato diviene arte suprema.

Giovanni Carli Ballola


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 20 novembre 1981
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 13 febbraio 1980


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Ultimo aggiornamento 13 maggio 2016