Missa in Angustiis (Nelsonmesse)

Messa in re minore per soli, coro e orchestra, Hob:XXII:11

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto a quattro voci, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi e organo obbligato
Composizione: Vienna, 31 Agosto 1798
Prima esecuzione: Eisenstadt, Stadtpfarrkirche, 23 Settembre 1798
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1803
Struttura musicale

Kyrie Gloria
Credo
Sanctus Benedictus
Agnus Dei

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Haydn scrisse tredici messe in cui si avverte con plastica evidenza l'evoluzione costante della personalità del musicista, il quale assomma in sé l'antico e il nuovo che fermentava nell'arte del suo tempo. Le prime due composizioni del genere, la Missa Rorate coeli desuper in sol maggiore e la Missa brevis in fa maggiore rientrano senza alcuna difficoltà nella classificazione della musica religiosa austriaca concepita secondo la tradizione: l'autore aveva appena diciotto anni e non. poteva che seguire le regole vocali e strumentali già utilizzate da altri artisti. Una maggiore varietà tecnica ed estetica, specie nella parte riservata al canto, si può riscontrare nella Missa Sanctae Caeciliae in do maggiore (1769-1773) e nella Missa Marìazell in do maggiore, così chiamata perché composta per il monastero di Mariazell (1782), ma la maturità di Haydn in questo campo appare evidente nel gruppo delle sei messe solenni, tra le quali spiccano per grandiosità e ampiezza di costruzione, con l'uso più incisivo e vibrato dell'orchestra, la Missa in tempore belli in do maggiore, detta anche Paukenmesse (Messa dei timpani) del 1796, la Missa in angustiis in re minore, conosciuta pure come Nelson-Messe, del 1798, la Theresien-Messe in si bemolle maggiore del 1799, la Schöpfungs-Messe (Messa della creazione) in si bemolle maggiore del 1801 e l'Harmoniemesse in si bemolle maggiore rispettivamente del 1764 e del 1800, il poderoso Stabat Mater con orchestra e organo (1773), e il brano carico di dolente religiosità Die Sieben Worte des Erlösers am Kreuze (Le sette paróle del Redentore sulla Croce), composto su sette frasi ricavate dai Vangeli per celebrare i funerali di Cristo e realizzato musicalmente con austerità e nobiltà di sentimenti.

Alla Missa in angustiis, oggi in programma, Haydn lavorò dal 10 luglio al 31 agosto del 1798; l'esecuzione ebbe luogo per la prima volta alla metà di settembre dello stesso anno nella cappella di Eisenstadt e per il genetliaco della principessa Maria Hermenegilda, moglie del conte Nikolaus II Esterazy. Pur rinchiuso tra le mura della sua tranquilla operosità di artigiano della musica, Haydn non manca di esprimere in questa Messa in re minore le preoccupazioni e le apprensioni causate dalle guerre napoleoniche, che per lui stavano a rappresentare il capovolgimento dell'ordine costituito in Europa, nel nome dei principii della Rivoluzione francese guardata con sospetto e diffidenza. E' indicativo il sottotitolo di Nelson-Messe, in quanto proprio il 1° agosto 1798 l'ammiraglio inglese Nelson aveva vinto temporaneamente l'armata napoleonica ad Aboukir, senza tuttavia fermare l'avanzata dei piani di conquista dell'Europa da parte dell'imperatore francese. Forse in quel momento Nelson stava a significare per il musicista il ritorno all'ancien régime e il simbolo coagulante del pensiero e delle forze della vecchia e amata civiltà, minacciata dalle teorie letterarie e filosofiche dello Sturm und Drang. Naturalmente qui come in tutta la sua opera Haydn, sempre sospinto da una visione serena e fiduciosa della vita, non vuole contrapporre un credo politico ad un altro, ma esprimere in termini musicali la propria ansia e le proprie «angustie» per il dilagare delle guerre nel cuore dell'Europa. Del resto questo stato d'animo si concretizza formalmente con alcune sottolineature di trombe e di rulli di tamburo, miranti a richiamare l'attenzione su una realtà drammatica, ma non chiusa ad un avvenire di pace.

Per il resto la Missa in angustiis è un blocco di lodevole fattura e di solida struttura, in una dialettica alternanza tra omofonia e polifonia, tra squarci solistici e corali, in cui svolge un ruolo determinante la grande esperienza sinfonica haydniana. Tutto si muove e si articola fluidamente, guidato da una mano pronta e sicura, capace di unire e saldare fra di loro i vari temi ed episodi vocali e strumentali, nel pieno rispetto di ciò che viene definito il classicismo in musica, alla cui base c'è l'idea della forma-sonata, intesa come sviluppo organico di un unico pensiero musicale. Non c'è dubbio che anche da questa Messa si sprigiona un sentimento tonificante e rasserenante della vita, come riconobbe Goethe, scrivendo in «Kunst und Alterthum» (Arte e antichità) che «la pratica e l'audizione delle sue opere [di Haydn] hanno sempre comunicato una sensazione di pienezza». «Poiché Haydn - annotò il creatore del Faust - è nostro, figlio delle nostre contrade, che crea con naturalezza la musica. Temperamento, sensibilità, spontaneità, dolcezza, forza, infine le due caratteristiche stesse del genio, ingenuità e ironia: tutto questo appartiene a lui. Se. tutto ciò, inconcepibile senza un profondo calore umano, è l'elemento costitutivo del suo essere, salutiamo la sua arte come antica nel miglior senso della parola... Tutta la musica moderna si basa su di lui. Ho sempre desiderato di poter dire sinceramente e calorosamente come sento, che l'accordo perfetto che esprime il suo genio non è che la tranquilla risonanza di un'anima nata libera, chiara e casta. Le sue composizioni sono il linguaggio ideale della verità: ciascuna delle sue parti è necessaria ad un insieme di cui essa è aspetto integrante, pur vivendo della propria vita ».

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Messa risalente al 1798 deve essere annoverata fra le composizioni vocali sacre, più importanti dell'ultima fase creativa del musicista, insieme cioè con quella «summa» costituita dai due Oratori della «Creazione» e delle «Stagioni» (1798-1801).

Haydn che aveva da poco riscosso, durante la sua seconda visita a Londra, un successo trionfale con le ultime «Sinfonie londinesi» presso l'Opera-Concerts, prese ugualmente la decisione di tornare a Vienna, invitato dal nuovo principe Nicola II (nipote di Nicola il Magnifico] il quale era stato indotto a questo gesto da motivi forse più di prestigio sociale che strettamente musicali. Il lavoro era adesso meno oneroso che nel passato: riprendere la direzione della Cappella e scrivere una messa l'anno per la moglie del principe, Maria Hermenegild, buona dilettante di musica e grande ammiratrice di Haydn. Nicola II aveva invece un solo interesse nel campo musicale, quello del genere sacro; per il resto mancava assolutamente di gusto e di conoscenza specifica, tanto che Haydn - il quale non passa certo alla storia per atti di insubordinazione o di collera verso i suoi mecenati - si vide una volta costretto a rispondergli: «da domani, sia chiaro, sarò io a decidere». La nuova sede estiva designata dal nobile protettore divenne Eisenstadt (il resto dell'anno veniva trascorso a Vienna) e fu così che la splendida residenza di Esterhaz, a suo tempo trasformata da Nicola I in una seconda Versailles, rimase abbandonata. In questa cittadina la Messa in re minore ebbe la sua prima esecuzione il 23 settembre 1798. Uno degli aspetti più interessanti delle sei messe composte da Haydn in questo periodo (1796-1802) — oltre la «Nelson-Messe» ricordiamo la «Paukenmesse», «Heiligemesse», «Theresien-Messe», «Schöpfungs-Messe», «Harmoniemesse» — è la straordinaria sintesi raggiunta fra i diversi elementi: stilemi barocchi, forma-sonata, forme concertanti. Le voci poi vengono trattate in modo vario offrendo una grande articolazione espressiva: vocalizzi del solista — mutuati dal fiorito stile operistico —, il quartetto vocale, il coro, oppure entrambi questi ultimi che si intrecciano in composite e ricche figurazioni. Il perfetto equilibrio raggiunto da Haydn nel campo dell'orchestrazione e dell'armonia con le «Sinfonie londinesi», è reperìbile nella stessa struttura di queste messe, tanto da farle definire «Sinfonie per coro e orchestra sul testo della Messa». I nessi con la forma-sonata sono chiaramente rinvenibili nel «Kyrie»; «Gloria» e «Credo» si articolano in modo tripartito, mentre il «Dona nobis» denuncia un rigoroso lavoro tematico: tutto insomma rivela in modo esplicito — in virtù di una complessa architettura formale — l'Haydn sinfonista che si piega con estrema duttilità al testo liturgico, sortendo risultati di alta potenza drammatica.

L'autografo della «Nelson-Messe» — la quarta delle ultime messe — ora in possesso della «Oesterreichische Nationalbibliothek» riporta come titolo quello semplice di «Missa», ma l'anonimo compilatore di «Ueber Musik und Schaunspielkunst in Wien» (1800), indica con maggior chiarezza l'origine del sottotitolo «Nelson-Messe». Egli ricorda infatti una esecuzione della Messa nella «Schottenkirche» e, giunto alla descrizione del singolare uso delle trombe nel «Benedictus», così racconta: «Il dignitoso vegliardo aveva appena iniziato a comporre il 'Benedictus' che si presentò alla corte del principe Esterhazy un nunzio, per comunicargli la vittoria di Nelson sui francesi. Fu allora che nella fantasia di Haydn si accese l'immagine di questo messaggero che gridava l'evento e le trombe obbligate (tre trombe all'unisono) devono essere riferite a questo avvenimento ». Si tratta, com'è noto, della sconfitta della flotta francese ad Abukir da parte dell'ammiraglio inglese Nelson avvenuta fra il 1° e il 3 agosto 1798; stando alle notizie del biografo Griesinger il musicista l'avrebbe scritta in appena un mese dal 10 luglio al 31 agosto dello stesso anno. Ciò dimostra più che una pronta ricettività alle vicende storiche del suo tempo, un moto di spontanea ed entusiastica adesione alla figura dell'eroe inglese; in questo senso il lavoro può essere confrontato con il successivo «inno» celebrativo del «Wellington's Sieg» di Beethoven (1813).

Per la «prima» avvenuta nella Bergkirche di Eisenstadt dall'organico (tre trombe, timpani, archi e organo) erano stati omessi i fiati, ma per ragioni strettamente contingenti, dovute cioè al licenziamento da parte del principe Esterhazy di alcuni esecutori. Tuttavia, quando nel 1800 la Cappella si arricchì di otto nuovi elementi, è probabile che Haydn riuscisse a dirigere l'opera così come si pensa l'avesse ideata (cioè con i fiati), se dobbiamo dar credito alla lettera scritta da Griesinger all'editore Härtel (4 dicembre 1802) in cui si legge che il ridotto organico era stata una necessità, un ripiego. Questa esecuzione avvenne in presenza dello stesso Nelson e di Lady Hamilton, ospiti della Corte. Le fonti collazionate dal musicologo Günther Thomas per lo «Joseph Haydn Institut» di Colonia, parlano anche di una strumentazione più ricca che l'aiuto di Haydn, Johann Nepomuk Fuchs, vice maestro della Cappella, responsabile dell'Orchestra e della musica religiosa, avrebbe in seguito elaborato.

Il «Kyrie», costruito nella forma-sonata, apre con timpani e ottoni che scadiscono sulla compagine orchestrale il senso di un'imperiosa fatalità, mediante la reiterazione di una cellula ritmica. Dopo l'inizio dei «Tutti» che procedono per salti di ottava e per gradi congiunti, secondo un compatto andamento marziale, il soprano solo svetta in agili vocalizzi che si trasmettono — ma questa volta meno accentuati — all'intero coro. Verso la fine alla voce del soprano solo si uniscono quella del contralto e del tenore sull'accordo perfetto di re minore; la conclusione con i «Tutti» all'unisono, sigilla la concezione unitaria dell'impianto.

L'«Allegro» del «Gloria» nella sua tipica forma tripartita è intonato inizialmente dal soprano, quindi dal coro; successivamente alle parole «in ex[celsis]» la voce si dispiega in valori più lunghi che suggeriscono il senso di una inquietante attesa. Giunti al «Laudamus Te, Benedicimus Te, Adoramus Te» il coro acquista toni di dolorosa contrazione, intramezzato com'è da pause e in «sforzato». Riappare poi lo stesso disegno iniziale, tipicamente mozartiano, — prima del soprano — che ora passa al contralto. Nell'«Adagio» la voce del basso dialoga con gli archi mentre i violini primi sviluppano dolci e sinuosi passaggi virtuosistici. L'intervento del soprano («suscipe») alternato al sommesso andamento dei «Tutti» su crome ribattute («deprecationem nostram») determina un'evidente accentuazione drammatica, che si estende sino alla fine del «Qui tollis». L'«Allegro» («Quoniam») è la ripresa della prima parte del «Gloria», prima con marcati effetti di eco nell'alternanza Solo-Tutti, successivamente in stile fugato.

L'«Allegro con spirito» del «Credo» — anch'esso tripartito — è svolto a canone; dell'«Incarnatus est» va isolata in particolare la sezione conclusiva alla quale i corni conferiscono una tinta dolorosa e cupa che si trasmette in pianissimo, come sfumata, al coro («crucifixus, passus et sepuitus est»). «Et resurrexit», dal ritmo giubilante, si colora di accentuati contrasti chiaroscurali (piano-forte) che ribadiscono sull'«amen» la gioiosa certezza della resurrezione.

L'uso del crescendo-decrescendo caratterizza l'«Adagio» del «Sanctus» e l'intervento del basso, che si introduce sul pianissimo del coro («Domìnus Deus Sabaoth») con un disegno melodico ricco di pathos, anticipa il brillante «Allegro».

Un afflato epico e cosmico è la chiave del «Benedictus» che, come abbiamo già accennato, include i famosi segnali di trombe e di rulli di tamburo che Redlich considera anticipatori della «musica militare» nell'«Agnus Dei» della «Missa Solemnis» di Beethoven (1823). L'«Agnus Dei» che inizia con una breve introduzione sinfonica («cantabile») chiude in un'ariosa cornice haendeliana, dimostrando ancora una volta quanto la profonda impressione destata dall'ascolto degli oratori di Haendel (1791) abbia proficuamente influenzato e arricchito le composizioni vocali sacre di Haydn risalenti a questo periodo.

Fiamma Nicolodi


Testo

KYRIE
Kyrie eleison.
Christe eleison.
Kyrie eleison.

GLORIA
Gloria in excelsis Deo. Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamus te. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te.
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens. Domine Fili unigenite, Jesu Christe. Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
Qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram.
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
Quoniam tu solus Sanctus, Tu solus altissimus, Tu solus DominusJ.
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.

CREDO
Credo in unum Deum, factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium; et in unum Dominum Jesum Christum, Filìum Dei unigenitum et ex Patre natum ante omnia saecula, Deum de Deo, lumen de lumina, Deum verum de Deo vero, genitum, non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt; qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis.
Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est.
Crocifixus etiam pro nobis: sub Pontio Pilato, passus et sepultus est.
Et resurrexit tertia die, secundum scripturas, et ascendit in coelum, sedet ad dexteram Patris; et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos, cujus regni non erit finis.
Et in Spiritum Sanctum Dominum et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit, cui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur.
Qui locutus est per Prophetas; et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam.
Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et expecto resurrectionem mortuorum. Et vitam venturi saeculi. Amen.

SANCTUS
Sanctus, Sanctus, Sanctus
Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt coeli et terra gloria tua.
Osanna in excelsis.

BENEDICTUS
Benedictus qui venit
in nome Domini.
Osanna in excelsis.

AGNUS DEI
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,
miserere nobis.
Dona nobis pacem.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 20 Dicembre 1980
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 10 dicembre 1974


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Ultimo aggiornamento 25 ottobre 2019