Quartetto per archi n. 75 in sol maggiore, op. 76 n. 1, Hob:III:75

Erdödy-Quartette n. 1

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro con spirito (sol maggiore)
  2. Adagio sostenuto (do maggiore)
  3. Menuet. Presto (sol maggiore) e Trio
  4. Finale. Allegro ma non troppo (sol minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 14 giugno 1797
Prima esecuzione: Eisenstadt, Eszterháza Theater, 27 settembre 1797
Edizione: André, Offenbach, 1799
Dedica: conte Josef Erdödy
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Per cogliere l'evoluzione dello stile quartettistico di Haydn, non bisogna perdere di vista il parallelo sviluppo del suo stile sinfonico; entrambi gli stili sono dominati dall'intento di creare una nuova sintassi musicale da opporre a quella dell'antica Fuga; ora questa sintesi haydniana è quella dello sviluppo tematico; e nei suoi quartetti più maturi troviamo infatti sviluppata fino alle più sottil risorse l'arte di dedurre le più ampie, impensate conseguenze da brevi motivi iniziali, o temi. Anzi, Haydn fa di più: ad un primo tema di carattere ritmico fa succedere un secondo tema di carattere opposto, cioè melodico, sviluppando in senso dialettico le premesse dialoganti del giuoco dei quattro strumenti. Il primo tempo dei suoi Quartetti è quello che più riflette questa caratteristica attitudine psicologica: un'attitudine, diciamo così, critica, bene in armonia con lo spirito dei contemporanei enciclopedisti, e che fa di Haydn un uomo aderente alle aspirazioni spirituali più progressive del suo tempo. Gli altri movimenti riceveranno da lui una sistemazione formale che rimarrà quasi immutabile, fino a quando il genio di Beethoven non schiuderà, con gli ultimi Quartetti, vie nuove.

Nella produzione quartettistica, Haydn realizza l'ideale comune ai migliori musicisti del suo tempo, di risuscitare in nuove forme lo spirito dell'antica polifonia vocale, sopraffatta sempre più dall'invasione del basso continuo, ossia della pratica di riempire lo spazio sonoro fra basso e canto con un tessuto fonico amorfo - nella fattispecie, lo sipazio fra il violoncello e il primo violino: che invece Haydn articola con una mirabile inventività.

Se le Sinfonie esprimono l'aspetto epico dell'anima di Haydn, i Quartetti rivelano quello lirico, intimo: entrambi i generi sono caratterizzati da una comune fraschezza di idee, da una superiore serenità e da una contemplazione pacata del mondo esterno ed interiore.

I sei Quartetti dell'op. 76, composti nel 1797-98 e dedicati al Conte Erdödy, si pongono sulla vetta più alta dell'arte cameristica haydniana. In essi tutto è condensato ed intensificato, e l'espressione vi è più personale e diretta. «I Quartetti di Erdody - scrive Ferruccio Amoroso - fanno presentire gli ultimi Quartetti beethoveniani: l'intensificata gioia formale, la ritmica sempre più ricca, il gusto tutto nuovo e romantico della polifonia: tutto ciò espressione di uno stato d'animo ormai libero dalle passioni, al di là del bene e del male».

Preceduto da un breve preludio di accordi, il primo tempo dell'op. 76, n. 1, si distingue per uno sviluppo tematico assai elaborato. L'Adagio, dapprima assai sostenuto, manifesta alla fine una sorda inquietudine. Al posto del grazioso minuetto settecentesco, c'è un Presto che, con la sua duttilità ritmica, la sua leggerezza di disegno e il suo spirito fantastico, prefigura lo Scherzo beethoveniano. Per quanto in tempo meno veloce del solito, il finale possiede una grande energia. Il suo inizio in sol minore (anziché nella tonalità di sol maggiore, che è quella generale del Quartetto), potrebbe far supporre un improvviso abbuiamento nello stato d'animo del musicista. Ma non si tratta di questo: Haydn desiderava soltanto introdurre un elemento di ritardo, creare, si direbbe oggi, una suspense, prima della soluzione dell'opera; e, nella seconda metà del pezzo, egli passa regolarmente dal minore al maggiore, riaffermando così la tonalità fondamentale.

Nicola Costarelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo il secco sipario di tre accordi cadenzali in forte l'Allegro con spirito è aperto da un tema formato da due semifrasi di quattro battute ciascuna, affidate rispettivamente al violoncello solo e alla viola sola e ripetuto immediatamente all'ottava più acuta dal violino secondo cui risponde il violino primo. E solo a battuta 18, quindi, che i quattro strumenti iniziano a suonare veramente insieme. Da notare in questo brano dai toni sereni e luminosi, i vigorosi passaggi modulanti all'unisono delle battute 56-63 che sembrano evocare lontanamente alcune pagine della Sinfonia in do maggiore "La Grande" di Schubert. Nello sviluppo il tema viene trattato contrappuntisticamente con un controcanto aperto da una scala discendente di crome di vago sapore baroccheggiante; questo tono arcaico si acuisce ancora di più alle battute 96-114 in un episodio guidato dal primo violino che sembra quasi fare il verso a Vivaldi.

L'Adagio sostenuto in do maggiore è una pagina intensissima basata su tre elementi fondamentali: una melodia dall'andamento di inno (prescritta «a mezza voce») che torna a farsi sentire tre volte; un elemento melodico più scorrevole che contrappone il primo violino e il violoncello sui ribattuti in staccato degli altri due strumenti; dei passaggi in cui le sincopi del primo violino si contrappongono alle note degli altri strumenti. La grande concentrazione espressiva, il contrasto fra registro grave e registro acuto, la varietà nell'articolazione ritmica sembrano prefigurare le atmosfere degli ultimi Quartetti di Beethoven.

Forte è quindi il contrasto con il breve Menuet che segue, un vero e proprio Scherzo nonostante non ne porti ancora il nome, da eseguirsi chiaramente "in uno" e caratterizzato dall'improvviso scoppio in fortissimo sull'ottava battuta di un tema prescritto in piano. Da non sottovalutare come possibile modello gli Scherzi dei Trii op. 1 (1794-95) e delle Sonate op. 2 per pianoforte (1793-95) di Beethoven, dedicate proprio a Haydn. Nel Trio, dalle popolaresche movenze di Ländler, è protagonista il primo violino, un po' come già era accaduto nel Quartetto K 421.

Il Finale (Allegro ma non troppo) si apre arditamente in sol minore (passerà in sol maggiore solo alla battuta 139) con una terzina in levare che costituisce la cellula ritmica generatrice dell'intero brano, dando vita a episodi che sembrano richiamare ancora una volta alla nostra memoria alcuni passaggi della "Grande" di Schubert: questa vaga somiglianza diventa addirittura inquietante alle battute 45-49, quando all'impetuoso scorrere delle terzine del violoncello e della viola si sovrappongono gli stessi incisivi richiami dei violini (croma puntata e semicroma) che aprono il Finale della "Grande". Da notare l'ardita modulazione da una tonalità con cinque bemolle (re bemolle maggiore) a una con tre diesis (la maggiore), effettuata giungendo a la maggiore attraverso il suo corrispettivo enarmonico (si doppio bemolle maggiore).

Carlo Cavalletti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 marzo 1965
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 2 aprile 1998


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Ultimo aggiornamento 16 marzo 2014