Da quel giorno fatale (Delirio amoroso), HWV 99

Cantata per soprano, orchestra e basso continuo

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: Benedetto Pamphilj
  1. Introduzione - Allegro. Largo. Allegro (re maggiore)
    Oboe, 3 violini viola e basso continuo
  2. Da quel giorno fatale
    Recitativo per soprano e basso continuo
  3. Un pensiero voli in ciel - Allegro (la maggiore)
    Aria per soprano, oboe, 3 violini, viola, violoncello e basso continuo
  4. Ma fermati pensier
    Recitativo per soprano e basso continuo
  5. Per te lasciai la luce (sol minore)
    Aria per soprano, violoncello e basso continuo
  6. Non ti bastava ingrato
    Recitativo per soprano e basso continuo
  7. Lascia omai le brune vele (sol maggiore)
    Aria per soprano, flauto diritto, 2 violini e basso continuo
  8. Ma siamo giunti in Lete
    Recitativo per soprano e basso continuo
  9. Entrée (la minore)
    Oboe, 3 violini, viola e basso continuo
  10. Minuet (mi minore)
    Oboe, 3 violini, viola e basso continuo
  11. Pietà valore / In questa amena (mi minore)
    Aria per soprano, oboe, 2 violini, viola e basso continuo
  12. Si disse Clori, e se d'un sole estinto
    Recitativo per soprano e basso continuo
Organico: soprano, flauto diritto, oboe, 3 violini, viola, violoncello, basso continuo
Composizione: 1707
Edizione: Deutsche Händelgesellschaft, Lipsia, 1888
Guida all'ascolto (nota 1)

I MECENATI ROMANI DI HÄNDEL

Quando Händel giunse a Roma - all'inizio del 1707 - la musica e gli spettacoli vivevano un momento di transizione: da una parte si ripetevano periodicamente le repressioni pontifìcie e dall'altra i nobili gareggiavano nei propri palazzi per la protezione degli artisti e gli allestimenti più prestigiosi.

Gli impedimenti alle rappresentazioni operistiche erano iniziati già dal 1676 con l'avvento di Papa Innocenzo XI Odescalchi detto anche "Papa minga" (dal dialetto lombardo, luogo d'origine della famiglia) per la sua avversione agli spettacoli e alle donne cantanti.

Dopo un breve spiraglio liberale del veneziano Alessandro VIII Ottoboni (1689-1691) fu Innocenzo XII Pignatelli (1691-1700) a dare il colpo di grazia al melodramma romano: nel 1697, dopo aver nuovamente proibito le recite per la difesa della moralità pubblica, fece demolire il teatro Tordinona e due anni più tardi chiuse anche il Capranica.

Gli succedette Clemente XI Albani (1700-1721) il quale, nonostante si prodigasse in molte iniziative di valorizzazione del patrimonio artistico e culturale (a lui si devono fra l'altro i primi scavi sistematici nelle catacombe, il potenziamento della Biblioteca Vaticana, l'erezione dell'obelisco nella piazza del Pantheon e la costruzione della famosa fontana situata sotto il portico della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, meglio conosciuta come Bocca della Verità) confermò il divieto delle esecuzioni teatrali.

Ma nel privato dei palazzi la società romana continuò a dedicarsi allo spettacolo: aristocratici come la regina Cristina di Svezia, il marchese Francesco Maria Ruspoli, il duca d'Alvito e cardinali come Pietro Ottoboni (nipote di Alessandro VIII), Benedetto Pamphilj e Carlo Colonna avevano fatto delle proprie residenze dei veri punti di riferimento per la promozione della cultura musicale.

Fra l'altro l'appartenenza di molti di loro all'Accademia dell'Arcadia faceva sì che essi contribuissero fattivamente alla creazione artistica dilettandosi a scrivere i testi per le Opere, gli Oratori, le Serenate e le Cantate che si rappresentavano. E uno dei maggiori mecenati - librettista fu proprio l'Ottoboni il quale, presso la sua piccola corte situata nel Palazzo della Cancelleria, ospitò compositori quali Arcangelo Corelli (al quale affidò la direzione musicale) e Alessandro Scarlatti (per il quale scrisse i libretti della Statira, della Cantata dell'Assunta, del Trionfo della Vergine).

Questo quindi era l'ambiente che accolse Händel fra il dicembre 1706 e il gennaio 1707 ("È giunto in questa città un Sassone eccellente suonatore di cembalo e compositore di musica, il quale oggi ha fatto gran pompa della sua virtù in sonare l'organo nella Chiesa S. Giovanni con stupore di tutti", così annotava Francesco Valesio, sul suo Diario di Roma, il 14 gennaio 1707): aveva allora 22 anni ed era giunto in Italia nel mese di agosto proveniente da Amburgo. Dopo una prima tappa a Firenze (dove aveva potuto godere dell'ospitalità di Ferdinando de' Medici, mecenate illuminato oltre che reggitore del teatro costruito all'interno della sua villa di Pratolino) aveva deciso di proseguire per la città eterna. Appena arrivato non ebbe difficoltà a trovare accoglienza presso i mecenati romani a partire dal marchese Francesco Maria Ruspoli che divideva i suoi soggiorni fra Roma - a Palazzo Bonelli (edificato a partire dalla fine del Cinquecento su iniziativa del Cardinale Michele Bonelli e ora sede della Provincia) - e le ricche proprietà di Vignanello e Cerveteri (di cui fra l'altro, per volere del papa, verrà nominato principe nel 1709).

L'impossibilità di dedicarsi al repertorio operistico non scoraggiò il compositore, spronandolo invece a cimentarsi con altre forme compositive: Oratori, Inni, Mottetti sacri e soprattutto le Cantate che rappresentavano una peculiarità tipicamente italiana. E sarà un altro porporato, Benedetto Pamphili, a fornirgli i testi poetici di molti lavori fra cui il Delirio Amoroso (febbraio 1707), il Trionfo del Tempo e del Disinganno (maggio 1707), Sarei troppo felice (settembre 1707), Il Consiglio (primavera 1708). Fra i due si creò un bellissimo rapporto di stima e di amicizia, emblematicamente rappresentato proprio da una Cantata costruita su alcune entusiastiche rime del brillantissimo cardinale: "Händel, non può mia Musa / cantare in un istante / versi che degni sian della tua lira, / ma sento che in me spira / sì soave armonia che a' tuoi concenti / son costretto a cantare in questi accenti: / [...] Dunque, maggior d'Orfeo, tu sforzi al canto / la mia Musa all'ora che il plettro appeso avea / a un tronco annoso, e immobile giacea".

Il Delirio amoroso ("Da quel giorno fatale")

La datazione e la committenza dei lavori romani di Händel è tuttora oggetto di studio e negli ultimi decenni molte volte sono state corrette o ampliate le conoscenze relative a questo periodo.

La studiosa Ursula Kirkendale, in seguito a ricerche aggiuntive sui documenti di Casa Ruspoli custoditi presso l'Archivio segreto Vaticano (Händel with Ruspoli in Rome, Cerveteri, Civitavecchia, Vignanello: New Documents from December 1706 to December 1708 in "Studi Musicali" n. 2, 2003), ha fornito qualche anno fa ulteriori informazioni in grado di rimettere in discussione alcuni dati apparentemente acquisiti.

Fra questi vi è la data di arrivo di Händel a Roma che, usualmente collocata (anche in base alla testimonianza di Valesio) nel gennaio 1707, sarebbe da anticipare al dicembre 1706 in coincidenza con l'entrata in servizio del compositore presso il marchese Francesco Maria Ruspoli per il quale il "Sassone" avrebbe composto, in quei primi giorni, la sua prima Cantata "italiana" Aminta e Fillide. Nelle settimane successive poi videro la luce Donna che in ciel (eseguita forse il 6 febbraio in Santa Maria in Aracoeli per la commemorazione della liberazione della città dal terremoto del 1703) e il Delirio Amoroso su testo di Benedetto Pamphili.

Una nota delle giustificazioni di pagamento dell'archivio di casa Pamphili riporta infatti in data 12 febbraio: "Conto di copie di musica nella Cantata intitolata Il delirio amoroso p. servitio dell'E.mo Sig.re Cardinal Pamphilij Composta in musica dal S.re Giorgio Hendel, e sono le seguenti copie cioè: Per la parte che canta / per il Concertino de Violini / Violini primi e secondi di Concerto grosso / Oboe e violetta / Basso concerto grosso / Partitura della Sinfonia".

Qualche mese più avanti poi, il 14 maggio, troviamo un'altra piccola annotazione di una copia eseguita contemporaneamente a quelle per il Trionfo dei Tempo e del Disinganno: "Per l'originaletto della Cantata del Delirio Amoroso franchi 19". Potrebbe essere stata redatta in occasione della prima esecuzione, ma anche la successiva postilla sul pagamento di alcuni "virtuosi" per le loro prestazioni di maggio e giugno ("Per la Provisione del Mese di Maggio e Giugno alli seguenti Virtuosi nel 1707: S.re Perroni, S.re Antoniuccio, S.re Andreino, S.re Angelo Maria Bononcino") non ci fornisce elementi atti a confermare l'ipotesi.

Il soggetto del Delirio Amoroso è, come consuetudine del periodo, tipicamente pastorale e narra dell'infelice amore fra il pastore Tirsi e la ninfa Clori. La concezione è molto "teatrale" sia per la corposità dell'organico strumentale (con archi e fiati spesso concertanti) sia per l'articolazione strutturale che prevede, oltre all'alternanza fra Recitativi e Arie, anche l'inserimento di movimenti di danza (Minuetto, Entrée) volti proprio a rendere l'azione più dinamica.

Dopo una Ouverture orchestrale il cui tema è affidato allo strumento bucolico per eccellenza, l'oboe, tocca ad un Recitativo - "Da quel giorno fatale" - introdurre la vicenda: Tirsi, che ha disprezzato l'amore di Clori, è morto e la ninfa, in preda alla disperazione, sogna di recarsi nell'Averno per rivederlo.

La voce della protagonista entra in "scena" presentata da un violino concertante che con i suoi arabeschi "disegna" le prime parole dell'Aria "Un pensiero voli in ciel". E tutta questa lunghissima pagina (ben 9 minuti) è costruita sul dialogo incessante fra le due linee melodiche: il canto si libra in gorgheggi pirotecnici e lo strumento riprende le parabole ascendenti con virtuosi slanci. Il tutto in una splendida simulazione "affettiva" dell'immagine retorica, capace di restituire sia il senso dell'ascesa sia quello della caduta (con la parte centrale "Se in Averno è condannata" in tessitura più grave e sottolineata dai bassi dell'orchestra).

Ma giunta nel "regno delle pene" Clori scopre che Tirsi le sfugge anche lì: il suo concitato Recitativo "Ma fermati, pensier" (con un madrigalismo sulle parole "Sì, sì, rapida io scendo" rese da una veloce scalettina discendente) è il preludio della incantevole e commuovente "Per te lasciai la luce" sostenuta da un accorato violoncello. E il contrasto tra gli aerei ricami vocali e il pastoso suono dello strumento dona a tutta la pagina un'aura di rassegnata malinconia.

Dopo l'acuta delusione la ninfa invita il suo diletto a seguirla ai Campi Elisi con la rinnovata speranzosa "Lascia ornai le brune vele" accompagnata da un esuberante flauto dritto. Ma sulle sponde del Lete l'azione si ferma per lasciare spazio alla visione estatica delle anime amanti: l'intermezzo cameristico è affidato a due danze - Entrée e Minuetto - le quali però, nonostante loro dinamica ritmica, sono caratterizzate da una serietà d'intenti. Severità che continua anche nella successiva riflessione di Clori "In queste amene piagge serene". La "morale" della vicenda è affidata a due frasi di Recitativo "... e se d'un sole estinto più non vide il bel lume, lo vide almen per fantasia dipinto" suggellato dalla ripresa del tema del Minuetto strumentale che inaspettatamente chiude la Cantata.

Laura Pietrantoni

Testo

IL DELIRIO AMOROSO
Testo di Benedetto Pamphili

N. 1 - Introduzione

N. 2 - Recitativo
Da quel giorno fatale,
che tolse morte il crudo Tirsi a Clori,
ella per duolo immenso,
sciolto il crin, torvo il guardo,
incerto il piede, par ch'abbia in sé
due volontà, due cori.
E del chiaro intelletto,
per gran fiamma d'amor, turbato il raggio,
ora s'adorna, ora del crin negletto
fa dispettoso oltraggio;
e varia nel pensier, ma sempre bella,
agitata, così seco favella:

N. 3 - Aria
Un pensiero voli in ciel,
se in cielo è quell'alma bella,
che la pace m'involò.
Se in Averno è condannata
per avermi disprezzata,
io dal regno delle pene
il mio bene rapirò.

N. 4 - Recitativo
Ma fermati, pensier,
purtroppo è vero
che fra l'ombre d'Averno
è condannato per giusta pena,
e per crudel mio fato.
Sì, sì, rapida io scendo
a rapir il mio bene
dell'arsa Dite alle infocate arene.
Ma che veggio?
Rimira il mio sembiante dispettosa,
poi fugge, un'ombra errante.
Tirsi, ah Tirsi, ah! Crudele!

N. 5 - Aria
Per te lasciai la luce,
ed or che mi conduce
amor per rivederti,
tu vuoi partir da me.
Deh! Ferma i passi incerti,
o pur se vuoi fuggir,
dimmi, perché?

N. 6 - Recitativo
Non ti bastava, ingrato,
d'avermi in vita lacerato il core?
Dopo l'ultimo fato,
siegui ad esser per me furia d'amore;
anzi ti prendi a scherno
ch'io venga teco ad abitar l'inferno.
Ma pietà per vigore ti renderò.
Su, vieni al dolce oblio di Lete;
indi daranno pace gli Elisi,
al già sofferto affanno.

N. 7 - Aria
Lascia omai le brune vele,
negro pin di Flegetonte.
lo farò che un zeffiretto,
per diletto,
spiri intorno a te fedele,
e che mova i bianchi lini
pellegrini in Acheronte.

N. 8 - Recitativo
Ma siamo giunti in Lete;
odi il suono soave
degli Elisi beati.

N. 9 - Entrèe

N. 10 - Minuetto

N. 11 - Aria
In queste amene
piagge serene,
da sè ridente
nasce ogni fior.
Tra suoni e canti,
sempre clemente
spiran gli amanti
aura d'amor.
Pietà e valore,
gloria ed onore,
chi può negarmi
giusta mercè.
Saran le pene
piacer del bene
che deve darvi
amore e fè.

N. 12 - Recitativo
Sì, disse Clori, e se d'un sole estinto
più non vide il bel lume,
lo vide almen per fantasia dipinto.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 21 novembre 2008


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 6 febbraio 2015