V národním tónu. písne na lidové texty, op. 73 (B. 146)
(In stile popolare. Canti su poesie popolari)


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
Testo: Hadolf Heyduk
  1. Dobrú noc, má milá (Buona notte, mia cara) [Poesia slava] - Lento, molto espressivo
  2. Zalo dievca, zalo trávu (Una fanciulla falciava l'erba) [Poesia slava] - Allegretto
  3. Ach není, není tu (Ah, non c'è in nessun luogo) [Poesia ceca] - Andante
  4. Ej, mám ja kona faku (Ehi, ho un cavallo tanto bello) [Poesia slava] - Allegretto
Organico: soprano (tenore), pianoforte oppure contralto (baritono), pianoforte
Composizione: Praga, 13 settembre 1886
Guida all'ascolto (nota 1)

A ragione Dvorak è considerato, insieme a Smetana, il più autentico protagonista della Scuola nazionale boema della seconda metà dell'Ottocento, con una specifica distinzione però. Laddove Smetana preferiva concentrare la propria attenzione agli aspetti eroici e leggendari della patria boema in lotta per la libertà e l'indipendenza dal vessatorio dominio degli Asburgo, Dvorak ambiva a richiamarsi allo spirito popolaresco e contadino della sua terra, rinvenendo in esso le radici della propria arte e del proprio linguaggio.

Questo carattere precipuo di Dvorak fu avvertito già allora da personaggi del calibro di un Liszt, un Brahms, un Hanslick o un Bülow, che non lesinarono le professioni di stima e gli elogi al compositore boemo nella cui opera si incarnavano, oltre agli stretti legami con il melos folclorico, i costumi e gli usi, le cerimonie religiose e civili di un particolare ceppo etnico, una inesauribile propensione alla spontaneità melodica, una indubbia freschezza d'inventiva, un gusto ed una sensibilità nell'ambito armonico e strumentale di inequivoco stampo personale e d'elevato profilo artistico.

Musicista dal tratto semplice ed istintivo, tendenzialmente ottimista pur senza rinunciare alle corde nostalgiche e sentimentali, Dvorak fu sostanzialmente esente da qualsiasi tormento o affanno d'ordine intellettualistico, nonché da preordinati condizionamenti estetici. Nell'ampia sua produzione sinfonica, operistica, vocale sacra e profana, e in specie nella cameristica, le scelte lessicali si traducevano in una fluente discorsività di prevalente segno descrittivo che traeva la linfa migliore da una esuberante fecondità d'ispirazione, da una innata facilità tematica e da un naturalismo poetico ricco di colori e di ritmi.

Al genere liederistico il musicista boemo si dedicò con una certa continuità nel trentennio tra il 1865 e il 1895: non fu un orientamento deliberato quello che lo indusse ad avviare tale prospettiva compositiva quando un'improvvisa vicenda sentimentale fu lo stimolo nel 1865 all'ispirazione a scrivere le diciotto liriche di Cipressi, al tempo di un Concerto in la. maggiore per violoncello, rimasto inedito, e della Seconda Sinfonia. Nei Cipressi è prevalente la vocazione strumentale mentre la scrittura vocale denunciava più d'una inesperienza di mano, al punto da persuadere l'autore, anni dopo, a trasferirne vari incisi tematici in altre composizioni o a curarne una radicale ristrutturazione che, per i numeri 2, 3, 4, 6, 8, 9, 14 e 17 si precisò in un rifacimento, vero e proprio che fu pubblicato nel 1889 dall'editore Simrock con il titolo Canti d'amore op. 83. In questo ciclo, di per sé grondante accenti crepuscolari, Dvorak prodiga un clima espressivo volutamente calato nella vena tardo-romantica di fine secolo. Sul piano musicale l'autore resiste alle lusinghe del gusto borghese dell'epoca, ancorandosi ai modi del melos popolare anche se il profilo armonico di queste canzoni appare raffinato, smussato e rifinito. Nelle forme concise e nella dignità dell'incedere strumentale e vocale risulta chiaro l'intento di Dvoìràk di voler rimanere nell'ambito del proprio linguaggio più serio e meditato.

Un altro aspetto della liederistica dvoràkiana può cogliersi nelle Melodie gitane op. 55, conosciute la prima volta a Vienna nel 1881: qui sono in primo piano l'incidenza di carezzevoli armonie zingaresche, la gioia o, per contro, la malinconia sentimentale, il senso della libertà, dell'amore della natura. Sul contesto armonico, come nella sagomatura melodica e ritmica, accanto ad una sorta di omaggio alla musa brahmsiana, si può nettamente percepire l'immanenza del versante nazionalistico di Dvoràk, della poetica cioè che fa del musicista boemo il tramite indispensabile tra Smetana e Janàcek.

L'attenzione rivolta prima ai Canti d'amore dell'op. 83 poi alle Melodie gitane dell'op. 55 giunge utile ad individuare, nel confronto reciproco, l'ìmmagine sonora più appropriata dei Quattro Canti in stile popolare op. 73 che risalgono al settembre del 1886 e che, con l'eccezione di Ah, com'è lontano che si basa su un testo céco, adottano versi di liriche slovacche popolaresche d'autore anonimo. Dvoràk compose questi Canti in breve tempo, ultimandoli il 13 settembre 1886, pressato com'era dall'editore Simrock che, dopo il successo arriso alla seconda raccolta delle Danze slave, voleva disporre di altri pezzi brevi nel medesimo genere espressivo. La nota dominante di Buona notte è la sfumata, delicata tenerezza mentre una briosa gaiezza anima Una ragazza mieteva l'erba. Se di stampo tradizionale mitteleuropeo appare Ho un focoso destriero, d'estremo interesse si rivela Ah, com'è lontano per l'accorta strategia delle scelte armoniche e melodiche. Rubricati dal catalogo del Burghauser col numero 146, i Quattro Canti furono pubblicati da Simrock nel 1887.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 3 giugno 1994


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Ultimo aggiornamento 25 Luglio 2013