"Sancti Bernardi von Offida" (Heiligmesse)

Messa in si bemolle maggiore per soli, coro e orchestra Hob:XXII:10

Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto a quattro voci, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi e continuo (organo)
Composizione: 1796
Prima esecuzione: Eisenstadt, Bergkirche dell'Eszterháza Theater, 13 Settembre 1796
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1802
Struttura musicale

Kyrie - Adagio (si bemolle maggiore). Allegro moderato

Gloria
Credo
Sanctus
Benedictus - Moderato (mi bemolle maggiore)

Agnus Dei

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dopo i cinque anni trascorsi prevalentemente in Inghilterra nel corso dei due successivi e trionfali viaggi che videro fra l'altro la nascita delle Sinfonie "Londinesi" e della Sinfonia concertante, Haydn fece ritorno a Vienna nell'agosto 1795, riprendendo le sue funzioni di Kapellmeister presso gli Esterházy; egli, d'altronde, non si era mai licenziato dall'incarico, ma aveva solamente ottenuto un periodo di congedo. Tuttavia, alle dipendenze del nuovo principe Nicolaus II, succeduto al fratello Anton, il suo ruolo fu più formale che sostanziale; l'unico impegno contrattuale che gli venne richiesto fu quello di scrivere ogni anno una Messa da eseguirsi in settembre presso la residenza estiva di Eisenstadt (gli Esterhàzy avevano abbandonato la residenza di Esterhàza, e vivevano a Vienna) in occasione dell'onomastico della consorte del principe, la principessa Maria Ermenegilda. È dunque in questo contesto che nascono, fra il 1796 e il 1802, sei differenti Messe, che costituiscono, insieme agli Oratori Die Schöpfung e Die Jahreszeiten, i frutti più complessi della tarda creatività dell'autore, ormai del tutto disimpegnato sul fronte della Sinfonia: la Missa Sancti Bernardi von Offida o Heiligmesse (1796), la Missa "in tempore belli" o Paukenmesse (1797), la Missa "in angustiis" o Nelsonmesse (1798), la Theresienmesse (1799), la Messa della Creazione (1801) e la Harmoniemesse (1802). Si è a lungo discusso sull'ordine di composizione delle prime due Messe, entrambe datate 1796 sull'autografo; tuttavia è ormai certo che la Missa "in tempore belli" venne ascoltata nel 1797 presso la Bergkirche di Eisenstadt, mentre la Heiligmesse fu eseguita nello stesso luogo un anno prima, il 12 settembre 1796, nel giorno onomastico della principessa. Tuttavia Haydn ritenne di dover ritoccare l'anno seguente la partitura; una migliore conoscenza dei componenti dell'orchestra impegnata presso gli Esterhàzy lo stimolò a rendere più complesse le parti di clarinetti e trombe.

Di fatto, questo straordinario impegno nel campo della Messa trova pochi paragoni fra i compositori del tempo. A quattordici anni di distanza dal suo ultimo lavoro del genere, la Mariazeller del 1782, Haydn crea sei vaste e diversissime partiture, per comprendere le quali occorre tenere presenti, da una parte, il rispetto di consolidati stilemi della musica sacra cattolica, e, dall'altra, l'approccio razionale e sereno di Haydn alla religiosità. Esse appartengono infatti al tipo della Messa-Cantata, in cui ogni parte dell"'Ordinarium Missae" (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus, Agnus Dei) viene divisa al proprio interno in differenti sezioni fra loro contrastanti, affidate a una vasta orchestra, coro, e quattro solisti di canto. Del tutto piena e convinta è l'adesione di Haydn al cosiddetto stilus mixtus, ovvero lo stile della Messa concertata napoletana, che alternava brani in stile "antico" e contrappuntistico - riservati a determinati momenti topici della Messa - ed altri in stile "moderno" e profano; il risultato è quello di una interpretazione attenta non alla lettera del testo ma al suo valore celebrativo. L'idea della Messa come grande festa sonora, si sposa poi alla particolare religiosità di Haydn, "la cui devozione", per usare le parole di Griesinger, il primo biografo, "non fu demoralizzata o sempre penitente, ma piuttosto sorridente, riconciliatoria, credente, e la sua musica sacra rivela questo carattere". Tuttavia rispetto alla Mariazeller la sei tarde Messe mostrano maggiori ambizioni; l'esperienza londinese aveva offerto ad Haydn l'opportunità di lavorare con orchestre di vasto organico, e di maturare uno stile sinfonico estremamente ricco, variato e raffinato. Ecco quindi che nelle ultime Messe viene ridotto lo spazio assegnato ai solisti vocali, e l'orchestra viene chiamata ad esaltare la propria funzione di tessuto connettivo, mutuando dalla prassi sinfonica sia le forme, sia il principio dell'elaborazione tematica, sia lo straordinario valore espressivo della strumentazione.

A queste caratteristiche aderisce compiutamente anche la prima delle sei Messe, il cui primo nomignolo è legato alla figura di San Bernardo di Offida (1604-94), un monaco italiano che visse per decenni in povertà, impegnandosi in favore dei malati e dei miseri; venne beatificato da Papa Pio VI il 19 maggio 1795, un anno prima della stesura della Messa. Il secondo nomignolo Heiligmesse è dovuto, come si vedrà, alla presenza di una vecchia melodia ecclesiastica.

L'influenza del sinfonismo si avverte immediatamente nella partitura, fin dall'iniziale Kyrie, che, anziché essere diviso in tre sezioni ("Kyrie-Christe-Kyrie"), segue l'articolazione Adagio-Allegro moderato, propria dei primi movimenti di undici delle "Londinesi"; tuttavia, dopo la solenne introduzione, l'Allegro moderato si allontana dai principi puri del sinfonismo, avvicendando plasticamente diverse situazioni: un tema sinfonico, un complesso fugato, un tema ascendente diviso fra piano e forte (ed è la breve parentesi del Christe), un ritorno del primo tema interrotto da pause sospensive.

Il Gloria, come nelle altre Messe, si divide in tre sezioni, due sezioni giubilanti che incorniciano il centrale e riflessivo "Qui tollis". Nella prima sezione è possibile verificare come l'intonazione del testo poetico segua scelte espressive codificate da una lunga tradizione, con l'innodico scoppio iniziale cui si contrappone il meditativo "Et in terra pax". È però il "Gratias agimus tibi" il momento più alto (vengono finalmente in primo piano i solisti), per l'impiego di un contrappunto singolarmente fitto e complesso che riflette con l'altezza concettuale della scrittura il momento spirituale del testo. L'ultima sezione si chiude con la fuga, impeccabile e dinamica, sul "Cum Sancto Spiritu".

La medesima struttura tripartita del Gloria si ritrova nel Credo, cbe presenta nell'insieme una intonazione stilisticamente più arcaica, come nei ripetuti unisoni della prima sezione, che alludono al valore assiomatico delle proposizioni del testo sacro. Come sempre, la sezione dell'"Et incarnatus est", in cui si descrive il mistero del concepimento divino, è quella più studiata; Haydn sceglie qui di riprendere un suo vecchio Canone sul testo profano "Gott ini Herzen, ein gut Weibchen in Arm" ("Dio nel cuore, una buona fanciulla fra le braccia"); tre soliste femminili, e poi tre solisti maschili, intrecciano le linee del Canone, e il coro conclude la meditativa pagina. La sezione dell'"Et resurrexit" sfocia nella serrata e vasta fuga dell'"Et vitam venturi saeculi", che chiude come di prammatica l'intero Credo.

È al Sanctus che la partitura deve il nome di Heiligmesse, per la presenza, nelle voci interne del coro, di un antico tema liturgico tedesco sulla traduzione ("Heilig, heilig, heilig") del testo "Sanctus, sanctus, sanctus". A parte questo fatto, la sezione è assai succinta, e sfocia nell'Allegro, opportunamente contrastante, del "Pleni sunt coeli", con il breve fugato sull'"Osanna". Pagina di altre dimensioni e di altro spessore concettuale è il Benedictus, che può essere paragonato, formalmente, a un Andante di Sinfonia, in cui però si inseriscono la melodia vocalistica di sapore profano e i ritmi puntati baroccheggianti, in una sintesi di magistrale concentrazione espressiva; significativo che per non turbare l'esito di questa pagina Haydn abbia evitato una nuova sezione fugata per l'Osanna", applicando questo testo alla breve coda. D'altronde anche nell'Agnus Dei lievita la tensione, con una ambientazione austera, in cui il coro è accompagnato dai soli archi; l'ultima sezione, "Dona nobis pacem", si apre con una intonazione giubilante che si riallaccia al Kyrie e al Gloria, ma segue poi percorsi assai studiati, con le improvvise pause, le frasi mormorate, le lunghe corone, le armonie inattese, che attribuiscono grande varietà alla conclusione della mirabile partitura.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1790, la morte di Nicolaus I il Magnifico, principe Esterhazy, poneva termine al trentennale servizio svolto da Haydn come Kapellmeister alle dipendenze della casata. Il nuovo principe, Anton, smantellò quasi del tutto l'organizzazione musicale che sotto la guida di Haydn aveva prosperato straordinariamente, producendo concerti e spettacoli d'opera tanto a Vienna che nelle residenze estive di Eisenstadt e Esterhaz. Haydn mantenne solo nominalmente il suo incarico; la retribuzione relativa, unita al lascito del defunto Nicolaus, gli consenti di mettere finalmente a frutto, in assoluta libertà, la fama enorme che la sua attività di compositore gli aveva procurato, anche fuor dai confini dell'impero. Si stabili dunque a Vienna, alternando i soggiorni nella capitale con i due lunghi periodi trascorsi a Londra su invito dell'impresario Johann Peter Salomon (1791-92 e 1794-95): i trionfi ottenuti colà con le ultime dodici sinfonie furono sottolineati dalla nomina a «Doctor of Music» conferitagli dall'Università di Oxford. Gli anni che seguirono al suo ritorno a Vienna, fino al 1803, che vide il suo ritiro definitivo dall'attività compositiva, determinato dal rapido declinare delle sue condizioni di salute, furono per Haydn anni di tranquilla felicità creativa. Tutta Europa lo riconosceva il massimo musicista vivente; la modesta agiatezza conseguita gli consentiva di dedicarsi alla sua arte in piena libertà, obbedendo, modernamente, solo ai propri impulsi interiori. La sua produzione, in questi otto anni, si limitò a pochi, elevatissimi generi: i tre grandi oratori («Le ultime sette parole», «La Creazione», «Le Stagioni»), gli otto Quartetti delle Opp. 76 e 77 (più l'Op. 103, rimasta incompiuta), la musica sacra.

Quest'ultima rappresentava l'ultimo legame di Haydn col suo passato di compositore di corte. Il principe Nicolaus II Esterhazy, che nei '94 aveva ereditato il titolo alla scomparsa di Anton, lo aveva chiamato a riorganizzare la disciolta «Kapelle»; per quanto i rapporti personali fra Haydn e il principe non fossero dei più cordiali, la ripresa del servizio non comportava obblighi pesanti: il nuovo principe non aveva la passione per l'opera di Nicolaus I, che aveva richiesto a Haydn una ventina fra drammi e commedie, affidandogli inoltre la cura di tutte le rappresentazioni nel teatro costruito nel castello di Esterhaz; il compito di Haydn sarebbe stato adesso solo quello di sovrintendere alla gestione dell'orchestra, e di fornire ogni anno una Messa da eseguirsi il 12 settembre per l'onomastico della principessa Josepha Maria Hermengilde (che si dimostrò protettrice affettuosa negli ultimi tristi anni di Haydn). Nacquero cosi, fra il 1796 e il 1802, le sei ultime Messe di Haydn (che ne aveva già al suo attivo otto, l'ultima delle quali, la «Missa Cellensis» o «Mariazellermesse», era stata composta nel 1782): la «Missa in tempore belli» detta anche «Paukenmesse», «Messa dei timpani» (1796), questa «Missa Sancti Bernardi de Offida» (1796-97), la «Missa in angustiis» o «Nelson-Messe» (1798), la «Theresien-Messe» (1799), la «Missa Solemnis» o «Schopfungs-Messe», «Messa della Creazione» (1801), e la «Harmoniemesse» (1802), con la quale Haydn concluse, grandiosamente, la propria esperienza creativa.

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Le ultime sei Messe di Haydn costituiscono un insieme organico, meritevole di essere considerato nel suo complesso. Le circostanze esterne della loro composizione, intanto, dovettero avere una certa importanza nel determinarne l'affinità delia veste strumentale e dell'impegno vocale, trattandosi di musiche destinate tutte allo stesso complesso di esecutori e ad occasioni simili. Ma è soprattutto la loro collocazione nella storia della musica sacra, e nella stessa parabola stilistica di Haydn, ad accomunarle. Tutte le precedenti Messe di Haydn, cosi come la maggior parte della produzione sacra di Mozart, avevano recato, in misura più o meno accentuata, e con conseguenze più o meno avvertibili sul piano della qualità, il segno della crisi stilistica e linguistica attraversata dalla musica da chiesa nei decenni di mezzo del secolo. L'affermazione dello Stile Galante non aveva mancato di «contaminare» anche la musica sacra, anche se la penetrazione, ovviamente, era stata in questo campo meno irresistibile. Ne era nato un dissidio fra il dilagare del melodismo e dell'omofonia, inevitabilmente caratterizzato dal trionfo di una vocalità di precisa ascendenza operistica, che ebbe la sua più piena realizzazione nella Messa «Cantata» di stampo napoletano, basata in gran parte sull'aria solistica, e il permanere di scrupoli contrappuntistici, che elevavano un argine contro quella tendenza: nella stessa Italia per opera dei cultori dello «stile severo», come il grande polifonista padre Martini; ma soprattutto in Austria, dove la tradizione contrappuntistica che nel 1725 si era incarnata nel celebre «Gradus ad Parnassum» di Johann Joseph Fux si manteneva tuttora vitale, pur compromettendosi in concessioni allo stile operistico, nelle Messe di compositori come Johann Georg Reutter, Matthias Georg Monn, Georg Christoph Wagenseil. Il fatto risolutore di questa crisi d'identità della musica sacra fu l'innestarsi su quel connubio di arie all'italiana e di fughe più o meno scolastiche, piazzate nei luoghi dove ciò era di prammatica (nella Messa, per esempio, al versetto «Cum sancto Spiritu» a conclusione del «Gloria», o alle parole «Et vitam venturi saeculi» al termine del «Credo»), dell'esperienza capitale della musica del settecento, la creazione della forma-sonata e della tecnica di composizione fondata sull'elaborazione tematica. Di questo fenomeno, di portata incalcolabile nella storia dell'arte musicale, Haydn fu per eccellenza il rappresentante: senza inventare nulla da zero, perfezionò e condusse a piena funzionalità e organicità le forme e le tecniche che nella prima metà del secolo si erano andate coagulando, sotto la spinta, forse da nessuno avvertita chiaramente, di un'esigenza irresistibile della storia stessa; sicché della forma-sonata, e dei generi compositivi che ad essa si riconducono, potè a buon diritto essere detto il padre. Logico, di conseguenza, che l'apporto del principio sonatistico ai linguaggi ed alle tecniche della musica sacra trovasse, ancora una volta, l'estrinsecazione più compiuta proprio in Haydn; all'ombra, per cosi dire, della colossale esperienza sinfonica elaborata in quasi mezzo secolo.

Principi apparentemente inconciliabili, come quelli rappresentati dalla capillare elaborazione strutturale del contrappunto e dai predominio del fatto melodico nell'omofonia, trovarono nel sinfonismo sonatistico dell'età di Haydn un terreno d'incontro reso favorevolissimo dall'intervento catalizzatore della forma. Tutto ciò, nel campo della musica da chiesa, dette i massimi risultati in un genere di Messa sinfonico-corale, dove la partecipazione delle voci soliste era drasticamente ridotta, rinunciando alle arie e ai duetti della Messa napoletana in favore di una semplice - e sporadica - contrapposizione fra il gruppo dei soli, espressi, con tutta probabilità, dalla stessa massa corale, e il «tutti», con netto predominio di questo. Un impianto formale molto solido reggeva le diverse sezioni, applicando con relativa libertà gli schemi stessi alle varie parti dell'«Ordinarium Missae», e fondendo grazie alla minuziosa rifinitura della costruzione la facilità tipicamente austriaca di un'invenzione melodica di ispirazione popolare con le architetture poderose di un contrappunto che non era meno arduo per essere rivestito di suprema eleganza di stile. Maturato attraverso le prove anteriori al 1782 (l'anno della «Mariazellermesse», che concludeva la prima serie delle Messe haydniane), nelle quali ancora restava spazio, come avveniva anche nelle Messe di Mozart, per escursioni in un virtuosismo vocale di marca operistica, questo modello trovò perfetta e felicissima applicazione nelle sei Messe fornite al principe Nicolaus II; ad esso avrebbe guardato Beethoven, ricalcandolo, nel 1806, nella Messa in do maggiore (pure questa scritta per l'onomastico della principessa Esterhazy]: la stessa «Missa Solemnis», pur nel suo inaccessibile isolamento spirituale e linguistico, ci parrebbe impensabile senza il precedente di questi sei capolavori.

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La «Missa Sancti Bernardi de Offida» porta il nome di un pio cappuccino (1604-94), ricordato per la santità della vita e la carità verso i poveri e i sofferenti, che era stato beatificato da Pio VI appena il 19 maggio 1795, e la cui ricorrenza cadeva l'11 settembre, vigilia dell'onomastico della principessa; il soprannome di «Heiligmesse», con cui è meglio conosciuta, le deriva dall'impiego, al «Sanctus», della melodia dell'inno «Heilig, heilig, heilig» (appunto «Santo, santo, santo»), ben nota nei paesi tedeschi. La sua composizione venne intrapresa da Haydn nell'autunno del 1796, al suo ritorno a Vienna da Eisenstadt, dove aveva appena eseguito la «Missa in tempore belli»; un anno dopo, il 12 settembre 1797, anche la «Missa Sancti Bernardi» aveva la sua prima esecuzione nella Bergkirche di Eisenstadt. In occasione di successive esecuzioni, sempre ad Eisenstadt, alla partitura, che prevedeva accanto ai quattro solisti (portati a sei nell'«Incarnatus») e al coro misto un'orchestra composta da coppie di oboi, clarinetti, fagotti e trombe, oltre agli archi, ai timpani e all'organo, furono aggiunti da Haydn stesso, o più probabilmente con la sua approvazione, due corni, mentre vennero considerevolmente ampliate le parti dei due clarinetti. Pubblicata a Lipsia da Breitkopf & Härtel nel 1802, la «Heiligmesse» ha avuto nel 1958 un'edizione critica condotta da H.C.R. Landon sull'autografo conservato alla Deutsche Staatsbibiiothek di Berlino e sul materiale d'esecuzione giacente negli archivi di Eisenstadt.

Quasi come un primo tempo di sinfonia, il «Kyrie» si apre con una introduzione lenta, «Adagio», dove agli accenti del coro accrescono solennità gli accordi del «tutti» orchestrale, scanditi da trombe e timpani. L'«Allegro moderato» che segue presenta dapprima una melodia scorrevole, articolata in periodi di quattro misure, a mo' di primo tema; a questa succede un'ampia fuga, interrotta solo brevemente al «Christe eleison». Una ripresa del tema iniziale sfocia in una coda densa ed imponente.

Il «Gloria» è suddiviso in tre sezioni. La prima, in tempo «Vivace», muove dallo scatto ritmico di trombe e timpani per concludersi al «glorificamus te» nel rinnovato clangore del «tutti» strumentale e del coro. La seconda è un esteso «Allegretto» in sol minore (in contrasto col si bemolle maggiore in cui, al pari dì quasi tutte le altre sezioni della Messa, è impiantato il «Gloria», di libera struttura contrappuntistica, a sua volta diviso in due sezioni: nella prima dialogano le quattro voci soliste, mentre nell'altra il «tutti» corale si dipana in robuste articolazioni ritmiche. La terza ed ultima parte del «Gloria», «Quoniam tu solus sanctus», torna nella tonalità iniziale di si bemolle e si trasforma presto in una grandiosa fuga doppia, ampiamente sviluppata («In gloria Dei patris»).

Il «Credo» presenta un itinerario tonale abbastanza ricercato. Al primo «Allegro» corale, ancora in si bemolle, succede un «Adagio» in mi bemolle maggiore, «Et incarnatus est», con sei solisti (due soprani, contralto, tenore, due bassi): dapprima le tre voci femminili intrecciano un breve canone (che fu utilizzato da Haydn anche per musicare un testo di ispirazione senz'altro profana); quindi gli altri tre solisti intonano in mi bemolle minore il «Crucifixus», alternandosi al «tutti» che conclude nuovamente in maggiore. La terza parte, «Et resurrexit», in tempo «Allegro», muove da do minore per fermarsi, alle parole «et iterum venturus est», sulla dominante di sol minore, che risolve, inaspettatamente, su uno sfolgorante accordo di si bemolle maggiore di tutta l'orchestra, alla parola «judicare»; l'episodio che qui si apre lascia ancora ampio spazio al sol minore, e si conclude su una modulazione a re. La quarta ed ultima parte del «Credo», «Et vitam venturi saeculi», è, ancora una volta, una grande fuga doppia; il tempo è «Vivace assai», la tonalità quella generale di si bemolle.

Il «Sanctus» consta di un breve «Adagio», basato sull'inno «Heilig, heilig» che dà il soprannome alla Messa, e di un « Allegro», «Pleni sunt coeli et terra», dal quale sgorga il breve «Osanna» fugato.

Il «Benedictus» in mi bemolle è un brano di ampie proporzioni, aperto da una introduzione strumentale, ed elaborato distesamente su un ricco materiale melodico di fluida cantabilità, con largo spazio alle effusioni di violini e clarinetti.

L'«Agnus Dei» si apre con un cupo «Adagio» in si bemolle minore, tonalità allora inavvicinabile per gli strumenti a fiato, che infatti cedono il campo, agli archi; in maggiore è invece il «Dona nobis pacem» che conclude la Messa con l'obbligatorio trionfalismo: vi è largamente impiegato uno degli stilemi caratteristici della musica sacra austriaca del tempo, di cui si fa comunemente risalire la paternità a Reutter, ossia l'uso di contrappuntare di rapide figurazioni dei violini i blocchi accordali del coro, espediente che assieme alle fanfare delle trombe e dei timpani conferisce alla pagina il colorito necessario, ad un tempo marziale e brillante.

Daniele Spini

Testo

KYRIE
Kyrie eleison.
Christe eleison.
Kyrie eleison.

GLORIA
Gloria in excelsis Deo. Et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Laudamus te. Benedicimus te. Adoramus te. Glorificamus te. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens. Domine Fili unigenite, Jesu Christe. Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris. Qui tollis peccata mundi, miserere nobis. Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram. Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis. Quoniam tu solus Sanctus, Tu solus Dominus. Tu solus altissimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.

CREDO
Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum Jesum Christum, Filìum Dei unigenitum. Et ex Patre natum ante omnia saecula. Deum de Deo, lumen de lumina, Deum verum de Deo vero. Genitum, non factum, consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt. Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis. Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est. Crocifixus etiam prò nobis: sub Pontio Pilato passus, et sepultus est. Et resurrexit tertia die secundum Scripturas. Et ascendit in coelum: sedet ad dexteram Patris. Et iterum venturus est cum gloria judicare vivos et mortuos: cujus regni non erit finis. Credo in Spiritum Sarrctum, dominum, et vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit. Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per Prophetas. Credo in unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma in remissionem peccatorum. Et expecto resurrectionem mortuorum. Et vitam venturi saeculi. Amen.

SANCTUS
Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt coeli et terra gloria tua.
Osanna in excelsis.

BENEDICTUS
Benedictus qui venit in nome Domini.
Osanna in excelsis.

AGNUS DEI
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Novembre 2004
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Siena, Cattedrale, 27 luglio 1979


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Ultimo aggiornamento 17 novembre 2019