Edvard Grieg, che i confini del Lied era costretto a osservarli dal di fuori, almeno in termini geografici, fu tra i compositori non tedeschi (Liszt escluso) colui che meglio seppe importarne gli elementi base (che per lui erano la poetica di Schumann e di Heine) per poi ricornporli sullo sfondo del panorama nazionale, nel suo caso quello norvegese. Se nei Pezzi lirici egli seppe rinnovare il modello da altri banalizzato delle Romanze senza parole di Mendelssohn, nei Lieder Grieg fu uno schumanniano - non epigono, ma continuatore. E il ponte con Wagner, il cui profilo già Schumann lasciò intravedere negli ultimi Lieder, grazie a Grieg sorvola il Mare del Nord con le sue pur modeste campate.
Non ci stupisce dunque di vedere tra quelle acque un cigno: En svane (Un cigno, op. 25, n. 2), su una bella poesia di Ibsen, non è l'uccello mistico wagneriano (e infatti la specie nordica è detta cigno minore), anche se muore giusto in tempo (1876) per cadere sulla scena terza di Parsifal (1877). Gli splendidi interludi pianistici e i vibranti accordi ritornano dal Concerto in la, ma qui hanno il valore aggiunto di rispondere e dare impulso a una melodia del canto prima tesa e angosciata per il silenzio dell'amata, denso di presagi, poi rassegnata ed estatica nel suo ricordo. Di questo Lied, come poi di Våren (Primavera, op. 33, n. 2), Grieg realizzerà negli anni '90 una versione orchestrale, che anche qui esalta, ma di fatto non muta quel carattere di corale già perfettamente realizzato nell'accompagnamento pianistico, con il registro degli accordi che talvolta diventa acuto e pungente come la tersa aria del disgelo; musica e poesia, canto e pianoforte, non prive dell'arcaico presagio che s'insinua negli enigmatici versi di Vinje (scritti in Nynorsk), sembrano rigonfiarsi e poi quasi esplodere come un fiume lungamente costretto dai ghiacci: per l'esplosione vera e propria bisognerà attendere l'ultima canzone di questo concerto (Rachmaninoff), perché qui la malinconia prende il sopravvento. Magistrale, nell'interludio e poi nel postludio, la trasformazione del tema riflessivo in uno svettante canto di usignoli. Usignoli del nord, certo, come la Nina che Grieg sposò e a cui dedicò gran parte dei suoi Lieder.
Erik Battaglia
Enno ein Gong fekk eg Vetren
å sjå For Våren å rama; Heggen med Tre som der Blomar var på, Eg ätter såg bl0ma. Enno ein Gong fekk eg Isen å sjå Frå Landet å fljota, Snjoen å bråna og Fossen i å At fyssa og brjota. Gräset det grone eg enno ein Gong Fekk skoda med Blomar; Enno eg h0yrde at Vårfuglen song Mot Sol og mot Surnar. Eingong eg sj0lv i den vårlege Eim, Som mettarmit Auga, Eingong eg der vil meg finna ein Heim Og symjande lauga. Alt det, som Våren irrwte meg bar Og Biomen, eg plukkad', Federnes Ånder eg trudde det var, Som dansad og sukkad', Derfor eg fann millom BJ0rkar og Bar I Våren ei Gåta; Derfor det Ljöd i den Floyta eg skar, Meg tyktes at gråta. |
Ancora una volta ho potuto
vedere l'inverno Svanire al cospetto di primavera, Ancora una volta ho visto fiorire Il ciliegio a grappoli. Ancora una volta ho potuto vedere il ghiaccio Abbandonare la terra, La neve sciogliersi, e la cascata Riversarsi nel fiume. Il prato, l'erba verde ancora una volta Ho potuto vedere coperti di fiori, Di nuovo ho sentito cantare l'uccello Di primavera, rivolto al sole e all'estate. Quando io stesso sarò tra i profumi di primavera, Che danno gioia ai miei occhi, Là troverò per me una casa E mi concederò un bagno. Tutto ciò che la primavera m'ha portato, E i fiori che colsi, Erano per me spiriti paterni Che danzavano e gemevano. Perciò trovai, tra betulle e rami verdi d'abete Il segno enigmatico della primavera; Perciò, nel suono del flauto che avevo Intagliato, mi parve di sentire un pianto. |