La «prima» londinese dell'oratorio Athalia, il 1°
aprile 1735 al Covent Garden, fu la destinazione originaria del Concerto op. 4 n. 4 in fa
maggiore HWV 292, l'unico della serie datato
nell'autografo. Händel lo ultimò a una settimana dall'esecuzione, il 25
marzo, integrandolo senza soluzione di continuità nel coro «Alleluia»,
di nuova composizione, che condivide il materiale tematico dell'Allegro finale del
concerto. Il complesso consecutivo concerto-coro avrebbe sostituito il
coro n. 36 della versione originaria di Athalia (Oxford,
1733) e sarebbe stato nuovamente impiegato nel 1737 come conclusione
dell'oratorio Il
trionfo del tempo e della verità. Per la pubblicazione
dell'op. 4
Händel provvide a modificare le ultime misure del finale, onde dotare
il concerto di una chiusa autonoma, in mancanza del coro. L'invenzione
tematica si dimostra in questo concerto sostanzialmente esente da
parentele, fatta salva la citazione, nel ritornello del primo tempo,
del coro «Questo è il cielo di contenti», posto in apertura dell'opera
Alcina, andata in scena due settimane dopo l'Athalia londinese,
e la rielaborazione, nell'Adagio,
del movimento corrispondente della Sonata
in si bemolle maggiore per flauto diritto HWV 377,
composta attorno al 1725. Si apprezzi la particolare struttura del
concerto, come di consueto quadripartito, ma con i due tempi veloci
agli estremi e i lenti al centro. Su note che forse si avranno in mente
dall'energetico coro operistico attacca l'Allegro iniziale
che, dopo l'esposizione della tonica (un fa grave) all'organo, libera
un feroce unisono a organico pieno, ripreso fedelmente dall'organo
solo, che alternerà ai Tutti orchestrali una parata di episodi
contraddistinti ciascuno da una caratterizzazione specifica. A
un'espressività contenuta è ispirato lo splendido Andante: in un
contesto timbrico deliberatamente spoglio, dalle sonorità ovattate
(Händel prescrive il silenzio per oboi, fagotti e cembalo) il solista
propone un tema pudico, che si muove prevalentemente per note ribattute
e gradi congiunti, ripreso delicatamente dall'aura corelliana degli
archi. L'ampia pagina procede alternando episodi solistici ritmicamente
ossessivi (per terzine o ritmi puntati) e Tutti di struggente
intensità. All'organo spetta interamente il breve Adagio in re
minore, sigillato tuttavia da una chiusa orchestrale sulla cadenza
finale, come sarebbe avvenuto nell'Adagio
del Concerto op. 4 n. 1.
L'Allegro
finale, in origine saldato anche sul piano tematico al coro «Alleluia»
di Athalia,
esordisce col meccanismo imitativo di una fuga in piena regola; se non
che, da questa promettente e giudiziosa esposizione sboccia una
scrittura scopertamente concertante che sfrutta a fondo le potenzialità
del controsoggetto, Il soggetto della mancata fuga ricompare nel corso
del movimento sia all'organo che in orchestra, ma senza alcuna pretesa
contrappuntistica, a mo' di citazione, conformemente alla tendenza,
onnipresente in Händel (si pensi soltanto al celebre «Hallelujah» del Messiah), di
temperare il contrappunto della tradizione tedesca con la tecnica
inglese dell'anthem, ottenendo un amalgama fluido in cui il gioco
imitativo serrato è libero di sciogliersi nel dialogo concertante tra
le voci.
Raffaele Mellace
L'organo è protagonista nel Concerto in fa maggiore op. 4 n. 4 di Georg Friedrich Händel, il quale si era dedicato molto presto alla carriera di organista e fu tra i più rinomati solisti del suo tempo, apprezzato specialmente per le sue qualità di improvvisazione. E proprio dall'innesto della pratica dell'improvvisazione sulla ben definita struttura del concerto nascono le sue composizioni in questo ambito, quasi tutte realizzate in Inghilterra dopo il 1730. La serie dei sei Concerti op. 4 fu pubblicata nel 1738 ed evidenzia l'influenza della sonata da chiesa, preferendo l'articolazione in quattro movimenti a quella in tre, che costituiva la forma-base della musica concertante ma che tuttavia non appare ancora standardizzata nei lavori händeliani, nei quali prevale di solito il riferimento al modello barocco del concerto grosso. In Inghilterra l'uso dell'organo in chiesa era stato proibito nel 1642 ed era tornato in auge solo nel corso della Restaurazione, dunque dopo il 1660. Questa lunga parentesi aveva provocato una forte diffusione dello strumento nella pratica della musica profana, e al tempo stesso aveva richiesto la costruzione di organi di dimensioni relativamente piccole, più agili e dotati di minore potenza sonora rispetto ai grandi organi da chiesa. Händel colse l'occasione di amalgamare questi strumenti all'insieme dell'orchestra barocca e "inventò" di fatto il suo uso in concerto, introducendolo a partire dal 1735 come uno sfoggio di virtuosismo da mettere in competizione con quello dei cantanti italiani negli intervalli dei suoi oratori. Della maggior parte dei Concerti per organo di Händel è possibile stabilire con precisione non solo la data di composizione, ma anche gli oratori per i quali furono scritti. Il Concerto in fa maggiore op. 4 n. 4, ad esempio, fu eseguito per la prima volta il giorno 1 aprile 1735 in un intervallo di Athalia, ed era stato terminato di comporre sei giorni prima. La cifra virtuosistica rappresenta dunque un elemento di riferimento costante anche in questo Concerto, nel quale però è da notare anche la cantabilità lirica del movimento lento, Andante, nel quale Händel sembra voler spostare su un altro registro la rivalità con i divi del canto.
Stefano Catucci