Quartetto per archi n. 34 in re maggiore, op. 20 n. 4, Hob:III:34

"Sonnenquartette (Quartetto del sole) n. 4"

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro di molto (re maggiore)
  2. Un poco Adagio e affettuoso (re minore)
  3. Menuet alla Zingarese (re maggiore) e Trio
  4. Presto e Scherzando (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1772
Edizione: La Chevardière, Parigi, 1774
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I Sei Quartetti dell'op. 20 di Joseph Haydn (indicati inizialmente come Divertimenti per archi) vengono pubblicati a Parigi, allora "la Mecca della stampa musicale", nel 1774. Due anni prima, ad Amsterdam, era apparsa l'op. 17, ma bisognerà attendere il 1782 perché il compositore autorizzi un'altra serie di Quartetti per archi: sarà l'op. 33, stampata a Vienna da Artaria e considerata la pietra angolare della raggiunta età adulta di questa nuova forma espressiva.

Haydn spiegherà che, dopo l'op. 20, ha lasciato scorrere quasi dieci anni, nonostante la 'fame' di Quartetti della società musicale europea, perché l'op. 33 "è composta in una nuova e speciale maniera". Pochi anni ancora e nel 1785, dando alle stampe la sua prima raccolta di Quartetti, Mozart li definirà - nella celebre dedica all' "amico mio carissimo" Haydn - "il frutto di una lunga e laboriosa fatica".

Hic Rhodus, hic salta: è nel comporre un Quartetto che si verifica la capacità di un compositore di "gettare lo scandaglio nei mari più profondi".

Il Quartetto in re maggiore op. 20 n. 4 deve la propria riconosciuta eccellenza alla sua "coerente diversità", che è cifra stilistica di tutta la serie, ma che in questo lavoro raggiunge una dimensione ampia, articolata e sempre coerente. "Mai - ha scritto Ludwig Finscher, tra i più credibili storici del Quartetto per archi - Haydn aveva composto dei Quartetti così misteriosi, così difficilmente accessibili, capaci di unire in modo sconcertante degli elementi così numerosi". Un indubbio passo avanti rispetto alla sua precedente produzione, ma certamente ancora un gradino più in giù rispetto alle grandi acquisizioni della maturità.

Se il Quartetto d'archi è la traduzione in musica dello "spirito di conversazione", così diffuso nella civiltà letteraria settecentesca e nelle regole della buona educazione d'allora, qui il conversare non è soltanto un esercizio cortese, galante, richiede davvero buone orecchie, e pronte alla novità.

Per conversare bisogna anche, saper ascoltare: è il lungo avvio piano del primo movimento, la sua regolare irregolarità, che da subito propone anche il protagonismo del violoncello nel proprio inconfondibile registro grave.

L'Allegro di molto iniziale è un capolavoro di attesa, creata dalla densa oscillazione armonica tra stabilità e instabilità. Come un discorso che promette sempre di concludersi e invece riparte, con delle nuove divagazioni. Accuratezza e invenzione nel lavoro tematico, ricchezza dello sviluppo? Certo, ma proviamo ad applicare a questo racconto in musica altre regole, quelle che al tempo erano le più familiari, le più vincolanti, le più riconoscibili.

La musica è una "retorica senza parole", fornita di una sua pecullare fraseologia; organizzare un convincente discorso in musica non è poi impresa così diversa dall'essere persuasivi attraverso le parole. Ci sono regole linguistiche da conoscere e rispettare, in un caso come nell'altro.

Scrive Johann Nikolaus Forkel (1749-1818), organista, docente all'Università di Gottingen, nell'Almanacco musicale per l'anno 1784, pubblicato a Lipsia:

"Una delle questioni principali nella retorica e nell'estetica musicale è ordinare le idee e la progressione dei sentimenti espressi attraverso di loro, così che queste idee vengano convogliate ai nostri cuori con una certa coerenza, esattamente come le idee in una orazione si rivolgono alla nostra mente e si susseguono una all'altra in accordo ai principi della logica. Se vengono ordinati in modo appropriato, questi elementi sono per il linguaggio dei sentimenti l'equivalente di quelli che nel linguaggio delle idee [...] sono i ben noti elementi ancora usati dai buoni, genuini oratori: e cioè exordium, propositio, refutatio, confirmatio..."

E molto insiste sulla Inventio (Erfindung), che potremmo tradurre come "ispirazione" o "materiale tematico principale di un movimento".

Le quattro variazioni dell'Adagio modulano i diversi caratteri dell'idea dell'exordium: è il modo in cui lo si racconta a svelare la ricchezza del semplice materiale di partenza.

Ecco, nel Menuetto, la decisione di prendere spunto da un ritmo "alla zingaresca" e di giocare sull'effetto sorpresa, mantenendo cioè in quel galante movimento di danza di corte gli sforzati, gli accenti sfasati di una ben più sfrenata danza popolare.

Anche nel finale un tema "all'ungherese" corona la lunga esposizione, precedendo un episodio in stile fugato: ancora, il popolare e il colto guancia a guancia, accolti e governati con sovrana libertà e consapevolezza dall'autore. E come è originale l'Inventio dell'inizio "presto scherzando" affidato soltanto al primo violino, che poi porge subito la battuta agli altri strumenti, chiamandoli a condividere il suo gioco.

Secondo alcune testimonianze del tempo, in particolare quella dell'inglese Charles Burney, questa "mescolanza di serio e di comico" sconcertò alcuni esecutori e ascoltatori dell'epoca, come se questo Quartetto, e i suoi fratelli dell'op. 20, presentassero troppe facce, troppe espressioni, e troppo mutevoli. Ma è esattamente questo il loro merito principale: sono una testimonianza di quanto rapidamente si andassero definendo le regole del nuovo "stile classico" e la sua capacità di accogliere al proprio interno "il linguaggio sublime e tumultuoso delle passioni". Beaumarchais, mentre scriveva la Trilogia di Figaro, era convinto che questa possibilità fosse preclusa alla musica e in particolare alla musica strumentale, che per esprimere le proprie "passioni" non può far ricorso alle parole, al canto.

L'op. 20 di Haydn comincia a smentire questo pregiudizio allora assai diffuso. Lo scandaglio sta scendendo "nei mari più profondi".

Sandro Cappelletto

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La conquista della scrittura quartettistica "classica" fu lenta e graduale da parte di Franz Joseph Haydn. Fra il 1757 e il 1562 Haydn compose una decina di "quartetti" o "divertimenti" per archi (l'ambiguità terminologica è tipica di un'epoca di transizione) ancora sostanzialmente ispirati al modello della melodia accompagnata. Il servizio presso la cappella musicale del principe Esterhàzy, d'altra parte, riguardava soprattutto la musica sacra, teatrale e sinfonica, e lasciava poco spazio alla formazione quartettistica. Tuttavia fra il 1769 e il 1772 Haydn riuscì a cimentarsi in una serie di raccolte di quartetti (op. 9, op. 17, op. 20) che per molte caratteristiche - lo schema in quattro movimenti anziché in cinque, la dialettica fra i differenti strumenti - costituivano un progressivo distacco rispetto al passato.

Le novità arrivano soprattutto con i sei Quartetti dell'op. 20, scritti nel 1772 e detti "Sonnenquartette" (Quartetti del sole) dall'illustrazione in copertina di una ristampa del 1779 - effettuata a Berlino per i tipi di Kummel - che effigiava un sole sorgente. Il Quarto Quartetto della raccolta, in re maggiore, esemplifica forse ancora meglio degli altri la ricerca compiuta dall'autore. In tutta la partitura è evidente il tentativo di svincolare secondo violino, viola e violoncello dal ruolo di accompagnamento, e di donare loro un autonomo rilievo melodico, anche se non c'è ancora quel continuo scambio di ruoli proprio della produzione matura dell'autore. Importante è poi la scelta di conferire a ciascuno dei quattro movimenti un carattere estremamente definito: un primo tempo di impostazione "sinfonica", un tema con variazioni, un minuetto "alla zingarese" e un finale più disimpegnato.

L'Allegro di molto che apre il Quartetto «rivela un'assimilazione magistrale della retorica, della sonorità, della equilibrata distribuzione delle parti e del linguaggio sinfonico» (David Wyn Jones). Il primo tema, lunghissimo, si basa su cinque frasi regolari; si inseriscono poi elementi contrastanti, ma sempre in un clima di eloquenza e sofisticata disinvoltura. La sezione dello sviluppo acquista connotazioni espressive malinconiche e contempla una falsa ripresa. Per la prima volta nella quartettistica di Haydn il secondo tempo segue lo schema del tema con variazioni; il tema, di vasta articolazione, è in minore, e le variazioni si susseguono dando spazio alle formule più elaborate, e anche alla voce solistica del violoncello. La quarta variazione sfocia in un'ampia coda. Il Minuetto, con i suoi ritmi spostati e gli sforzati che vogliono definire il carattere "alla zingarese" è estremamente lontano dal modello galante. E elementi del folklore magiaro non mancano nemmeno nel finale, un Presto e scherzando in forma sonata di impostazione brillante e ricco di una interna dialettica.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 2 febbraio 2007
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 marzo 1995


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Ultimo aggiornamento 13 aprile 2013