Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello ed orchestra, Hob:VIIb:2


Musica: Franz Joseph Haydn (1732 - 1809)
  1. Allegro moderato
  2. Adagio (la maggiore)
  3. Rondò. Allegro
Organico: violoncello solista, 2 oboi, 2 corni, 2 violini, viola, basso continuo
Composizione: 1783
Edizione: Vernay, Parigi, 1803
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Franz Joseph Haydn è considerato il padre della sonata classica, della sinfonia e del quartetto. La forma del concerto solistico, invece, non rappresentò mai per lui un terreno di ricerca e di sperimentazione (come per Mozart i concerti per pianoforte), e rimase piuttosto legata alle convenzioni del genere. I circa cinquanta concerti per diversi strumenti solisti che compaiono nel catalogo di Haydn furono infatti scritti per le esigenze della vita musicale di corte nel periodo, compreso tra il 1761 e il 1790, in cui egli fu al servizio dei principi Esterhàzy - prima di Paul Anton, poi del fratello Nicolaus, soprannominato "il magnifico" -. Tuttavia anche attraverso queste composizioni si può cogliere l'evoluzione del suo linguaggio musicale e individuare, soprattutto negli ultimi concerti, alcuni caratteri tipici del suo stile, come l'immediatezza plastica dei temi, la ricerca di arditi contrasti armonici e timbrici, la grande carica comunicativa. I concerti portano anche il riflesso di molte conquiste compiute in campo sinfonico: oltre al principio della qualità tematica, Haydn, che fu sempre molto attento a tutto quello che avveniva anche fuori dai confini dell'Austria, introduce tutte le innovazioni di scrittura strumentale della "scuola di Mannheim", come l'uso del crescendo e del diminuendo e tecniche esecutive come il tremolo e il pizzicato.

Al servizio degli Esterhàzy Haydn compose due concerti per violoncello - strumento che fino a quel periodo era piuttosto trascurato come solista. Solo pochi compositori, tra i quali Boccherini, lo avevano introdotto come protagonista nelle loro composizioni - a distanza di circa venti anni: il primo, in do maggiore (Hob. VII b/1), composto presumibilmente tra il 1762 e il 1765 - l'autografo di questo concerto fu ritrovato solo nel 1961 - e il secondo in re maggiore (Hob. VII b/2), che risale al 1783 ed è uno degli ultimi concerti composti da Haydn. Questi due pezzi appaiono stilisticamente molto diversi. Se nel Concerto in do maggiore prevale ancora la logica del concerto barocco, basata sulla contrapposizione tra solo e tutti, il Concerto in re maggiore mostra una fluidità di scrittura e di idee che sembra derivare direttamente dai Quartetti op. 33, composti appena due anni prima. Pubblicato solo nel 1804 da Johann André - col titolo "Concerto per violoncello con accompagnamento d'orchestra composto da Joseph Haydn. Opera 101. Edizione dal manoscritto originale dell'autore" -, ebbe inizialmente una circolazione piuttosto limitata, ma col tempo godette di grande fortuna fino ad essere pubblicato da otto diversi editori, e ad entrare nel repertorio dei più grandi violoncellisti.

Per lungo tempo rimase aperta la questione della sua paternità. Nel 1837 il violoncellista Nikolaus Kraft (1778-1853) diffuse la leggenda che il concerto era stato composto da suo padre Anton Kraft (1749-1820), grande virtuoso dello strumento e membro, dal 1778 al 1790, dell'orchestra degli Esterhàzy. Era una ipotesi plausibile soprattutto per la scrittura violoncellistica, che si spingeva in tessiture acute piuttosto insolite in Haydn. La questione fu chiusa solo col rinvenimento dell'autografo firmato e datato - identificato a Vienna nel 1953 -, ma non è da escludere che Anton Kraft, oltre ad essere molto probabilmente il destinatario del concerto, possa anche aver collaborato con Haydn alla stesura della parte solistica.

Il concerto, articolato in tre movimenti, si discosta dalla logica sonatistica poiché la complessità dell'elaborazione e dello sviluppo delle idee principali è sostituita da processi di espansione ornamentale. Anche la scrittura armonica appare piuttosto elementare - confrontata ad esempio col Concerto per pianoforte composto negli stessi anni - così come l'orchestrazione, affidata ad un organico che comprende oltre agli archi solo due oboi e due corni; nel 1890 il compositore belga Franfois-Aguste Gevaert rielaborò la parte orchestrale, ed è in questa versione che il concerto è stato eseguito più spesso nel nostro secolo. Haydn concentra la sua attenzione sulla parte solistica, con una scrittura di notevoli difficoltà che tende a sottolineare le potenzialità cantabili e timbriche dello strumento, trattandolo con la stessa espressività e scioltezza del violino e sfruttando soprattutto, come abbiamo già osservato, il registro acuto.

Il primo movimento, Allegro moderato, è costruito nella tipica forma con doppia esposizione, sviluppo e ripresa. Al primo tema, aggraziato e cantabile, che è esposto subito dall'orchestra e definisce l'atmosfera di tutto il primo movimento, fa seguito un secondo motivo per terze, in la maggiore, introdotto dagli oboi e dai violini. I due temi sono poi riesposti dal violoncello, che ne accentua la contrapposizione stagliando il primo nel registro acuto e il secondo in quello grave. Nella sezione dello sviluppo prevale, sull'intreccio tematico, un principio di giustapposizione e una scrittura alquanto libera. La parte solistica, ricca di fioriture, sfoggia un grande virtuosismo e si spinge fino all'estremo limite acuto (poco prima della cadenza finale tocca il sol sovracuto, in chiave di violino).

Segue l'Adagio, un breve movimento cantabile di solo 65 battute. Le tre esposizioni del tema principale sono separate da episodi nei quali le fioriture del violoncello, rispetto all'effetto brillante che avevano nel primo movimento, acquistano il carattere di vere e proprie effusioni melodiche.

Il tema esposto dal violoncello e subito dopo dall orchestra, prende avvio da un nucleo di tre note - derivato dal tema iniziale del primo movimento - che si espande in un intenso arioso dalla grazia intima e dolente. La sua linea è spesso ripresa dall'orchestra e interrotta solo da poche battute centrali in la minore, sottolineate da un improvviso forte di tutta l'orchestra. Il concerto si conclude con un Rondò basato su un tema danzante del violoncello, in 6/8 e dal sapore vagamente popolare. Manipolando questo tema Haydn mira a creare effetti di sorpresa che ravvivano il discorso musicale - il tema viene esposto dal solista a corde doppie, slitta in re minore, riappare in una variante per terze in fa maggiore - e accentuano l'effetto della ripresa finale nella forma e nella tonalità originali.

Gianluigi Mattietti

Guida all'ascolto n. 2 (nota 2)

Composto nel 1783, il Concerto n. 2 in re maggiore fu destinato al primo violoncello dell'orchestra del principe Esterhàzy (di cui Haydn era direttore), il boemo Antonin Kraft, uno strumentista dalle qualità eccezionali. Nel 1804 fu pubblicato come op. 101, e conobbe da allora larga diffusione, tanto da sollecitare un arrangiamento per flauto ad opera di C.F. Ebers, da metterne in dubbio l'autenticità (fu attribuito, intorno al 1830, allo stesso Kraft), e da subire infine pesanti rimaneggiamenti da parte del musicologo belga Francois Gevaert verso la fine del secolo. Riconosciuto definitivamente autentico e ricondotto alla lezione originale, il Concerto appare frutto prezioso dello Haydn maturo che andava scrivendo nel medesimo periodo il celebre Concerto in re maggiore per pianoforte o clavicembalo (Hob. XVIII:11) e le sinfonie dal n. 76 al n. 81, immediatamente precedenti le "parigine". Nel Concerto in re maggiore per violoncello il discorso sinfonico presenta ormai la maturità e l'impegno anche formale della stagione creativa alle soglie della fase estrema di Haydn, giunto ormai ai cinquant'anni: una elaborazione interna del materiale di rigorosa consequenzialità razionale, e ben consolidata nei suoi schemi di fondo, ma che conserva tuttavia, fondendoli, gli slanci di libera fantasia propri dell'invenzione haydniana, affidati qui soprattutto alla parte solistica, che si sfoga virtuosisticamente nello sviluppo centrale del primo tempo e negli episodi fra una ricomparsa e l'altra del tema principale del rondò finale.

Guida all'ascolto n. 3 (nota 3)

L'arte di Haydn reca l'impronta di una mente ordinatrice, e per questo il compositore è considerato il capostipite di un'ideale "Scuola di Vienna", che la storiografia ottocentesca, specie germanica, definì col termine di "classicismo". Un celebre motto di Haydn illustra la caratteristica principale della sua arte. Nell'ambiente musicale ci si era persuasi che egli possedesse un segreto di natura matematica (era lo scientismo spicciolo, in un'epoca votata al culto dei meccanismi e degli automi), in virtù del quale gli era consentito di raggiungere la perfezione nella musica. A chi gli chiedeva quale fosse il segreto, Haydn soleva rispondere: "Cerchi, e troverà".

Il concerto come forma autonoma di espressione musicale, al di là del suo intento precipuo di esaltazione di un particolare timbro nel quadro o sullo sfondo dell'orchestra, non interessò Haydn o, per lo meno, non nella stessa misura di Mozart. Tuttavia i concerti risultano, nel catalogo di Hoboken quasi una quarantina, pur essendo alcuni andati smarriti, altri considerati apocrifi. Sono concerti per pianoforte, per violino, per violoncello, per contrabbasso, per flauto, per uno o due corni, per tromba, persino per strumenti insoliti come il baryton (una sorta di viola da gamba che amava suonare il principe Nikolaus Esterhàzy) e come la lira organizzata (un marchingegno a tastiera di origine popolare, che univa il principio dell'organo a quello della corda sfregata, di cui si dilettava Ferdinando IV re di Napoli).

Il concerto n. 2 in re maggiore per violoncello e orchestra, composto nel 1783, fu destinato al primo violoncello dell'orchestra del principe Esterhàzy (di cui Haydn era direttore) il boemo Antonin Kraft uno strumentista dalle qualità eccezionali. Nel 1804 fu pubblicato come op. 101, e conobbe da allora larga diffusione, tanto da sollecitare un arrangiamento per flauto ad opera di C.F. Ebers, da metterne in dubbio l'autenticità (fu attribuito, intorno al 1830, allo stesso Kraft), e da subire infine pesanti rimaneggiamenti da parte del musicologo belga Francois Gevaert verso la fine del secolo. Riconosciuto definitivamente autentico e ricondotto alla lezione originale, il Concerto appare nel medesimo periodo del celebre Concerto in re maggiore per pianoforte o clavicembalo (Hob. XVIII:II) e delle sinfonie dalla n. 76 alla n. 81, immediatamente precedenti le "parigine". Nel Concerto in re maggiore per violoncello il discorso sinfonico presenta la maturità e l'impegno anche formale della stagione creativa alle soglie della fase estrema di Haydn, giunto ormai ai cinquant'anni: una elaborazione interna del materiale di rigorosa consequenzialità razionale, e ben consolidata nei suoi schemi di fondo, ma che conserva tuttavia, fondendoli, gli slanci di libera fantasia propri dell'invenzione haydniana, affidati qui soprattutto alla parte solistica, che si sfoga virtuosisticamente nello sviluppo centrale del primo tempo, e negli episodi fra una ricomparsa e l'altra del tema principale del rondò finale.

Angelo Inglese


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 maggio 1997
(2) Testo tratto dal Repertorio di Musica Classica a cura di Pietro Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 31 gennaio 2002


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Ultimo aggiornamento 19 aprile 2015