Risalente al 1865, è questo il primo notevole risultato di sintesi a cui il norvegese Edvard Grieg sia pervenuto tra la formazione accademica di tipo germanico ricevuta a Lipsia, e l'attenzione verso la musica popolare nordica, istillata dall'insegnamento di Niels Wilhelm Gade (a cui la Sonata è dedicata) e dalla frequentazione degli intellettuali nazionalisti riuniti nella società «Euterpe».
Opera piuttosto discontinua nel passaggio da uno ad altro movimento (noi qui l'ascoltiamo nella tarda versione del 1887), questa Sonata giovanile di Grieg si fa apprezzare soprattutto per il primo e l'ultimo movimento.
Il primo, in particolare, Allegro moderato, ripercorre con gioia alcuni luoghi del pianismo di Schubert e di Schumann, con un fantasioso accostamento di idee e di tempi, di scritture e di differenti gesti. Non mancano abili derivazioni dal primo tema di alcune figure che riaffiorano per ogni dove, tentando un'azione di coesione formale. Ma è soprattutto lo spirito appassionato a poter garantire a ogni pagina un'unità profonda di sentimento.
Il secondo movimento, Andante molto, ha i maggiori riferimenti rapsodici alla matrice nordica e popolare della musica di Grieg: il bel canto, la sognante divagazione, gli spunti di danza.
Il terzo movimento, Alla Menuetto, ma poco più lento, è quasi una propaggine danzante del secondo movimento. Lì il riferimento alla danza si insinuava nel canto libero e palpitante; qui la cantabilità svagata, o i «suoni di natura», affiorano nella gradevole danza contadina, tutta arresti e inchini.
Il quarto movimento, Finale. Molto allegro, sembrerebbe un ricalco del finale della Sonata in fa minore op. 5 di Brahms: com quella ha movenze rapsodiche e zigane, una forte frammentarietà nelle idee melodiche e nel ritmo, uso di figure pianistiche guizzanti, che interrompono ogni coesione e ogni continuità. Come nel finale brahmsiano le singole idee, sono piuttosto prive di interesse e di novità: ciò che interessa è il trascorrere da una all'altra; è lo spirito divertito, talvolta persino beffardo.
Guido Salvetti