Acis and Galatea, HWV 49

Masque in due atti - Prima versione

Musica: Georg Friedrich Händel (1685 - 1759)
Testo: John Gay, Alexander Pope e John Hughes dalle Metamorfosi di Ovidio Ruoli: Organico: coro misto, ottavino, 2 flauti diritti, 2 oboi, 2 violini, viola, violoncello, basso continuo
Composizione: 1718
Prima rappresentazione: Cannons, estate 1718
Edizione: J. Walsh, Londra, 1722

Struttura musicale

Parte prima:
  1. Sinfonia - Presto. Adagio (si bemolle maggiore)
    2 oboi, 2 violini e basso continuo
  2. Oh the pleasure of the plains! (si bemolle maggiore)
    Coro 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  3. Ye verdant plains and woody mountains
    Recitativo per soprano (Galatea), 2 violini e basso continuo
  4. Hush, ye pretty warbling quire! - Andante (fa maggiore)
    Aria per soprano (Galatea), ottavino, 2 violini e basso continuo
  5. Where shall I seek the charming fair? - Larghetto (do minore)
    Aria per tenore (Acis), oboe, 2 violini e basso continuo
  6. Stay, shepherd, stay!
    Recitativo per tenore (Damon) e basso continuo
  7. Shepherd, what art thou pursuing? (si bemolle maggiore)
    Aria per tenore (Damon), 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  8. Lo! Here my love!
    Recitativo per tenore (Acis) e basso continuo
  9. Love in her eyes sits playing - Larghetto (mi bemolle maggiore)
    Aria per tenore (Acis), 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  10. Oh! Didst thou know the pains of absent love
    Recitativo per soprano (Galatea) e basso continuo
  11. As when the dove laments her love - Andante (fa maggiore)
    Aria per soprano (Galatea), oboe, 2 violini e basso continuo
  12. Happy we (do maggiore)
    Duetto per soprano (Galatea), tenore (Acis), coro, 2 oboi, 2 violini e basso continuo
Parte seconda:
  1. Wretched lovers! - A tempo ordinario (si bemolle maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 violi e basso continuo
  2. I rage, I melt, I burn! - Furioso. Adagio. Furioso
    Recitativo per basso (Polifemo), 2 violini e basso continuo
  3. O ruddier than the cherry - Allegro (sol minore)
    Aria per basso (Polifemo), flauto, 2 violini e basso continuo
  4. Whither, fairest, art thou running
    Recitativo per basso (Polifemo), soprano (Galatea) e basso continuo
  5. Cease to beauty to be suing - Allegro e staccato (re minore)
    Aria per basso (Polifemo), 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  6. His hideous love provokes my rage
    Recitativo per tenore (Acis) e basso continuo
  7. Love sounds th'alarm - Allegro (do maggiore)
    Aria per tenore (Acis), 2 onoi, 2 violini e basso continuo
  8. Consider, fond shepherd, how fleeting's the pleasure - Larghetto (sol maggiore)
    Aria per tenore (Damon), 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  9. Cease, oh cease, thou gentle youth
    Recitativo per soprano (Galatea) e basso continuo
  10. The flocks shall leave the mountains - Andante e staccato (do minore)
    Terzetto per soprano (Galatea), tenore (Acis), basso (Polifemo), 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  11. Help, Galatea! - Adagissimo e piano
    Recitativo per tenore (Acis) , 2 violini e basso continuo
  12. Mourn, all ye muses! - Adagio ma non troppo (fa minore)
    Coro, 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  13. Must I my Acis still bemoan - Adagio (fa maggiore)
    Soprano (Galatea), coro, 2 oboi, 2 violini e basso continuo
  14. 'Tis done
    Recitativo per soprano (Galatea) e basso continuo
  15. Heart, the seat of soft delight - Larghetto (si bemolle maggiore)
    Aria per soprano (Galatea), 2 flauti, 2 violini e basso continuo
  16. Galatea, dry thy tears (si bemolle maggiore)
    Coro, 2 oboi, 2 violini e basso continuo

Guida all'ascolto (nota 1)

Il masque Acis and Galatea fu composto da Händel verosimilmente nell'estate 1718, mentre era al servizio del conte di Carnarvon, futuro duca di Chandos. In Inghilterra, dove era sbarcato per la prima volta al termine del 1710 e dove si sarebbe trattenuto stabilmente fino alla fine dei suoi giorni, Händel avrebbe svolto principalmente una libera attività professionale, nella doppia veste di impresario e compositore, di opere italiane prima, e poi di oratori inglesi (genere, quest'ultimo, creato appositamente per mantenere i favori del pubblico, sempre meno rivolti al teatro). Ma, nel primo decennio del suo soggiorno londinese, Händel non aveva ancora imboccato decisamente tale strada; trascorse invece lunghi periodi nella antica e più consueta condizione di compositore dipendente (come già in Italia presso il marchese Francesco Ruspoli); dapprima (1713-1716) presso il giovane Lord Burlington, patrono delle belle arti, e poi appunto presso Chandos. Manca qualsiasi documentazione sulla presenza dell'autore nella capitale fra il luglio 1717 e il febbraio 1719, ed è verosimile che questo periodo sia stato trascorso presso la residenza fuori città del futuro duca, a Cannons.

Secondo Mainwaring, il primo biografo di Händel, la residenza di Cannons era nota per «dovere molto di più all'arte che alla natura, e ancora di più al denaro che all'arte». Secondo la descrizione lasciata nel 1722 da John Macky, «la disposizione di viali, giardini, statue, quadri e lo stesso palazzo di Cannons riflettono il genio e la magnificenza del loro grande signore. La cappella, già terminata, possiede un gruppo di voci e strumenti come la cappella reale». C'era anche «uno spazio riservato alla sua musica, sia vocale che strumentale, eseguita mentre il duca è a tavola. Egli non bada a spese per.avere il meglio». Non mancava un'orchestra stabile (ancorché di dimensioni contenute), i cui musicisti, servitori a tutti gli effetti, dovevano mostrare una adeguata versatilità nei lavori domestici (referenze di uno di essi: «sa radere molto bene, ha una mano eccellente sul violino e sa parlare tutte le lingue indispensabili»).

Nessuno stupore dunque che il facoltoso aristocratico cercasse di avere per il proprio servizio il meglio disponibile sulla piazza londinese, ovverosia Händel, assunto però non già come maestro di cappella (ruolo ricoperto da Johann Christopher Pepusch, poi autore nel 1728 della fortunata, satirica Beggar 's Opera) ma con il più flessibile incarico di composer-in-residence (compositore residente). In tale condizione Händel scrisse il ciclo dei cosiddetti Chandos-Anthems (undici inni anglicani) nonché due lavori che dovevano avere una fortuna ben più significativa, i due masques Esther e, appunto, Acis and Galatea. Queste due partiture, secondo le parole di Christopher Hogwood, «rappresentano il lato sacro e quello profano di un genere che Pepusch aveva a lungo desiderato di vedere in circolazione: lo spettacolo drammatico cantato integralmente in lingua inglese dall'inizio alla fine». Come dire che dietro il lavoro scritto per Chandos si celava una importante tradizione nutrita dai compositori autoctoni (o, come nel caso di Pepusch, anch'essi immigrati e naturalizzati inglesi).

Nella seconda decade del secolo dei lumi il genere teatrale del masque era ormai lontano dal modello impostosi nell'età della restaurazione, ed a cui aveva generosamente aderito, fra l'altro con le prove mirabili di The Fairy Queen e di King Arthur, il grande Henry Purcell; un modello che innestava su un testo recitato pagine suonate, cantate e danzate, in una sintesi sincretistica. L'arrivo in Inghilterra dell'opera italiana, nel 1705, doveva progressivamente imporre invece un altro modello, interamente musicato e percorso da uno stile italianista. A quest'ultimo modello si rivolsero autori come Galliard e Pepusch (sua la partitura più importante di questa fioritura, Venus and Adonis del 1715, che non mancò di influenzare direttamente Händel) nel dar vita a diverse stagioni teatrali negli anni 1715-1718, presso i teatri Drury Lane e Lincoln's Inn Fields; i soggetti erano mitologici, classici o pastorali, non esenti da implicazioni comiche; alle arie in stile italiano si aggiungevano dei cori nei finali, nonché delle danze e delle situazioni spettacolari. L'iniziativa, che si inseriva in una temporanea crisi finanziaria dei teatri italianisti, aveva l'obiettivo (destinato peraltro a vanificarsi in breve tempo) di costruire un contraltare tutto anglosassone al dilagare dell'opera italiana.

Librettisti e compositori dei masques londinesi del 1715-1718 appartenevano al circolo intellettuale attivo a Cannons. In sostanza è plausibile che, visto il successo del rinnovato genere, Chandos chiedesse a Händel di riprodurre nel salotto di casa ciò che tanto favore incontrava sui palcoscenici cittadini. Nacque così Acis and Galatea, partitura ispirata ai modelli contemporanei, e interamente nuova; nel senso che testo e musica nulla hanno a che spartire (fuorché dettagli di minima rilevanza) con la quasi omonima serenata Aci, Galatea e Polifemo che lo stesso Händel aveva composto a Napoli nel 1708 per uno sposalizio nobiliare; caso curioso, dunque, di due distinte versioni del medesimo assunto drammatico poste in musica da un unico compositore.

Acis and Galatea, versione inglese, venne eseguito a Cannons - verosimilmente in forma scenica e in un atto unico - in un periodo non precisato (probabilmente l'estate 1718) dai complessi strumentali e vocali alle dipendenze del duca. Complessi piuttosto esigui sotto il profilo numerico; i cantanti erano appena cinque, un soprano, tre tenori e un basso, e quattro di essi affrontavano sia le parti solistiche (Galatea, Acis, Damon e Polyphemus) che i cori, mentre il quinto era voce riempitiva del coro; l'orchestra non comprendeva più di sette strumentisti, due violini, due oboi (uno mutante nei flauti), due violoncelli e il cembalo. Mancavano dunque la voce di contralto nel coro, nonché viole, contrabbassi, fagotti. In tutto dodici esecutori; un'esecuzione ai minimi termini per una partitura destinata in seguito a numerosissime vicissitudini.

Già nel 1722 infatti tutti i brani solistici del masque venivano stampati separatamente. Ma per molti anni Händel, interamente assorbito nella grande avventura dell'opera italiana al King's Theater, non ritenne di doversi interessare nuovamente a quel lavoro in lingua inglese. Fu così che Acis ebbe la prima esecuzione pubblica il 26 marzo 1731 sul palcoscenico del Lincoln's Inn Theater, forse con il consenso dell'autore, ma probabilmente senza suo diretto interessamento. Un atto considerato di vera e propria pirateria fu invece l'esecuzione seguente, realizzata nel maggio 1732 ad opera di Thomas Arne al New Theather in the Haymarket, proprio di fronte al King's Theater dove operava Händel; in sostanza una compagnia rivale sfruttava la farina del sacco del diretto avversario. In un'epoca in cui il diritto d'autore non esisteva Händel reagì, come al solito, giocando al rialzo; un mese dopo allestiva con grande sfarzo una nuova edizione in tre atti di Acis and Galatea, estremamente ampliata con l'inserimento di brani di lavori precedenti, fra cui la citata serenata napoletana del 1708 Aci, Galatea e Polifemo; l'esecuzione fu bilingue, in inglese e italiano, senza alcuno scandalo del pubblico che era abituatissimo a simili contaminazioni. Furono inseriti cinque nuovi personaggi, soppresso quello di Damon, modificati alcuni ruoli vocali. Negli anni seguenti questo secondo Acis and Galatea fu ripreso con grande frequenza, e sempre con qualche significativo aggiustamento; a Oxford nel 1733, poi di nuovo a Londra nel 1734 e nel 1736.

Nel dicembre 1739 l'autore approntò poi una terza versione della partitura, in due atti, in lingua inglese, con i quattro personaggi originari. Pratico e non artistico - come suggerisce Winton Dean, che ha minuziosamente ricostruito la storia esecutiva di Acis all'interno del suo monumentale studio sugli oratori e i masques di Händel - il motivo di questa scelta: in quella stagione Händel non rappresentò opere italiane, e, non disponendo di cantanti italiani, eliminò tutti gli inserimenti in lingua italiana, nonché altre aggiunte inglesi. Non mancò peraltro di compiere altri aggiustamenti, il più importante dei quali fu il nuovo coro «Happy we» in chiusura del primo atto, coro che si avvaleva di un nuovissimo carillon. Questa terza e ultima versione venne ripresa ancora a Dublino, nel 1742. Nel 1743 poi, tutta la partitura di Acis and Galatea venne data alle stampe; e si trattò di uno dei pochissimi lavori vocali di Händel a venire pubblicato in forma integrale vivente l'autore. Nel frattempo, nel gennaio 1741, Händel aveva chiuso, con Deidamia, la sua più che trentennale esperienza nel campo dell'opera italiana, e si era gettato con entusiasmo nell'ultima grande scommessa della sua vita, quella di dar vita a un nuovo genere, l'oratorio inglese. È chiaro a questo punto, per quanto si è detto, che proprio del nuovo grandioso genere il dimesso Acis and Galatea dato nel 1718 a Cannons era stato inconsapevole precursore.

Il mito di Aci e Galatea è noto ai posteri soprattutto nella versione offerta da Ovidio, nel XIII libro delle Metamorfosi (vv. 750 ss.). La ninfa figlia di Nereo ha come tenero amante il giovane Aci, ma viene concupita dal ciclope Polifemo; questi, geloso di Aci, lo uccide scagliando un masso dalla cima dell'Etna; e la ninfa trasforma Aci in una sorgente. Soggetto, dunque, ideale per una pastorale, e non a caso sfruttato numerose volte in musica già prima di Händel (Lully, 1686; Eccles, 1701). Il libretto della versione inglese fu fornito a Händel da John Gay - poeta autorevole del circolo intellettuale attivo a Cannons, non a caso poi autore, con Pepusch, della Beggar's Opera. Gay si avvalse anche di frammenti e contributi di altri poeti, come Pope, Dryden, Hughes. Il soggetto mitico è trattato nei toni ingenui della pastorale; idilliaco è il panorama agreste dipinto dai cori, ingenui i sentimenti amorosi dei due protagonisti, arroganti e rabbiosi i toni del ciclope; viene inserito un quarto personaggio, il pastore Damon, con il compito di riportare con scetticismo alla realtà l'amico Acis.

Su questo libretto, esile ma lineare e funzionale, Händel scrisse uno dei suoi capolavori. Si impone, in tutta la partitura, l'impronta del genio cosmopolita, che attinge con superiore discernimento a distinte tradizioni. In fatto di stile italiano Händel non doveva accettare lezioni da nessuno. Così le arie solistiche si sviluppano tutte (tranne una) nella forma col da capo e fanno ricorso per la maggior parte ai tipici stilemi pastorali, dove sono ricorrenti i ritmi ternari, i lunghi pedali, le figurazioni regolari e insistite. Alle tenere melodie dei due amanti si contrappongono gli accenti goffi di Polifemo, personaggio che è caratterizzato da passaggi declamati e da colorature tipiche delle arie "di furore" dell'opera seria, che tuttavia vengono forzate in direzione comica. Il ruolo del coro è maggiore di quello dei masques dei contemporanei, e soprattutto assume accenti espressivi variegatissimi. Finissimo e calibratissimo è anche il trattamento dell'orchestra, che si basa sull'eleganza dei disegni e degli intrecci, sul rilievo solistico degli strumenti, su un'armonia complessa.

Ma poi, soprattutto, Händel si qualifica anche qui come un sommo drammaturgo, per la capacità di dosare, di alternare gli elementi drammatici. Tutta la prima parte del masque si svolge in un clima di lietezza pastorale; abbiamo la scattante ouverture, e poi una successione palindroma di brani: un brillantissimo coro con solista, cinque arie (Galatea, Acis, Damon, Acis, Galatea) dove accenti meditativi si alternano con altri più cordiali, e un festoso duetto con coro. Brusco è il cambiamento espressivo nella seconda parte, che si apre con il coro «Wretched lovers», segnato da una densa e variata polifonia, che preannuncia la prossima sventura in toni severi, e dove è palese la lezione di Purcell. Seguono le due aggressive arie di Polyphemus, l'aria di Acis, ricca di richiami bellici, e quella elegante di Damon. Le ultime sezioni costituiscono un progressivo innalzarsi della tensione. Nel terzetto le inflessioni ansiose degli amanti vengono interrotte dai rudi interventi del ciclope. Dopo il finissimo recitativo della morte di Acis, sulle dense armonie degli archi, ecco la grande pagina funebre del coro, un compianto commosso, che mostra il segno del finale di Dido and Aeneas di Purcell. Il dolore sublimato, nel modo maggiore, si impone nel seguente solo di Galatea, con oboe concertante, solo che sembra assumere la configurazione dell'aria, ma volge invece sorprendentemente verso il dialogo col coro; e l'ultima aria della protagonista si avvale dei disegni onomatopeici, ondeggianti, dello strumentale, che passano poi - ultima preziosa sottolineatura del drammaturgo - a tutte le voci nel coro conclusivo.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 Aprile 2008


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Ultimo aggiornamento 12 settembre 2014