Concerto grosso in sol minore, op. 6 n. 6, HWV 324


Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
  1. Largo e affettuoso (sol minore)
  2. A tempo giusto (sol minore)
  3. Musette: Larghetto (do minore)
  4. Allegro (sol minore)
  5. Allegro (sol minore)
  6. Gavotte: ... (sol minore)
Organico: 2 violini concertatnti, 2 violini, viola, violoncello, basso continuo
Composizione: 1739
Edizione: J. Walsh, Londra, 1740
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I dodici Concerti dell'op. 6 per orchestra d'archi e basso continuo furono scritti da Händel in poco meno di un mese, tra la fine di settembre e il 20 ottobre del 1739, nello stesso periodo in cui apparvero le vigorose e massicce composizioni oratoriali del Saul e dell'Israel in Aegypt. I lavori dell'op. 6, insieme ai sei Concerti grossi dell'op. 3 per due flauti, due oboi, due fagotti, archi e basso continuo, rappresentano il contributo più importante e significativo dato da Händel alla letteratura del concerto grosso di stile barocco che si richiama principalmente all'esempio di Arcangelo Corelli, un musicista conosciuto dall'autore del Messiah nel corso del suo primo viaggio in Italia (1709) e da lui molto stimato. Però lo schema della sonata da chiesa che Corelli trasferisce al concerto, basato sull'orchestra d'archi a quattro voci in contrapposizione ad un piccolo gruppo solistico, assume in Händel forme più elaborate e articolate, sia nei momenti di maggiore vivacità armonica e sia nei passaggi più brillanti sotto il profilo contrappuntistico. La pensosa austerità del modello diventa più calda e vigorosa nella linea solenne delle ouvertures e nel virile accento ritmico degli allegri, mentre si avverte un lirismo più intenso nei momenti distesi, un'arguta stilizzazione nei tempi di danza e una sottile vena di malinconia nelle dolci e cullanti siciliane.

Lo strumentale si articola in due tempi - il "tutti" chiamato anche "ripieno" e il "concertino" - e sottolinea una indubbia abilità e sicurezza di orchestratore nel musicista sassone, il quale ebbe sempre vivo il senso della costruzione architettonica, realizzata con ricchezza e varietà di armonie e alternando lo stile chiesastico a quello operistico e madrigalesco. Non per nulla è stato detto che Händel, pur tenendo presente la lezione del razionalismo contrappuntistico tedesco, ha sentito l'influsso della musica settecentesca italiana con il suo sensualismo coloristico e descrittivo, assorbito e acquisito durante la sua lunga permanenza in Italia, quando venne a contatto con quelle bellezze naturali, popolari e d'arte che egli non avrebbe mai più dimenticato nel corso della sua carriera di compositore.

Questo italianismo si respira anche nel Concerto grosso in sol minore op. 6 n. 6, in cui spiccano specialmente i tempi allegri per il loro luminoso splendore strumentale. Il Larghetto e affettuoso si distingue per i suoi contrasti dinamici e per quel senso di delicata espressività, tale da corroborare la tesi esposta dal compositore Geminiani nel suo metodo per il violino del 1751 secondo cui la musica strumentale non è un fatto puramente tecnico ma deve manifestare i sentimenti dell'animo. La Musette è uno stupendo larghetto tripartito che incontrò subito largo favore presso il pubblico, tanto che Händel soleva spesso intercalarlo tra due episodi di un oratorio per creare una sensazione di riposante contemplazione.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I «Twelve Grand Concertos» op. 6 furono pubblicati dal Walsh a Londra nel 1739, e, come si rileva dalla prefazione, erano stati composti nell'arco di poche settimane. Mentre la musica strumentale, sospinta dal virtuosismo dei violinisti italiani, già corre verso l'emancipazione dell'improvvisazione solistica, questi concerti di Haendel guardano al concerto grosso corelliano e sfoggiano ritmi e movenze del più aureo barocco. Il «Largo» raccolto dell'introduzione alterna il tutti al concertino composto da due violini ed un violoncello. La fuga «allegro ma non troppo» indusse il Dr. Burney ad una aperta lode per la maestria tecnica: «il soggetto è singolare ed è tanto enigmatico e complesso da elaborare, che un compositore di doti ordinarie nello stile dotto, non si sarebbe avventurato a svolgerlo se mai gli fosse venuta in mente una così peculiare successione di intervalli». La «Musette» (larghetto) si apre con la serenità del patetico napoletano ed è svolta in una successione di refrains e couplets alla stregua di un rondò. I due allegri conclusivi mancano di quella simmetria cara al settecento. Burney non nascose la propria incomprensione nei loro riguardi e consigliava di tagliarli, asserendo che questa prassi risaliva allo stesso Haendel. Oggi i loro sbalzi di umore sottesi alla estemporaneità di ritmi e melodie li segnalano fra le faville irrazionali del barocco.

Gioacchino Lanza Tomasi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 21 novembre 1985
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 dicembre 1972


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Ultimo aggiornamento 14 giugno 2015